A forza di abbozzare e non dargli troppa importanza, si finisce col dargli ragione. Il riferimento è alle parole del consigliere comunale di Milano che si è permesso di dire che i ciclisti, ammazzati da automobilisti e camion sulle strade cittadine, se la sono cercata e che a lui non dispiace più di tanto. Dice che c’è bisogno di parcheggi e non di piste ciclabili, dimostrando di non aver capito che le città andrebbero svuotate dalle auto e non riempite (in apertura, una protesta contro il nuovo Codice della strada. Foto FIAB).
Un film già visto
Al di là della considerazione che si possa avere per l’individuo in questione, la cui consapevolezza di quanto avviene nel resto d’Europa è evidentemente nulla, sembra di essere tornati al periodo in cui ci si poteva permettere di dire che i ciclisti sono tutti dopati. E a forza di abbozzare e di non rispondere per non dargli importanza, si è finito col dargli ragione. Ancora oggi, nonostante i programmi antidoping di questo sport siano all’avanguardia e al limite della violazione dei diritti basilari degli atleti, bastano pochi minuti di conversazione con persone comuni per sentire la solita battuta: i ciclisti sono tutti dopati. Il danno è stato fatto, è irrimediabile e ha investito l’immagine e le risorse del ciclismo.
Per cui se una persona, sia pure di vedute limitate, si permette di affermare che dei ciclisti ammazzati non gli importa più di tanto, bisogna trovare il modo di farglielo rimangiare con una denuncia e una condanna così pesanti da disincentivare altri dal pensarlo. Anche se in Italia certe denunce purtroppo non portano a niente. E finisce come alla Granfondo Sportful, dove ieri una signora ha pensato bene di forzare un blocco, immettersi nel percorso di gara e travolgere tre ciclisti, considerando che tutto sommato si trattava solo di una corsa di bici.
Il codice della strage
Nell’Italia, che dall’incentivare l’uso delle bici potrebbe avere solo vantaggi, c’è chi spinge consapevolmente per spostare la bicicletta ai margini della società. Chi invece cerca di farne un mezzo di svolta ecologica o una fonte di guadagno viene liquidato con considerazioni da farti cadere le braccia.
Il Codice della strada, che è stato ormai ribattezzato “Codice della strage”, spinge per l’eliminazione dei controlli di velocità. Siamo tutti automobilisti, sappiamo bene cosa significhi prendere una multa. Ma anziché reclamare una migliore educazione stradale e capire che quel limite potrebbe salvare la vita a un bambino, sotto sotto siamo lieti di poterlo oltrepassare senza rischiare sanzioni. I Comuni ci faranno anche cassa, ma è un fatto che i limiti vengano violati. Il ministro Salvini si oppone alle zone con velocità limitata, allo stesso modo in cui altri capi di governo sostennero che in fondo è giusto non pagare le tasse. Ne consegue che gli utenti deboli della strada continuano a morire e l’evasione fiscale sia una delle piaghe che ci mette sulle ginocchia.
Solo De Marchi
Su quell’improvvisa uscita del consigliere ci sarebbe piaciuto leggere una dichiarazione di alti esponenti del Governo, ma non hanno aperto bocca. Ci sarebbe piaciuto leggere la dichiarazione della Federazione ciclistica, ma non hanno aperto bocca. Il ciclismo ha risposto con Alessandro De Marchi, l’unico a metterci la faccia per la sua sensibilità di uomo e poi di ciclista.
E’ sbagliato liquidare le esternazioni del consigliere Paolo Roccatagliata ricordando i suoi svarioni passati, come quando si è presentato nudo a una commissione online dicendo di non essersi accorto di avere la telecamera accesa. E’ sbagliato fare finta di niente. In questo Paese in cui giustamente ci si indigna per i femminicidi, si continua a non notare che muoiono più ciclisti che donne (120 donne nel 2023 e 197 ciclisti) e nessuno dice niente. Anzi, qualcuno ha parlato. E ha detto che non gliene importa più di tanto.