Un corridore che dal devo team è stato promosso alla WorldTour, ma non si può dire. Un altro che da una continental è approdato al devo team di uno squadrone, ma non si può dire. Un team manager che vorrebbe raccontare i suoi nuovi corridori e lo fa anche, ma prega di non scrivere, perché non si può dire. Volete sapere che cosa succede in qualche angolo del ciclismo professionistico? Le cose accadono, quelli più informati ne sono al corrente, ma non possono scriverlo finché non esce il comunicato della squadra. E i corridori, fra l’incudine e il martello, sono lancinati dalla voglia di dirlo e il divieto che ricevono dal team. I media da parte loro si chiedono se sia opportuno andare dritti sulla strada del mestiere e dare la notizia oppure fermarsi davanti al divieto per non compromettere i rapporti futuri.
Attenzione, non parliamo di corridori in vista che cambiano squadra. Sapevamo da un pezzo che Elisa Longo Borghini sarebbe passata alla UAE e che la Consonni dalla UAE sarebba andata invece alla Canyon. Sapevamo che Marta Cavalli fosse in viaggio verso il Team DSM Firmenich, come che Albanese e Battistella fossero destinati alla Ef Education. Bettiol all’Astana e Garofoli alla Soudal-Quick Step: in quei casi ci sta di reggergli il gioco e uscire col pezzo assieme al comunicato. Se però parliamo di dilettanti che hanno fatto bene, ma per ora non si sono conquistati prime pagine o grandi vittorie, dove sta la logica?
Il nodo del 10 dicembre
Nel ciclismo che costa sempre più caro, accade anche questo. Con un po’ di ironia e se non ci costringesse a tenere in stand by articoli già pronti, potremmo trovarlo persino divertente. Tuttavia crediamo sia la spia di una chiusura embrionale nei confronti dei media. La causa potrebbe risiedere nella capacità delle squadre di raccontare la propria verità con contenuti social che a loro avviso bastano per il racconto. Lo raccontò anche Paolo Barbieri, press officer appena uscito dalla Lidl-Trek. La nuova ventata di addetti stampa, evidentemente imbeccata dai loro datori di lavoro, non ama il contatto fisico dei media con i corridori. Tende invece a prediligere le interviste online e a ridurre al minimo le altre.
Un’altra dimostrazione viene dalla prossima gestione dei media day (il giorno in cui le squadre aprono il proprio ritiro ai giornalisti). Il 10 dicembre sarà un bel crocevia. Saremo infatti al cospetto di Pogacar e delle due UAE: quella degli uomini e quella delle donne. Nello stesso giorno, si avrà il media day del Team Bahrain Victorious. Alla richiesta di pensare a un’altra data, ci è stato risposto che gli allenatori hanno previsto che il 10 dicembre sia il giorno di riposo in cui i corridori possono fare interviste. Al netto dell’imbarazzo di chi certe risposte deve darle, traspare il disinteresse di chi governa le squadre. Dato che la richiesta è stata fatta un mese prima del giorno in questione, davvero non era possibile modificare il piano? Hanno davvero scelto gli allenatori? E se la soluzione è che anche i media debbano presentarsi in Spagna con 2-3 inviati, siamo certi che tutti possano permetterselo? E che al contrario questo non si trasformi in un boomerang per le stesse squadre?
Tutti pazzi per Sinner
L’inverno, si sa, è nemico del ciclismo. C’è chi continua a seguirlo e approfondirlo, ma è evidente la sua scomparsa dalle pagine dei grandi quotidiani. Le redazioni specializzate al loro interno sono sparite. La stessa Gazzetta dello Sport che fino a qualche anno fa aveva un gruppo di 4-5 giornalisti distaccati soltanto sul ciclismo, ora ha una redazione di varie, in cui si muovono i colleghi che si occupano del nostro sport. Siamo certi, stando così le cose, che la testata abbia qualche interesse a investire ancora e non preferisca restare sul calcio e sul fenomeno Sinner?
Forse l’UCI, che spinge sulla mondializzazione e finora ha ottenuto principalmente il risultato di rendere tutto più costoso, potrebbe fermarsi a riflettere su questi dati. In Spagna e anche in Francia, dove L’Equipe resta un vero baluardo, la situazione è simile alla nostra: solo in Belgio sembra che nulla sia cambiato. Ci chiediamo invece quanto aver portato il ciclismo negli angoli più dispersi del mondo lo abbia reso motivo stabile di interesse, quindi anche lontano dai giorni degli eventi. La sensazione, come accade anche con alcune corse in Italia, è che il ciclismo arrivi qualche giorno prima, monti i palchi, mostri i suoi campioni, passi all’incasso e poi smonti le strutture, sparendo fino all’anno successivo. Non sarebbe forse il caso di riconnetterlo con le sue radici, spiegando a chi gestisce i team che l’irraggiungibilità potrebbe diventare motivo di disaffezione?