Dialogare con Matteo Donegà è sempre stato abbastanza facile. Con i suoi modi educati è un ragazzo che non ha paura a dire ciò che pensa, come non ne ha quando sale in bici. E così parlare con lui in questi giorni di europei in pista, poco prima di guardare in televisione le corse dei suoi colleghi, è lo spunto ideale per approfondire il discorso.
Dopo una vita al CTF Victorius, diventato ora ufficialmente devo team della Bahrain, il 26enne ferrarese di Bondeno ha trovato nell’Arvedi Cycling il giusto approdo nel quale riscattare un 2024 a corrente alternata e rilanciarsi. Ora Donegà è nel pieno degli allenamenti in vista dell’esordio su strada a Misano il 23 febbraio e vuole iniziare col morale giusto.


Matteo con che stato d’animo stai seguendo gli europei in pista?
Li sto guardando volentieri perché amo la pista, ma non nascondo che lo faccio con un po’ di rammarico. Sapevo che non c’era la possibilità di andarci. Anche se Marco (il cittì Villa, ndr) non me lo ha comunicato, me lo ha fatto capire perché non mi ha chiamato nei ritiri pre-europei.
Non hai provato a contattarlo tu?
Onestamente non ho insistito nel chiamare Villa perché so che stava attraversando un periodo non semplice. Le voci dell’ultimo mese lo danno in uscita da cittì della pista per diventare quello della strada. So che questa cosa lo turba e forse non aveva la necessaria attenzione per poter parlare con me. Aveva cose più importanti a cui pensare. In compenso avevo parlato con Bragato per dirgli che io sono disponibile per partecipare alla Nations Cup di marzo (dal 14 al 16 a Konya in Turchia, ndr). Lui ha apprezzato la candidatura, ma mi ha risposto che bisognerà capire come si evolverà la situazione. Magari cambia il cittì e chissà cosa succede. Aspettiamo.


Resta aperta la porta per entrare in un corpo militare?
Ho investito quattro anni per provare ad entrarci e ci sto provando ancora, ma credo proprio che sia molto dura, forse più di prima. Ero in parola con l’Esercito e le Fiamme Oro, però so che ultimamente hanno aperto pochi concorsi. Mi sarei aspettato più supporto dalla nazionale, mi sarebbe bastato sapere anche se non c’erano possibilità così potevo fare una programmazione diversa. So che non sono l’unico che ha vissuto certe situazioni, tuttavia so che i tecnici hanno tanti corridori da seguire, anche più importanti di me, e quindi non faccio troppe recriminazioni.
Pertanto è stato un 2024 molto difficile?
Esatto. Era un anno olimpico e giustamente si lavorava ovunque in funzione di quello. Ne ero consapevole, però già da prima mi sono sentito messo ai margini dalla nazionale. Questo ha influito moralmente sulla mia programmazione e sulle mie prestazioni. Poi sono dovuto restare fermo per un mese e mezzo a causa di una caduta in cui mi sono rotto delle costole. Insomma, è stata una stagione altalenante. Per fortuna che ho avuto da Bressan (team manager del CTF, ndr) un grande aiuto.


In che modo?
Se non ci fosse stato Roberto e tutto il CTF non sarei riuscito a correre. Lui mi ha sostenuto tanto, mettendoci la faccia in più di una circostanza. Ad esempio lui ha cercato tanto di farmi inserire in un corpo militare, ma non poteva fare di più.
Quanto ti è costato lasciare il CTF?
Tantissimo, per me è stata davvero una seconda famiglia. Otto stagioni nella stessa società non si possono dimenticare in un secondo, tant’è che anche adesso mi faccio seguire dal CTF Lab. Però abbiamo fatto una scelta di comune accordo. Quest’anno la squadra è il devo team della Bahrain a tutti gli effetti. Le decisioni non arrivano più da Bressan o Boscolo e in squadra non c’era la necessità di avere un pistard. E’ stata una scelta obbligata, condivisa e comprensibile.



Nella Arvedi Cycling hai trovato una buona squadra e soprattutto tagliata per le tue caratteristiche.
Sì, sono molto contento di essere arrivato qua, dove trovo tanti compagni di nazionale, che sono ora a Zolder a giocarsi le medaglie continentali. Sono in una squadra che vive e interpreta la pista come me. Abbiamo già stilato un buon programma di gare, specialmente quelle adatte a noi pistard. Ad esempio siamo ben coperti con Boscaro che su strada è molto veloce, ma anche Galli può fare molto bene in certe corse.
Alla luce di tutto quanto e considerando quanto ha dedicato alla pista, se Matteo Donegà tornasse indietro c’è qualcosa che non farebbe?
Ultimamente me lo sono chiesto tante volte. Nel 2024 ho pensato seriamente di smettere col ciclismo. Se potessi tornare indietro, probabilmente non avrei abbandonato la strada così presto e così nettamente. Adoro la pista e all’epoca puntavo a diventare un seigiornista puro, solo che poi è cambiato tanto anche in quel mondo. Sono un classe ’98 e non mi sento vecchio, però di Sei Giorni ora ce ne sono meno e sono diverse rispetto a prima. Adesso arrivano i giovani e tanti stradisti. Quindi bisogna stare al passo coi tempi.


Facendoti un grande in bocca al lupo per il 2025, ti sei dato degli obiettivi?
Su strada con l’Arvedi cercherò di togliermi qualche soddisfazione ed essere un riferimento per la squadra. In pista mi piacerebbe tornare ai livelli di Cali 2022 quando vinsi l’oro nell’omnium alla Nations Cup e per i motivi che dicevo prima, vorrei guadagnarmi nuovamente l’azzurro per la prossima Nations Cup. Punto agli italiani in pista visto che l’anno scorso non si sono disputati. Diciamo che in generale vorrei fare una stagione migliore della scorsa.