Agli ultimi europei su pista che hanno visto l’Italia protagonista, una buona fetta della nazionale era composta da atleti dell’Arvedi Cycling, che ha portato a casa i bronzi di Francesco Lamon con il quartetto e di Stefano Moro nel keirin. Non è un caso, perché la società lombarda è nata proprio sulla base di un progetto che vede la pista come obiettivo privilegiato.
Stiamo parlando di un team diverso da tutti gli altri, nato nel 2019 proprio per dare una “casa” a molti pistard e consentire loro di abbinare alla stagione nei velodromi anche la necessaria preparazione e attività su strada. Un progetto condiviso, per certi versi voluto dalla Federazione che aveva bisogno di un team di appoggio per coloro che non hanno contratti nelle squadre WorldTour come Ganna o Milan.
Alla guida del team, come presidente e team manager, c’è Massimo Rabbaglio, da sempre attratto dall’attività su pista fino al punto di fare questa scommessa rivelatasi vincente: «Abbiamo 13 ragazzi nel nostro roster – racconta – e la loro attività la gestiamo in perfetta sintonia con le indicazioni e le esigenze di Villa. Quando non ci sono impegni su pista, portiamo i ragazzi a gareggiare su strada, anche se Lamon e Scartezzini hanno una tale mole di impegni tra allenamenti e gare nei velodromi che raramente riescono a trovare tempo e spazio anche per la stagione su strada».
Questo comporta una gestione un po’ diversa rispetto a quella di qualsiasi altra società…
Sicuramente, ma non significa che non seguiamo un calendario compiuto, come le altre. Gareggiamo nelle prove nazionali e anche in molte internazionali. Chiaro che esso viene stilato in base agli eventi e alla preparazione su pista, mettendo in condizione chi non è impegnato di gareggiare su strada e mantenere la condizione. D’altronde abbiamo verificato come l’attività su strada e quella del gruppo endurance siano molto compatibili. E’ chiaro però che per qualcuno l’attività su strada è un complemento per la pista, ma non è detto che per tutti sia così.
Ci sono anche casi inversi?
Basta guardare l’esempio di Mattia Pinazzi, che proprio dalla pista e dall’attività con noi ha tratto spunto per mettersi in luce e guadagnarsi un contratto con la VF Group-Bardiani. Per noi il suo ingaggio è stata una grande soddisfazione, un premio per il nostro lavoro. L’impegno con noi si compendia con quello della nazionale completando la crescita dei ragazzi, poi qualcuno troverà posto fra i professionisti, qualcun altro in un corpo militare come Lamon e Moro che sono nelle Fiamme Azzurre. O magari avrà una professione nell’ambito del ciclismo, come meccanico o preparatore.
Com’è nata questa idea diversa da tutte le altre?
E’ stata quasi un’intuizione, quand’ero alla Biesse-Carrera come diesse e gestivo i giovani della Arvedi. La pista mi è sempre piaciuta, ho pensato che un progetto simile mancasse nella crescita della specialità e poteva essere molto utile. Abbiamo iniziato con 6 atleti, c’erano già Lamon e Moro e con loro Attilio Viviani, Plebani, Giordani. Il nostro lavoro ha sempre per obiettivo le Olimpiadi, portare almeno un ragazzo a Parigi sarà una soddisfazione enorme com’è stato l’oro di Lamon a Tokyo.
Il programma della strada viene quindi compilato in base alle indicazioni che arrivano dal settore della pista?
Sì, decidiamo assieme. Spesso i ragazzi fanno blocchi di attività su strada per acquisire fondo che sarà poi utile su pista. E’ un sistema che funziona, una strategia che andrà avanti anche oltre l’appuntamento olimpico parigino.
Guardate già a Los Angeles 2028?
Non potremmo fare altrimenti. Il nostro è un lavoro che si gratifica e si compensa in base ai risultati dei ragazzi in nazionale, anche se poi qualche soddisfazione su strada ce la togliamo sempre. I ragazzi migliorano proprio grazie alla doppia attività. Galli è un esempio, lavorando con noi ormai è un riferimento per la nazionale maggiore e ad Apeldoorn ha già avuto modo di mettersi in luce.
Avete mai pensato a un progetto simile per le donne?
Per ora no, potrebbe essere una nuova strada, ma servirebbe un impegno che da parte nostra attualmente non possiamo garantire senza contraccolpi. Lo stesso dicasi per l’ingaggio di corridori stranieri come avviene nelle altre società. Noi siamo concentrati su uno scopo e lavoriamo per quello.
Quanti ragazzi avete?
Nove under 23 e quattro elite, è un numero adeguato per fare un’attività fatta bene. Considerando anche di loro 11 sono effettivamente disponibili perché due fanno velocità e quindi seguono una programmazione diversa che praticamente non contempla impegni su strada.
Da dove ti viene tutta questa passione?
Il ciclismo è sempre stata la mia vita. Ho corso fino ai dilettanti, poi sono stato diesse in tutte le categorie, anche fra i professionisti. Ora presiedo un team di livello continental seguendo un progetto che è completamente originale. Sono ormai 14 anni che vivo e lavoro per questo team e la collaborazione con la federazione nata nel 2019 è stata uno step che mi ha dato nuovo vigore. La corsa verso le Olimpiadi coinvolge anche me e mi sento esaltato al pensiero.