Ne sono passati tanti, di campioni, attraverso le strade del Giro della Lunigiana. Ne abbiamo sentito parlare pochi giorni fa da Johnny Carera, come cartina al tornasole per corridori di sicuro avvenire (in apertura il podio 2019, con Piccolo davanti a Martinelli e Piras). La storia della più importante corsa a tappe italiana per juniores ha subìto lo scorso anno l’ultimo stop, naturalmente per Covid, ma nel corso della sua evoluzione non è stato un caso isolato. Basti pensare che dal 1950 la gara, che era nata nel 1929 per mano dell’Us Vezzanese, era stata cancellata dai calendari, per poi essere ripresa in mano dall’Us Casano nel 1975. Da allora si era andati avanti ininterrottamente fino al 2014, anno nel quale la corsa era saltata per problemi interni all’organizzazione, attraversando anche il grande passaggio dalla categoria dilettanti a quella junior, all’inizio degli anni Ottanta.
Corsa di casa
Renato Di Casale, direttore generale della corsa, è un po’ la memoria storica del Giro, sempre disegnato in questo territorio di confine fra Liguria e Toscana con tutte le tappe fra le province di La Spezia e Massa Carrara (anche se in qualche edizione si “sforò” nel Pistoiese con la tappa di Lamporecchio).
«La cosa curiosa – dice – è che il Giro della Lunigiana rinacque per dare un terreno di battaglia fra due grandi rivali dell’epoca. Corrado Donadio, che quel Giro lo vinse, era sempre sfidato da un corridore di La Spezia, allora pensammo che una gara a tappe potesse essere l’ideale per dirimere la questione e così fu».
Paesi e regioni
Il passaggio alla categoria juniores comportò anche un regolamento particolare.
«Il Giro doveva essere per rappresentative – dice – questo consentì l’adesione di nazionali estere. A cominciare dal 1979 con Cecoslovacchia e Polonia e la presenza delle squadre del Blocco dell’Est, rimase sempre una caratteristica della corsa, uno dei pochi punti d’incontro tra americani e sovietici sui pedali. Potevano partecipare le squadre nazionali e le rappresentative regionali, metà e metà, con qualche eccezione. Non potevamo non dare spazio anche alla società organizzatrice e alle formazioni di rappresentanza per le province interessate… Erano tempi molto particolari, ricordo ad esempio un anno nel quale la nazionale polacca non voleva rientrare in patria e qualche corridore scappò… Il Giro della Lunigiana divenne il corrispettivo autunnale e per junior del Giro delle Regioni, che si svolgeva in primavera ed era riservato ancora ai dilettanti».
Cunego e Nibali
Nel corso degli anni sono tantissimi i corridori passati attraverso il Giro della Lunigiana che poi hanno avuto una grande carriera professionistica. Qualcuno era ancora acerbo, come nel 1982, quando la nazionale italiana presentò gente come Gianni Bugno e Franco Ballerini, ma la corsa la vinse il sovietico Yuri Abramov (Bugno però era finito secondo l’anno prima). Sulle sue strade hanno pedalato anche campioni del mondo come Moreno Argentin, Maurizio Fondriest e Paolo Bettini, terzo nel ’92.
«Io però – riprende Di Casale – ne ricordo due che già da junior erano vincenti: Damiano Cunego primo nel ’98 e Vincenzo Nibali nel 2002, si vedeva che ne avevano tanto di più degli altri, soprattutto il grande siciliano».
Aspettando Brenner
Tanti altri che al Giro sono emersi non sono poi diventati campioni. Ripensandoci, a Di Casale viene però in mente un corridore dalla partecipazione molto recente e che ha ancora tutto il tempo per emergere.
«E’ il tedesco Marco Brenner (quest’anno al suo esordio fra i pro’ nel Team Dsm, ndr), che nel 2019 vinse tre tappe, ma non finì neanche sul podio tutto italiano, con la vittoria di Andrea Piccolo. Ebbi forte la sensazione che gli avessero fatto la guerra in casa, nella sua nazionale, per questo perse, senza nulla togliere all’azzurro».
Effetto Remco
Parlando di campioni passati per il Lunigiana, il direttore di corsa Alessio Baudone non ha però dubbi nell’indicare chi l’ha più impressionato.
«Remco Evenepoel, primo nel 2018 – dice – mai visto un corridore spaccare la corsa come lui, appena si partiva andava al doppio della velocità degli altri, un atleta potente e intelligente come nessuno. Un altro che andava davvero forte era lo sloveno Matej Mohoric, primo nel 2012, in discesa era veramente un funambolo già allora».
Il giallo Bettiol
C’è un episodio, risalente all’anno prima, che però ha segnato l’esperienza di Baudone alla guida della corsa ligure-toscana.
«Nel 2011 l’ultima tappa nacque sotto una cattiva stella – racconta – con un diluvio che costrinse a togliere la classica salita di Fosdinovo, appuntamento topico ogni anno. Su una curva verso Marina di Carrara ci fu un ruzzolone generale e dovemmo fermare la corsa. Alberto Bettiol, che era al comando della classifica, venne verso di noi dicendo che gli faceva molto male la gamba: lo portammo di corsa all’Ospedale di Sarzana, ma i controlli furono negativi e la dottoressa gli diede il nullaosta per tornare in gara. I responsabili del team della Lombardia piantarono una polemica enorme, ma avevo applicato i regolamenti e l’Uci mi diede ragione, così Bettiol si aggiudicò la gara».