AMEGLIA – Sotto il caldo sole della Lunigiana passano i corridori per arrivare al foglio firma, raggruppati per squadre. La maglia bianca della rappresentativa toscana è una delle ultime che passa, a pochi minuti dal via. Edoardo Cipollini chiude il gruppetto dei suoi, distaccato e taciturno. Lo fermiamo per parlare con lui, nei giorni precedenti c’è stato l’annuncio che passerà alla Colpack-Ballan. Ci parla della scelta e della sua stagione non facile, a causa della scomparsa del padre di un mese fa.
«La stagione è partita bene fin da subito – dice Cipollini – sono arrivato secondo in una delle prime gare, uno dei 7 secondi posti ottenuti quest’anno. Da lì raramente sono uscito dai primi cinque, ho ottenuto anche tanti piazzamenti e vinto 3 corse. Comunque una stagione, dal punto di vista dell’attività, che mi ha portato ad essere settimo in Italia per punti».
Qual è stata la crescita che hai sentito di più rispetto all’anno scorso?
La crescita la devo soprattutto al passaggio alla Work Service Speedy Bike, perché mi hanno rivoluzionato il modo di allenarmi. Fino allo scorso anno ero seguito da mio padre, che è venuto a mancare recentemente. Lui aveva una visione del ciclismo più classica, per cui mi faceva allenare solo due volte a settimana. Di conseguenza l’anno scorso non mi sono espresso moltissimo.
Quest’anno sei passato ad allenamenti più specifici?
Sì, e questo mi ha concesso un netto miglioramento. Lo devo alla squadra e in particolare a Matteo Berti e Fabio Camerin, che sono i miei diesse.
Il contatto con la Colpack quando è arrivato?
Verso giugno-luglio, quando iniziavano a costruirsi le squadre per il 2024. Ho iniziato a guardarmi intorno, avendo fatto una buona stagione ho voluto puntare alle migliori squadre. Sicuramente la Colpack a livello italiano è tra le prime realtà e quindi sono andato a parlare con loro a Villa d’Almè.
Che cosa hai trovato?
Un ambiente bello, curato e molto competitivo. Ti fanno trovare tutto pronto, dando ai ragazzi il giusto modo di esprimersi. I loro atleti sono sempre andati forte, questo è stato un fattore che mi ha spinto a prendere questa scelta.
Come stanno andando queste ultime settimane?
Erano andate bene, perché una decina di giorni prima che se ne andasse mio padre avevo vinto tre corse. Il periodo era molto bello, poi è successo quello che è successo, ma il ciclismo mi ha aiutato molto. Mi ha dato una mano ad avere degli obiettivi in testa. Un grande aiuto l’ho trovato in mia madre e nei miei amici, specialmente con Cavallaro. Insieme abbiamo fatto primo e secondo al Giro del Veneto e per me lui è come un fratello. Mi ha aiutato molto: uscendo tutti i giorni, tirandomi su il morale.
Tu come stai?
Diciamo che sono riuscito a superare questo momento, nei primi giorni, pensando di correre per mio padre. Infatti due o tre giorni dopo che è scomparso sono arrivato terzo ad una corsa in Toscana, muovendomi bene. La settimana prima del Lunigiana però sono stato malato, con 40 di febbre e sotto antibiotico. Dal punto di vista morale è stata la mazzata definitiva, ci puntavo molto a questa corsa. Ci tenevo molto a fare bene qui, ho provato anche a fare qualcosa ma mi sono reso conto che sia il fisico che la testa non sono a posto.
Quando la testa non c’è anche le gambe fanno molta più fatica.
Sì, nella seconda tappa ho provato ad andare in fuga (foto Fruzzetti in apertura) ma non ero in condizione. Infatti penso di essere arrivato ultimo. Peccato perché il mio allenatore, Matteo Berti, è di Massa e ci tenevamo a fare bene. Ma in queste condizioni era difficile riuscire ad esprimermi. Da qui a fine stagione dovrò trovare nuovi piccoli obiettivi. Il fatto di avere già una squadra per il prossimo anno potrà essere un aiuto.