Il primo squillo tutto azzurro della stagione arriva dall’Australia. Qualcuno potrà dire che è uno squillo sommesso, che parliamo solo della vittoria nella classifica per le giovani. Ma se si tratta di una prova del WorldTour, anzi di quella che di fatto lo ha aperto, ha pur sempre un suo valore. Nel Santos Tour Down Under Eleonora Ciabocco ha portato a casa la maglia della migliore nella classifica specifica e questo conta, anche perché la ragazza di Macerata è stata la migliore delle italiane.
Per lei quella agli antipodi non era la prima trasferta così lontano: «In Australia ero già stata ai mondiali di Wollongong e poi lo scorso anno, sempre al Santos Tour Down Under, ma se devo dire questa è stata un’esperienza diversa».


Perché?
Intanto perché mi sono sentita più sicura di me stessa, cresciuta a livello mentale e come coscienza delle mie capacità. Poi perché la squadra mi ha dato una grande responsabilità: ero in pratica la regista in corsa e questo per una ragazza di soli 20 anni non è cosa da poco, significa che hanno grande fiducia nelle mie qualità. Penso che molto dipenda anche da quel che avviene al di fuori delle corse: in quest’anno il mio inglese è migliorato molto, poter comunicare con maggior facilità aiuta. Ora devo dire la verità: mi sto godendo il mio team, il rapporto con le altre molto più di prima.
Che valore ha la tua prestazione?
Io credo che sia un bel segnale, anche perché non l’ho inseguito specificamente, è arrivato un po’ per caso. Io ho continuato a svolgere i miei compiti: non avevamo una capitana che puntava alla classifica, si operava soprattutto per le singole tappe, si cercava di leggere al meglio ogni situazione tattica e il fatto che chiedessero a me che cosa fare credo abbia un valore anche superiore alla classifica finale.


Che corsa è stata?
Il livello era sicuramente alto e le corse non sono sempre andate com’erano i piani. La prima tappa ad esempio eravamo convinti che sarebbe finita in volata e infatti tutte lavoravamo per Rachele (Barbieri, ndr), cercavamo di tenere chiusa la corsa per favorire lo sprint, invece nel finale molto tecnico è andata via la Hengeveld. La seconda era la più impegnativa, infatti nella prima salita ho perso terreno e faticavo. Lì la squadra si è messa a mia disposizione per farmi superare la crisi e infatti sono rientrata. Le compagne mi portavano ghiaccio e borracce perché soffrivo molto il caldo.
Che ha contraddistinto anche la tappa finale…
Sì e per noi che venivamo dall’Europa il contraccolpo termico c’è stato, alcune lo hanno superato meglio, altre come me no. In certi momenti proprio non si respirava…






E’ stata, quella australiana, una corsa abbastanza sorprendente nel suo epilogo finale, vi aspettavate la vittoria della svizzera Ruegg?
Sinceramente no, ma più che la sua vittoria mi ha colpito quella dell’olandese nella prima che per certi versi mi ha anche fatto piacere. Fino allo scorso anno correvamo insieme, la conosco bene e so che è forte.
La trasferta australiana ora va avanti, che cosa hanno chiesto a te?
Continuerò nel lavoro a favore del team, anche perché alla base del nostro gruppo c’è proprio questa commistione di ruoli. Per noi conta che a vincere sia il team, non il singolo. Ognuna corre per le compagne. Certamente poi se capiterà l’occasione mi farò trovare pronta, intanto quella maglia messa in valigia è sempre un’iniezione di fiducia, anche perché come detto è arrivata per caso, io ho sempre pensato a lavorare per le altre senza guardare la classifica. Infatti nella tappa finale, dopo aver esaurito i miei compiti mi sono lasciata staccare.


In che cosa pensi di essere migliorata?
Credo che il mio rendimento in salita sia migliorato, lo dicevano i numeri in allenamento e l’ho constatato anche in corsa. Ma siamo a inizio stagione, è ancora molto presto per dare giudizi. I veri obiettivi credo arriveranno tra maggio e luglio, voglio guadagnarmi la selezione per i grandi giri, poi lì vedremo che cosa fare, magari trovando anche spazio per le mie aspirazioni personali.