DSM, leadout e niente pista, quante novità per Barbieri…

22.10.2024
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Una delle atlete italiane che si è meglio comportata in questa stagione è stata Rachele Barbieri. L’emiliana si è distinta per la sua costanza di rendimento, per i numerosi piazzamenti nelle prime dieci e per le belle volate tirate alla compagna Charlotte Kool.

Barbieri ha archiviato la sua prima stagione con la DSM-Firmenich, una stagione foriera di grosse novità: il team stesso, il ruolo di leadout, l’abbandono della pista. Scopriamo dunque con lei come è andata. Prima però vi diamo un dato che la dice lunga: 49 giorni di corsa, contro i 34 dell’anno passato. Sette corse a tappe (tutte lunghe), contro le cinque del 2023.

Baloise Ladies Tour: volata della prima tappa. A destra, Barbieri in testa per la compagna Kool
Baloise Ladies Tour: volata della prima tappa. A destra, Barbieri in testa per la compagna Kool
Primo anno in DSM, come è andata, Rachele?

E’ stato un bell’anno, un anno soddisfacente. Mi sono messa alla prova in un ruolo che non ero abituata a fare, quello del leadout, quando invece fino all’anno prima ero io la velocista. Però ho imparato tanto.

Da Liv a DSM: altri metodi, immaginiamo…

Questa è una squadra nella quale si analizzano tanto le corse, prima e dopo. Si arriva alle gare preparati. E questo mi piace. Dico sempre: «Ad averla trovata prima una squadra così». Le giovani possono imparare, crescere e diventare brave ad avere una visione di corsa. Per me questo è l’aspetto più evidente della DSM-Firmenich. Così come il fatto che ognuna in gara ha il suo ruolo ben preciso. E questo contribuisce a farci dare il 110 per cento in ogni corsa. Non capita mai di arrivare che qualcuna fa quello che vuole.

Quando hai deciso di passare in questa squadra sapevi che c’era la Kool ovviamente: dovevi dunque fare solo la leadout o potevi avere anche i tuoi spazi? 

Sì, sì… quando ho firmato gli accordi erano questi: io sarei entrata in squadra per fare la leadout a Charlotte. Mi è stato detto bene fin da subito. Venivo da una squadra un po’ più piccola, nella quale ho sempre fatto io le volate, ma quando c’è meno organizzazione spesso il risultato pieno non viene. E fa rabbia. Questo mi ha portato ad essere molto convinta di voler investire su me stessa, di specializzarmi in questo ruolo e di farlo con l’idea di crescere. Ho 27 anni e per questo ciclismo inizio ad essere un po’ vecchietta.

Dai, vecchietta no. Matura!

Resto convinta che è l’età giusta per specializzarsi e per crescere definitivamente. Poi si vedrà negli anni dove potrò arrivare. Quando ho avuto le mie opportunità, all UAE Tour e a Drenthe ho fatto bene. Negli Emirati ho fatto seconda dietro a Wiebes, l’atleta più forte e difficile da battere. E a Drenthe ho fatto terza. Riesco pertanto a mantenere un buon livello da velocista. Quando ho l’opportunità di potermi giocare le mie carte sono pronta. E questo mi rende orgogliosa.

L’inserimento di Rachele Barbieri nella DSM-Firmenich è andato alla grande. Il suo contratto arriva fino al 2026
L’inserimento di Rachele Barbieri nella DSM-Firmenich è andato alla grande. Il suo contratto arriva fino al 2026
Il ruolo di leadout è nuovo per te, c’è qualcuno dei colleghi uomini o extra team che ti ha dato qualche consiglio su come fare questo ruolo?

No e neanche al di fuori. Come ho detto facciamo tanta analisi con il team. C’è molto scambio d’informazioni. La stessa Charlotte mi ha insegnato tanto, idem Georgi Pfeiffer, che è più esperta. Sono io che faccio mille domande. Mi sembra sempre che gli altri ne sappiano di più! Anche se poi quando sei in gara certe cose ce l’hai nell’istinto.

Dentro di te quindi come hai approcciato questa nuova avventura?

Come un anno di passaggio. Sono cambiate tante cose per me, anche il discorso di non fare più la pista comunque è stato un grosso cambiamento. Ho cambiato anche il preparatore… per questo dico che è stato un anno di passaggio. Mi serviva del tempo per capire come il mio fisico e la mia testa si sarebbero adattati. Spero dal prossimo anno di fare un salto di qualità anche nelle gare un pochino più impegnative.

Prima, Rachele, hai detto che è stato un anno per imparare, ed effettivamente qualcosa da migliorare c’è. Tu e Kool siete una coppia che funziona bene, ma c’è anche qualcosa da mettere a punto. In cosa dovete migliorare?

Premesso che ogni volata ha la sua storia, a mio parere abbiamo trovato molto velocemente il feeling. Charlotte si è fidata tanto di me e quindi è stato tutto semplice. Ma per questo è stato importante avere davanti a me Pfeiffer Georgi. Lei era la sua vecchia leadout e oggi è una guida abile ed esperta. Pfeiffer spesso e volentieri è stata davanti a me. Poi è capitato che provando tattiche diverse qualcosa non sia filato perfettamente. Ma dovendo sfidare la velocista più forte, ci sta che si provi qualcosa di diverso, che si provi ad inventare qualcosa. Mi rendo conto che dalla tv le volate sembrano tutte uguali, ma in realtà non è così.

Certo, magari anticipate, ritardate, o tu fai un buco…

Per esempio, a De Panne ma anche in altre gare, abbiamo dimostrato che quando vogliamo fare il treno e partiamo noi dalla testa, il treno funziona. Siamo veloci, riusciamo a stare davanti e mettiamo Charlotte nella posizione migliore per fare la volata. Poi, ripeto, ci troviamo contro un’atleta fortissima come la Wiebes e ci sta anche che se lasci la tua compagna in posizione perfetta non si riesca a vincere. Però questo non vuol dire che fai le cose fatte male o, al contrario, che se vinci non ci sia niente da migliorare.

Nel periodo delle classiche del Nord, Barbieri vive in Olanda in un appartamento messole a disposizione dal team (foto @tornanti_cc)
Nel periodo delle classiche del Nord, Barbieri vive in Olanda in un appartamento messole a disposizione dal team (foto @tornanti_cc)
Rachele, hai parlato di nuova preparazione e nuovo preparatore. Per questo ruolo di leadout hai fatto qualcosa di specifico?

Ho cambiato completamente il modo di allenarmi e non solo per il ruolo di leadout. Prima facendo pista mi servivano cose un po’ diverse. Andando in pista, anche due volte a settimana, su strada lavoravo in modo diverso. Dovevo adattare il lavoro della strada a quello della pista. Adesso che la mia priorità è la strada ho molto più spazio per poter fare magari dei veri blocchi di lavoro in determinati periodi, o semplicemente fare più distanze, più lavori specifici.

E senti la differenza?

Ad inizio anno un po’ ho faticato. Ho avuto anche un problema alla schiena al primo ritiro e questo ha rallentato un po’ la mia preparazione. Poi però sono riuscita ad essere abbastanza costante, specie dall’italiano in poi. Sicuramente ho finito meglio di come ho iniziato, quindi spero che questo mi porti alla prossima stagione in condizioni migliori.

E infatti stavamo per dire che forse il vero cambiamento di questa rivoluzione lo noterai il prossimo anno. Dopo un vero riposo e una lunga stagione su strada con tante gare a tappe…

Esattamente. E poi non è da sottovalutare anche il fatto che il mio preparatore, essendo nuovo, aveva necessità di conoscermi prima di farmi fare determinati carichi. Un esempio semplice: con due allenamenti in pista già partivo con due allenamenti in meno su strada. Per una pistard come me aver fatto tante gare a tappe si è fatto sentire sicuramente, ma mi ha anche aiutato tanto. E infatti anche per questo sono contenta per l’off-season, ma ammetto anche che non vedo l’ora di iniziare la prossima stagione per mettermi alla prova.

Sei passata da una squadra olandese… a una squadra olandese. Che differenze ci sono? Parliamo anche di differenze concrete, come la casa, la sede del team…

Abbiamo la possibilità di vivere tutto l’anno in Olanda: ogni ragazza ha un appartamento a Sittard, vicino alla sede della squadra. Però io non vivo lì perché sono contenta di stare in Italia, anche per il clima. Ci resto fissa solo nel periodo delle classiche: è molto comodo e mi evita di fare avanti e indietro. Per il resto cosa dire: mi sono trovata molto bene anche in Liv, avevo un bellissimo rapporto con loro ed è stato anche difficile venire via. Mi sentivo a casa. Ma il progetto della DSM mi piaceva, volevo provare questa avventura. La DSM, essendo una squadra sia maschile che femminile, addirittura anche con il devo team, è molto più grande. Anche solo l’organizzazione dello staff è diversa. Prima c’era un rapporto po’ più familiare, di qua c’è più un sistema. Questa è la differenza più grande, poi in realtà il gruppo lo fanno gli atleti.