Al momento di rilevare la Ale-BTC-Ljubljana, Mauro Gianetti ha lasciato tutto com’era, ma nel ruolo di team manager, che fino a quel momento era stato di Alessia Piccolo, ha messo Rubens Bertogliati. Lo svizzero, che ha smesso di correre nel 2012, faceva già parte dello staff del UAE Team Emirates come allenatore. Eppure, quando gli è stato proposto il nuovo incarico, ha accettato di slancio con la curiosità che ha sempre accompagnato la sua carriera.
«L’ho saputo a fine settembre – dice – quando Mauro me lo ha chiesto. Avevo ancora da fare il Giro di Sicilia e intanto ci pensavo. Poi quando a fine ottobre c’è stato il meeting di squadra ad Abu Dhabi, abbiamo preso la decisione. Ho detto di sì, perché in ogni caso è un’esperienza in più. Posso portare nel ciclismo femminile il bagaglio dei pro’ e quella che ho maturato nell’ambiente giovanile della Federazione svizzera. E poi non è niente di nuovo. Quando si va fuori con la nazionale, ci sono gli uomini e ci sono anche le donne…».
E come va?
Devo dire tutto bene. Quando si forma una squadra, anche se parte da una base che già c’era, ci sono cose da fare. Le maglie che devono arrivare, le bici, i mezzi… Può cambiare la categoria, ma le cose da fare sono sempre le stesse. Da parte mia, devo abituarmi alla nuova realtà. Sono qui nel ritiro, in questi giorni le abbiamo seguite. E anche se il passo dei professionisti è un altro, a vederle in salita a me è parso che vadano forte.
Il tuo sarà anche un ruolo tecnico?
Non farò l’allenatore, se è questa la domanda, né il diesse. Invece con gli uomini continuerò a lavorare come allenatore, ma farò poche trasferte e solo se la squadra avrà bisogno di una mano.
Che cosa ha portato Bertogliati nel team?
Lo schema di lavoro del professionismo. La Alè-BTC-Ljubljana era basata su una casa madre che era anche sponsor, con la presidente che voleva la squadra. Alle spalle della nostra squadra invece c’è un Paese che ci ha dato delle linee guida importanti e degli sponsor molto grandi. Non abbiamo fatto altro che portare la nostra filosofia.
Questo è avvenuto prendendo per buono tutto quello che c’era oppure cambiando qualcosa?
C’è stata prima la fase dell’osservazione e ora quella dell’imposizione del metodo di lavoro, che però in parte già c’era. Il passo successivo è crescere. Se serve un coach per le ragazze, stanziamo il budget e lo prendiamo. E’ comunque un primo anno, anche se il gruppo è ben consolidato.
Quanto servirà per andare a regime?
Faremo il fine tuning, come si dice, durante l’anno e dai prossimi si comincerà a crescere. Mi trovo bene. Le persone con cui lavoro sono motivate e lo staff selezionato da Fortunato Lacquaniti è ben assortito. Lavorano e ci supportano bene, sono persone di qualità.
Seguirai le gare?
Cercherò di esserci alle più importanti, ma lascerò ai tecnici la scelta delle atlete, perché le conoscono meglio di me. E’ bene che in questa fase io resti un passo indietro, perché non conosco le avversarie. Per ora mi accontento di conoscere le mie.
Che rapporto hai con le atlete?
Le trattiamo come professioniste, anche se in Italia questa figura non è contemplata, per cui tante ragazze sono inserite nei gruppi sportivi militari. Sono professioniste al top e con quei gruppi sportivi si riesce a lavorare, ma occorrerà mettere dei paletti per risolvere la cosa nell’interesse delle ragazze. Spero che dal 2023-2024 l’UCI risolva questa anomalia, il professionismo dovrà essere uguale per tutti. Io ad esempio ho scelto di lasciare Swiss Cycle, tenendo un impegno con la federazione regionale. Non si possono tenere i piedi in tante scarpe.
Gianetti è presente nella gestione oppure fa tutto Bertogliati?
Molto presente, per fortuna. All’inizio mi ha trasmesso il metodo di lavoro ed è venuto anche lui in ritiro per un paio di giorni. Sa che la squadra esiste, ma appena il team degli uomini entrerà nel vivo, anche lui avrà il suo bel da fare.
Dai una mano ai coach della squadra?
Li seguo e li ascolto volentieri per creare buone sinergie.
Chi si occupa di cercare nuove ragazze da inserire?
Fortunato ed io, devo dire che la mia presenza alle gare sarà legata proprio a un lavoro di scouting, nonostante i procuratori si stiano inserendo nel movimento. Potrebbe venir fuori una sorpresa. Il ciclismo femminile è legato a meno schemi. Mavi Garcia viene dal triathlon, ad esempio. Ho portato dentro Linda Zanetti, una ragazza svizzera che viene dalla mountain bike e che vuole concentrarsi sulla strada. E poi c’è la campionessa degli Emirati, Safia Al Sayegh, che ha dimostrato di avere dei bei numeri, ma deve crescere. E’ nata nel 2001, è importante per lei e per le ragazze del suo Paese.
C’è rivalità con gli uomini? Vi toccherà vincere il Tour?
Me lo chiedono in tanti (ride, ndr). Dobbiamo puntare a un ottimo risultato e abbiamo ottime atlete. Tadej (Pogacar, ndr) deve essere fonte di ispirazione, ma non di stress. Dobbiamo fare la nostra strada, ma sapendo che si tratta di un altro livello. Di sicuro la concorrenza interna stimola, ma il percorso del Tour non è troppo selettivo. I francesi sono stati cauti per la prima volta, ma credo che la Super Planche des Belles Filles farà selezione. Avremo il nostro percorso di avvicinamento. Di sicuro l’idea di correre il Tour Femmes è anche per noi un bello stimolo…