Giacomo Nizzolo, Davide Cassani, europei Plouay 2020

Cassani, il cross e un cambio di mentalità

10.11.2020
4 min
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Il ranking Uci aggiornato al 3 novembre, facciamo notare a Cassani, dietro gli sloveni Pogacar e Roglic, vede 4 corridori (Van Aert, Fuglsang, Van Der Poel, Alaphilippe) uniti da un comune denominatore. Hanno tutti un passato, che per alcuni è anche un presente, di campioni anche in altre specialità ciclistiche. Sono i leader di una nuova tipologia di ciclista, che non vede più la bici da strada come unico strumento per la propria attività e che ha nella multidisciplinarietà un caposaldo della propria evoluzione. Secondo Fausto Scotti qui da noi si tratta più di una chimera che di una prospettiva concreta. Ma è un concetto che nel ciclismo attuale è diventato fondamentale per capire la crescita di Paesi che non hanno una tradizione radicata come la nostra.

Il rilancio del ciclismo italiano deve passare obbligatoriamente attraverso questa nuova cultura e Davide Cassani, coordinatore delle attività nazionali oltre che cittì azzurro su strada (che nella foto di apertura è con Nizzolo fresco campione europeo), lo sa bene. Sin dall’inizio del suo mandato sta lavorando sulla base del movimento per rimodellarla su nuovi parametri.

«Il principio di base è che la bici è una – dice Cassani – ma può variare nel modello e nell’utilizzo. Per i bambini pedalare a lungo può essere noioso. L’attenzione ha un tempo limitato, hanno bisogno di cambiare spesso. Le caratteristiche specifiche emergeranno poi e chi continuerà potrà indirizzarsi verso la disciplina che più gli si adatta. E’ chiaro che poi bisogna scegliere, perché casi come Van der Poel o Van Aert sono più unici che rari. Ma sono molti i professionisti che d’estate fanno uscite in Mtb per cambiare e affinare la capacità di guida. Gli stessi Ganna e Viviani, attraverso la pista, sono cresciuti anche su strada.

Matteo Trentin, San Fior 2016
Trentin si è dedicato al cross, ma sempre meno con il passare degli anni (foto Billiani)
San Fior 2016, Trentin e il cross (foto Billiani)
Nazioni come la Francia hanno sempre basato lo sviluppo partendo dai bambini con le Bmx: sarebbe un primo passo attuabile anche in Italia?

Sarebbe sicuramente un grande passo avanti e si sta lavorando in tal senso. La Bmx si basa principalmente sul divertimento in spazi sicuri e ristretti. Il problema italiano è che mancano gli impianti, ma dall’inizio del mio incarico la situazione è migliorata, ora ne stanno costruendo due a Imola e Sant’Ermete, ultimamente ne ho visitato uno di 5.000 metri quadri, utilizzato anche per Mtb ed enduro, che ha richiamato oltre 80 bambini. E’ attraverso iniziative simili che si allarga la base di praticanti. Ne servirebbero sicuramente di più, ma è importante anche il lavoro dei volontari, tutto l’ambiente deve contribuire. E’ necessario però che siano i tecnici sul campo a mettere in pratica questo concetto, non indirizzando troppo presto i ragazzi verso la strada.

Elia Viviani 2019
La pista ha dato a Viviani armi infallibili su strada
Elia Viviani 2019
La pista ha dato tanto su strada a Viviani
Dall’ambiente del ciclocross arrivano spesso lamentele in questo senso e si citano esempi come Trentin e Aru…

Nel ciclocross, dopo l’uscita di scena di Pontoni e Bramati, abbiamo perso molti anni. Ora i numeri stanno crescendo, ma ci vorrà tempo per tornare a quei livelli. Intanto però ci sono molti giovani interessanti e alcuni di loro potrebbero trovare spazio anche su strada. Abbinare le due discipline ad alto livello è pressoché impossibile, la strada ormai va avanti da febbraio a ottobre, però il ciclocross può essere utile come forma di allenamento, permette di fare lavori diversi e molto utili. Lo stesso Alaphilippe non gareggia più sui prati da anni, ma non ha mai smesso di usare quella bici.

Quanto si dovrà attendere secondo Cassani per trovare un italiano capace di emergere su strada e in altre specialità?

Ci vorrà un intero quadriennio olimpico, poi qualcosa comincerà ad emergere. Ogni cosa ha i suoi tempi, molti giovani ad esempio passano al professionismo troppo presto, non avendo le basi per poi restare a quei livelli. Noi abbiamo perso un’intera generazione di scalatori perché per anni il calendario U23 prevedeva una sola corsa a tappe, il Giro della Val d’Aosta. Ora che da qualche anno è tornato il Giro d’Italia di categoria, cominciamo a vedere qualche nuovo talento, ma bisogna avere pazienza.