Gioele Bertolini è di fatto l’unico italiano (o quasi) che sta correndo con una certa costanza nella Coppa del mondo di ciclocross. Un impegno importante sotto tanti punti vista: muscolare, mentale, logistico.
Il corridore della Selle Italia Guerciotti riesce a raccogliere qualche punto e poi a fare bene, se non molto bene, in Italia dove il livello è inevitabilmente più basso. Che utilità hanno dunque queste trasferte se da noi si lotta per vincere e oltre confine si va per un piazzamento?
Gioele sei l’unico italiano in Coppa, come ci si sente?
Sto solo solo tra i giganti! L’ambiente bene o male è sempre lo stesso. Certo, quando c’è qualche italiano ci si spalleggia un po’ di più. Fa sempre piacere parlare, provare il percorso con degli amici, perché alla fine siamo tutti amici, e aiutarsi. Da parte mia le uscite che ho fatto nel Nord Europa le ho sempre fatte con la mia compagna di squadra Sara (Casasola, ndr). Abbiamo fatto gruppetto anche con il Trinx Factory Team, che è la squadra che mi appoggia d’estate quando faccio Mtb. Lì c’è Luca Bramati che è anche il mio preparatore, sua figlia Lucia che corre. Mentre tra gli uomini sono praticamente solo.
Come sta andando questa stagione?
Sin qui le corse non sono andate tanto bene, anche perché partendo un po’ indietro è sempre una gran faticata in partenza. E lì basta veramente poco per perdere il treno giusto. Ed ecco che hai già buttato mezza gara. Risalire è difficile. Però devo dire che ad Anversa ho sentito che la mia gamba girava meglio.
E infatti qualche giorno fa hai vinto…
E voglio continuare su questa strada e continuare ad ottenere buoni risultati, anche sabato prossimo in Val di Sole. Lì ci sarà tanto tifo e ci saranno anche tante aspettative su di noi. Spero di non deludere i tifosi.
Prima hai detto che ti appoggi anche alla Trinx e che provi il percorso con le ragazze, ma magari non è la stessa cosa che fare il giro con un Dorigoni che ha una potenza simile alla tua, la stessa velocità di entrata in curva, utilizza gli stessi rapporti… Sarebbe un confronto più indicativo?
Un po’ più indicativo sì, ma non così tanto. Diciamo che provando il giro con le ragazze, loro ne giovano di più perché io magari vedo cose che loro non vedono, riesco ad aiutarle nei tratti in cui fanno più fatica. Mentre io la traiettoria giusta devo individuarmela da solo. Però è anche vero che quando arrivi a un determinato livello devi saper fare da te. E poi – aggiunge – ogni tanto parlo e scherzo con qualche belga o olandese più simpatico!
Guardando il lato un po’ più romantico, diciamo così, quando parti da solo per andare in Belgio o in Olanda a lottare con i giganti e tu sei da solo, non ti scatta l’orgoglio del Davide contro Golia?
Ormai ci ho fatto l’abitudine, sono anni che faccio così. E poi alcune tappe, come quelle più lontane per esempio, non le faccio. Considerate che anche a livello logistico sono trasferte impegnative. Sono difficili da gestire nel loro insieme.
Analizzando i tuoi risultati in Coppa, viaggi tra la ventesima e la trentesima posizione, più o meno. Da fuori ci si può dire: “Fai queste grandi trasferte e poi fai fatica ad entrare nei primi 10”. Allora ci si chiede: servono davvero?
Io sono stato sempre dell’idea che quando un corridore in Italia vince deve uscire dai confini. Deve alzare il livello. Entrare nei primi 10 in Coppa è un grande risultato. Piuttosto, non capisco tanti atleti che in Italia arrivano decimi o quindicesimi e vogliono andare all’estero. Fare magari delle trasferte onerose, buttare via tempo ed energie. Io dico: prima cresci e fai i risultati in Italia, poi dopo vai all’estero. Perché se arrivi “esimo” in Italia e vai fuori rischi di non finire la gara e di non finirla molto presto. Perché il livello è veramente alto. Io mi ricordo di una gara che hanno finito in 16. Io ero stato uno degli ultimi a prendere l’80%. In 16 finiscono una corsa: questo ti fa pensare.
Quindi sei stato chiaro: serve…
Eccome. Ma bisogna anche essere realisti. Devi avere una buona base per andare lassù e non solo per la gara in sé stessa. Bisogna considerare che per andare in Belgio partiamo da soli. Dobbiamo prendere un volo, prendere una macchina e guidare delle ore per poi andare alla gara. Dobbiamo organizzare i pasti, il dormire. I belgi o gli olandesi partono sempre da casa. Il Belgio è grande come la Lombardia e alla fine da dove abitano in un’ora e mezza al massimo sono dappertutto.
Tutto è più facile…
Loro possono dire: «Corro, sabato poi torno a casa mia. Mangio, faccio quello che voglio, mi rilasso e la domenica corro». Oppure: «Dopo le prove torno a casa». E’ ben diverso partire dall’Italia il sabato o il venerdì sera per correre la domenica. Anche per questo loro fanno tutta la Coppa. Quegli atleti certi sbattimenti ce li hanno una o due volte l’anno. E’ ben diversa la situazione, lo stress, il viaggio…