Quasi come Oscar Freire. Sul traguardo di Verona, dove lo spagnolo vinse il campionato del mondo nel 1999, Edoardo Affini è stato autore di un attacco degno del migliore dei finisseur. È partito agli 800 metri e per qualche istante è sembrato anche che ce la potesse fare.
Un’azione di potenza, di classe, inaspettata. Un gesto tecnico come sempre più raramente se ne vedono.
Una sorpresa
«Non so neanch’io cosa sia successo – dice divertito il gigante della Jumbo Visma – La nostra idea era quella di fare il treno per Groenewegen. Un finale caotico dopo una tappa abbastanza semplice per cui tutti eravamo non dico freschi, perché a metà Giro non si può esserlo, ma c’era nervosismo. Era l’ultima occasione per gli sprinter e la velocità era altissima. Nell’ultimo chilometro ho trovato uno spazio 100 metri prima che ci si richiudesse con l’ultima curva. A quel punto ho pensato fosse il momento di andare, ma con la convinzione di avere alla ruota il mio velocista».
Ha fatto il vuoto
E in effetti Affini spinge come un forsennato. Guadagna 20-30 metri. L’inquadratura dall’elicottero lascia sognare.
«Spingevo, spingevo – racconta Affini – quando ho cominciato a guardare per terra sulla mia ruota posteriore e ho visto che dietro non c’era nessuno. A quel punto ho continuato a “blocco totale”… Nessuna comunicazione via radio. Mi sono mancati 15-20 metri penso, non di più. Ripeto: assolutamente non era un’azione programmata. E’ nata per caso sul momento».
Le scritte dalla maglia
A chi gli fa notare che a Torino aveva perso per un distacco maggiore, Affini sorride e annuisce.
«Ah sì! A Torino sono stati 10 secondi, qua non so… 15 metri. Andavamo a 65 all’ora quindi quanto sarà stato: un secondo forse?».
Fisico possente, il mantovano ha nelle corde questi numeri. È una sorta di Ganna anche lui, sia per le caratteristiche del cronoman che per i watt nelle gambe. E chissà che questa azione non possa dargli il “la” per nuovi scenari e nuove consapevolezze.
«Con la coda dell’occhio ho visto Nizzolo che risaliva come un razzo e, come si dice in gergo, mi ha tolto le scritte dalla maglia!».
Un po’ veronese
Affini è un po’ a casa anche lui come Formolo e Viviani. Ciclisticamente parlando è cresciuto nel veronese. Qui si è formato da allievo e da juniores, Pedale Scaligero prima e Contri Autozai poi. Stamattina lo avevamo visto al via tranquillo e sorridente. Parlava con il pubblico alle transenne prima di recarsi al foglio firma. Però ci aveva colpito il fatto che avesse scelto di correre con il body nonostante i 200 chilometri da fare.
«No, non c’entra nulla con il mio attacco. Di solito quando ci sono tappe così piatte con la squadra scegliamo il body e il casco chiuso aerodinamico».