Allo stesso modo in cui Nibali aveva abbracciato Scarponi a Risoul, l’indomani a Sant’Anna di Vinadio, Valverde si fermò in mezzo alla strada per aspettare Visconti. E quando il siciliano arrivò, lo spagnolo lo abbracciò così forte che ancora oggi Giovanni ne sente la stretta. Grazie al suo aiuto, il podio al Giro 2016 era cosa fatta.
L’ultimo saluto
Il rapporto fra Valverde e l’Italia era diventato difficile. Nella sua scelta di stare alla larga aveva inciso il coinvolgimento nell’Operacion Puerto: fu il prelievo eseguito dagli ispettori del Coni a Prato Nevoso, in quel solo giorno in cui il Tour passò per l’Italia, a portare alla sua squalifica. Quando però la scontò e tornò più forte di prima, in lui nacque il timore che il pubblico italiano non lo volesse tra i piedi. Fu proprio l’affetto percepito al Giro del 2016 a fargli cambiare idea. Tornarci a distanza di sei anni ha il sapore del saluto.
Il ragazzo di sempre
Le foto di Valverde alla partenza da Budapest hanno la luce del bimbo alle giostre. La pensa così anche Visconti, che a dispetto delle offerte e delle scelte successive, al Movistar Team ha vissuto alcuni dei momenti più belli della carriera.
«Conobbi bene Alejandro – racconta Visconti – quando firmai con Movistar. La sera stessa gli scrissi che era un onore correre con lui e mi rispose subito, dandomi il benvenuto. Si merita tutto l’affetto di cui gode, perché fondamentalmente è rimasto lo stesso ragazzo di sempre. Non è il tipo di ciclista che se la tira. Ha saputo superare momenti difficili, ma non ha mai smesso di sorridere».
Capita spesso di leggere tuoi post su di lui.
Mi viene spontaneo. Con Valverde ho imparato a essere corridore, il ciclismo fatto di sacrifici, umiltà e grinta. Ho iniziato a mangiare bene grazie a lui. Quando eravamo in Belgio, fu lui a convincermi a fare merenda con riso e tonno. Carboidrati e proteine, si metteva lì e mi spiegava. Oppure mi suggeriva come fare le borracce con aminoacidi e maltodestrine. E’ un generoso, condivide i suoi segreti. E in questo ciclismo di minime differenze, non tutti lo fanno.
Visto come è contento anche se fa secondo?
Perché anche quella è una vittoria. Ha più di 40 anni, ne è consapevole. Sa che ci sono ragazzi molto più forti. Per cui arrivare secondo è un grande risultato e insieme è capace di emozionarsi per la vittoria di un altro.
Hai parlato del Belgio, com’è stato vivere le Ardenne con lui?
La gara comincia il venerdì, durante la ricognizione. Fa le salite a tutta, anche perché non ha mai avuto un metodo di lavoro, come quelli di cui si parla e si scrive. Sono stato ad allenarmi a casa sua, altro che tabelle. Ha il suo gruppo di amatori, li stacca e rientra con allenamenti a 35-38 di media. Per cui il venerdì, lui deve sentirsi forte.
E poi?
E poi, non ci sono tensioni, soprattutto al via della corsa. E’ sul pullman che fa lo scemo, battute su battute, e Unzue che di solito è seduto sul primo sedile, quello più basso, solleva rassegnato lo sguardo. In corsa però si trasformava.
Come?
Fino a metà gara non faceva che lamentarsi. Veniva a chiedere se stessi bene o se anche io avessi mal di gambe come lui. E io, anche se stavo bene, mentivo e dicevo che ero a tutta. Così lui prendeva morale e alla fine vinceva.
E’ davvero contento di tornare al Giro?
Era una vita che non veniva. Temeva di non essere ben visto, poi si è reso conto di essere amato. Il podio del 2016 per lui fu una gioia incredibile. Certo che torna felice.
Cosa ricordi di quel Giro?
Volavo in salita. Arrivai 13° in classifica, pur avendo lavorato per la squadra. A Sant’Anna, sarei arrivato secondo, ma mi fermarono e rimasi ad aspettarlo per tirare 500 metri. Un vecchietto mi vide fermo e mi chiese se stessi bene. La stessa cosa a Sestola, sarei arrivato secondo anche lì. La squadra mi lasciava i miei spazi, ma se non si lottava per vincere, era naturale che aiutassi. Lo facevo volentieri, perché era gratificante. Mi sentivo forte. Il giorno migliore fu quando vinse Nieve a Cividale del Friuli e io arrivai secondo (dietro di lui, staccati, Nibali e Valverde, ndr).
Secondo te perché Alejandro sta andando avanti tanto?
Per me ha paura di smettere. Non gli mancano soldi o un lavoro, gli dicevo sempre che ha il cervello a misura di bici. E’ un ciclista vecchio stampo, può fare solo bici, mentre i giovani fenomeni di oggi potrebbero vincere in qualunque disciplina. Per questo mi tengo un 10 per cento di possibilità che continui, anche se l’hashtag che mette nei post – #LaUltimaBala – fa pensare che abbia deciso.
Hai lasciato quella squadra per non fare il gregario?
Non ero gregario, non lo sono mai stato perché non sono in grado di farlo. E con questo riconosco massima stima a quei corridori che invece lo sono e lo fanno. Quella sarebbe stata la squadra giusta in cui chiudere la carriera. Invece arrivò la chiamata di Slongo e poi quella di Nibali. Dopo 5 anni volevo forse stimoli nuovi che in realtà non servivano. Unzue non aveva garanzie per farmi firmare subito e andai al Bahrain.
La foto che segue quella di apertura: Visconti arriva, Valverde lo abbraccia «Fu l’abbraccio di Alejandro all’amico Giovanni», ricorda Visconti Dopo l’abbraccio, lo sguardo di Valverde va in cerca di altri compagni in arrivo
Perché ricordi così tanto quell’abbraccio?
Perché è l’abbraccio di Alejandro all’amico Giovanni. C’erano dentro e ci sono ancora le fatiche del Giro e le difficoltà superate insieme. Ne ho una foto, anche bruttina, che custodisco gelosamente. Anzi, se ne avete una migliore, mi piacerebbe averla. Al primo risultato di Alejandro in questo Giro, scrivo qualcosa su di lui.