Avevamo lasciato Francesca Selva in partenza per il Wisconsin, dopo la serie di circuiti in Texas in cui aveva rotto il ghiaccio con il ciclismo americano. Ricordate il racconto dell’atleta padovana che quest’anno ha deciso di passare l’estate a correre negli USA? Qualche giorno fa ci ha mandato una foto dal velodromo olimpico di Los Angeles ed è stato chiaro che il suo diario americano andasse aggiornato. Per questo ci siamo sentiti nuovamente, tenendo conto del suo essere indietro di 9 ore, e il racconto ancora una volta è stato ricco di dettagli e adrenalina.






Era nei programmi di andare a girare in pista in California oppure è venuto fuori in corso d’opera?
In corso d’opera (sorride, ndr). La squadra per cui corro ha il mio stesso sponsor di bici, per cui ci siamo detti che se ci fosse stata l’opportunità, avrei potuto prendere una loro bici e usarla. Ho portato sella e manubrio per questo, però non era nei programmi. Diciamo che nel mio calendario c’era tutto e niente, avrei visto strada facendo. Ed è venuta fuori l’occasione di fare tre gare in pista.
Di che gare si tratta?
C’è un bel calendario, sono gare UCI classe 2 e io ne ho fatte tre. Mercoledì scorso, sabato e poi oggi. Ho sempre detto che stavo andando in America per correre, ma se posso vedere anche qualcosa di diverso, perché no? Diciamo che venire a Los Angeles è servito anche a questo. Poi visto che si tratta di un velodromo olimpico, ho accettato a maggior ragione.
C’è una bella partecipazione?
In realtà il livello è molto più alto di quanto mi aspettassi. C’è ad esempio anche Anita Stenberg, che è leader del ranking mondiale. E poi ci sono principalmente americane, messicane, colombiane. C’è anche qualche velocista tedesco, quindi il livello è alto e stanno venendo fuori dalle gare tirate. Io con la mia preparazione riesco a stare a galla, però tornare al chiuso dopo così tanti mesi, è stato sicuramente uno shock. L’ultima gara che ho fatto in pista è stata a Capodanno, però l’ultima fatta davvero prima di avere la miocardite è di ottobre. Erano nove mesi che non correvo in pista, sono andata una volta a girare con la nazionale prima di venir via, però in un giorno a fare quartetti non prendi quel che serve per correre.






Quindi?
Il primo giorno è stato abbastanza scioccante, anche perché secondo me la pista è molto veloce. Avevo solo un rapporto troppo agile, poi ne ho messo uno più duro, ma le mie gambe ovviamente non sono pronte per quel tipo di sforzo. Già il secondo giorno sono riuscita a stare un po’ meglio nella mischia. Ho fatto entrambe le volte scratch, corsa a punti e madison.
Si muore di caldo anche lì?
In realtà, secondo me, state peggio in Italia. Difficilmente in California ci sono più di 30 gradi, oggi ce ne sono 25.
Ti avevamo lasciata in partenza dal Texas per il Wisconsin per andare a fare un criterium del Tour of America Dairyland, come è andata?
Devo farne un altro fra 10 giorni, un altro di questi cinque eventi più importanti. Ho visto tanta gente, tanto pubblico, tanta partecipazione. Anche perché, come vi ho scritto nei messaggi, c’è anche qualche ragazza WorldTour di qui che viene a fare un po’ di show. Non è detto che vincano, perché sono gare completamente diverse rispetto al normale ciclismo su strada, però il livello è superiore rispetto ai circuiti del Texas.
Sempre circuiti cittadini?
Il più corto era un circuito di 600 metri a giro, come fare una gara su pista, all’interno di un centro commerciale. Il più lungo era un chilometro e mezzo, ma purtroppo non piatto. Ogni tanto c’è anche qualche strappetto e quelli diventano veramente letali. Nell’ultima settimana di gare, il primo e l’ultimo giorno sono stati quelli per me più duri, perché gli strappi di solito li mettono dopo una curva a U o dopo una ripartenza. Per cui ci entri piano e poi devi fare lo strappo a blocco quasi da fermo. E quando inizi a farlo 30-40-50 volte, dopo un po’ si inizia a sentirlo.




I social mostrano una grande cornice di pubblico…
Sì, confermo, tantissima gente. Poi più vai verso il finale, diciamo negli ultimi giorni, più gente c’è a guardare. Sono dei veri e propri festival, si svolgono in cittadine belle vivaci. Quindi ci sono i ristoranti nei viali dove fanno le gare, oppure passi nei giardini della gente seduta fuori che ti guarda per tutto il giorno. Le gare iniziano la mattina e finiscono la sera, ci sono tutte le categorie. Sono degli eventi classici, si ripetono ogni anno. E poi ci sono tanti soldi come premi e quindi diventa molto avvincente da guardare perché c’è gente che si fa pezzi per vincere i traguardi volanti.
Quindi il sistema è sempre quello dei traguardi a premi annunciati di volta in volta?
Il traguardo volante è annunciato con la campana e quindi chiaramente se non sei nelle prime 3-4 posizioni, è quasi impossibile partecipare. Specialmente quando il giro è di 600 metri, con 4-5-6 curve, non hai proprio lo spazio fisico per avanzare. E comunque ci sono stati dei giorni in cui c’erano anche 1.600-2.000 dollari a traguardo volante. La cosa che rende le gare molto difficili e molto veloci è che magari hai 3-4 giri senza niente, poi per i 3-4 giri successivi fanno una volata per ogni passaggio, ma ti informano mentre stai già facendo la prima volata.
Sei riuscita a vincerne qualcuno?
Non ci ho neanche provato (sorride, ndr). Correndo da sola, è difficile. Avevo una compagna, ma perdeva le ruote e avevamo contro delle squadre organizzate, in cui c’erano corridori addetti a fare i traguardi volanti, senza preoccuparsi di altro. Spesso attaccano e fanno gioco di squadra. Una attacca, le altre fanno il buco e quindi chiaramente ci sono delle dinamiche per cui loro guadagnano più soldi di chi invece deve concentrarsi sulla volata finale. E se con la condizione che ho adesso, faccio un traguardo volante, cioè una volata massimale, non riesco neanche a vedere la volata finale.


Come ci si scalda per gare così frenetiche?
Alcuni hanno i rulli, ma io per motivi logistici non li ho portati. Nei giorni in cui sono vicino alla zona di gara, diciamo 15 chilometri, vado in bici. Altrimenti, se devo guidare per arrivare, come ora che sono ospite di una famiglia trovata dagli organizzatori, magari esco prima per fare una pedalata e poi prima di partire faccio una ventina di minuti con un paio di accelerazioni. Serve tenere caldo il motore, per questo faccio il riscaldamento tipo pista. Quindi una progressione che va da zona 1 fino a 300 watt e un paio di volate in progressione da seduta, proprio per accendere bene il motore. Perché tante volte questi benedetti traguardi volanti te li mettono anche al primo giro.
Si parte subito forte?
Un giorno sono arrivata tardi per il traffico e non ho fatto in tempo a scaldarmi. Così ho pensato di partire un po’ sfilata, di prendermi qualche giro per scaldarmi e respirare e poi sarei andata davanti. Non l’avessi mai fatto! Il circuito era pieno di curve e c’era gente che saltava dal primo giro, perché intanto mettevano tantissimi soldi a ogni passaggio e non c’era tempo per respirare. Ho fatto un’ora di gara a chiudere buchi cercando di guadagnare posizioni, è stato un incubo. Poi sono riuscito ad andare davanti e fare la volata, ma ci ho messo veramente tutta la gara per risalire.
Com’è vivere in una famiglia americana?
Le famiglie che mi hanno ospitato in tutto questo periodo sono composte da gente di ciclismo, persone appassionate per cui è difficile considerarli solo come americani. Voglio dire che la comunità del ciclismo è abbastanza universale. Quel che posso dire è che tutti tendono a essere disponibili per aiutarti, sia con il cibo sia con darti un passaggio e altre mille cose. Ho sempre trovato disponibilità, ma come dicevo sono persone che vengono dal mio stesso ambiente. Ho provato a fare domande su temi come l’Ucrain, Gaza, il confine con il Messico, perché anche da casa mi fanno spesso domande…






E che cosa hai capito?
Quando ero in Texas, uscivo per strada e non vedevo niente. La gente ne parla poco. Ho guardato i notiziari e sono tutti abbastanza tranquilli. E quando glielo chiedo, non si esprimono più di tanto. Forse è la distanza e vivono tutto di riflesso, non saprei.
Cosa ti pare degli americani?
In California sono tutti un po’ fricchettoni, se posso dire così. In spiaggia vedi l’immagine classica che avevo in mente anche prima di venire, di gente che cerca di sembrare giovane e va con lo skateboard a ritmo di musica. L’altro giorno ho visto una signora con il cane, poverino, tutto tinto di rosa con le macchie di leopardo. In Texas sono più normali, anche se nell’immaginario dovrebbero essere tutti pazzi. A parte che girano davvero con gli stivali e con i cappelli da cowboy e a parte che nei supermercati trovi le armi da fuoco. Per fortuna ho trovato persone cui appoggiarmi, che mi stanno permettendo di vivere l’America anche extra ciclismo. Sto girando posti diversi ed ho avuto il tempo per guardarmi un po’ attorno.
Il programma prevede oggi l’ultima gara in pista e poi?
Domani volo a Chicago e da venerdì fino alla domenica successiva corro per dieci giorni di fila nella Chicago Grit, con la “g” al posto della “c”. Poi torno a Dallas per due giorni e per fare l’ultima gara del mio capo, quella del martedì. Quindi torno in Italia per correre a Fiorenzuola, sperando che tanto girare mi dia anche un po’ di condizione e cercando di capire a quali gare partecipare. Ma a fine agosto probabilmente tornerò qui per partecipare alle ultime gare. Ma appena lo scopre mio padre, stavolta mi butta davvero fuori casa…