Ci sono vittorie che restano stampate nella memoria in maniera indelebile. Immagini che ti porti dietro da quando eri ancora giovanissimo. La vittoria di Vittorio Adorni a Imola ’68 è una di queste. Immagini Rai di un corridore che si avvicina al traguardo senza neanche spingere, cosciente che il più era fatto, sicuro di stare vivendo il suo momento clou, che vale un’intera carriera. Immagini – e usiamo ancora lo stesso termine volutamente – quasi offuscate, come se una leggera nebbia le contornasse. Succede quando qualcosa si ammanta di leggenda.
Vittorio Adorni, che ci ha lasciato a 85 anni, è stato professionista dal 1961 al ’70. Ha mollato il professionismo abbastanza presto, dopo una carriera con pochi risultati di spicco, ma di quelli che ti spediscono di diritto nella storia. Non solo il mondiale, ma anche il Giro d’Italia del 1965, il suo anno migliore, nel quale aveva anche sfiorato la vittoria sia alla Milano-Sanremo, sia alla Liegi-Bastogne-Liegi (tre podi di fila dal 1963 senza mai trovare il guizzo decisivo). Alla fine portò comunque a casa 42 vittorie: quanti possono ancora oggi dire lo stesso?
Corridore e poi commentatore
La storia di Adorni però non finì con la chiusura della carriera agonistica, anzi. Dopo alcuni anni come direttore sportivo, il parmense si affermò come commentatore televisivo tra i più arguti, elegante anche quando entrava in polemica. Un autentico signore, che non ha mai fatto mancare all’interlocutore gentilezza mista a una profonda conoscenza della materia ciclistica, che non è mai venuta meno.
La recente scomparsa di Ercole Baldini lo aveva profondamente toccato e a questa è legato un ricordo recente. Per commentare la figura dell’olimpionico di Melbourne ’56 avevamo pensato proprio ad Adorni, che gli era profondamente legato avendolo avuto sia per capitano in corsa, sia per direttore sportivo. La salute era già molto cagionevole, ma dopo qualche giorno Adorni ha risposto.
Il dolore per Baldini
Voce malferma, ma mente ancora lucidissima, in quei pochi minuti l’ex campione aveva dato libero flusso ai ricordi: il timore reverenziale quando si trovò nella stessa squadra con il campione romagnolo. La confidenza che piano piano univa due caratteri molto aperti, anche se diversi. Il connubio fra il corridore e il direttore sportivo che, prima di tutto, erano amici. Non è sempre facile trovare la giusta alchimia, ma Adorni ricordava bene come Baldini fosse un diesse prodigo di consigli, mai severo, ma comunque attento e perfettamente in linea con il suo ruolo. Come a dire: amici sì, ma io sono il dirigente e tu il corridore, lavoriamo insieme per il massimo risultato.
Adorni non ci aveva voluto far mancare la sua disponibilità, anche se la sua salute stava rapidamente peggiorando. Proprio la scomparsa di Baldini lo aveva toccato profondamente, pochi d’altronde erano gli anni che li separavano. Con il parmense se ne va un altro pezzo di un’epoca d’oro del ciclismo, quella immediatamente successiva ai campioni a cavallo della Guerra e che avevano contraddistinto gli anni Cinquanta. Il parmense era l’espressione di quella nuova generazione che, a ben guardare, era ugualmente ricca di campioni e anche di storie capaci di far sognare. Lui come Gimondi, come Merckx con il quale condivise anche le prime esperienze del belga da pro’, accorgendosi subito che era qualcosa di diverso da tutti gli altri, qualcosa di mai visto.
Idolo del suo tempo
Forse anche per il suo sguardo sorridente e allo stesso tempo affascinante, per la sua capacità anche di vivere la ribalta televisiva nelle interviste, Adorni è rimasto impresso nella storia del ciclismo italiano pur senza dover snocciolare un curriculum di successi infinito. Tanti ragazzi ai suoi tempi erano diventati suoi tifosi e lo consideravano un grande: quel titolo mondiale sulle strade di Imola, neanche tanto lontano da casa, con tanta gente ad applaudirlo e osannarlo vedendolo vestire la maglia iridata, sembrò quasi il giusto premio per le sue capacità. Era un campione del mondo più che degno.
La televisione era quasi la sua seconda casa. Fece anche il conduttore di un telequiz, tra l’altro nello stesso anno del suo titolo mondiale, sulla giovanissima Seconda Rete, l’odierna Rai 2. Non si contano neanche le sue ospitate al Processo alla Tappa, nel quale non faceva mai mancare giudizi magari anche al vetriolo, quando serviva, anche se era difficile poi mettersi a litigare e creare le veementi discussioni di tanti talk show contemporanei, troppa la sua eleganza e la sua competenza.
Il suo valore nel ciclismo italiano
Quella competenza che si sentiva anche qualche giorno fa, parlando di Baldini. Ripensare a quelle parole, spesso ripetute per marcare il concetto, suona quasi come un suo epitaffio. «Il suo valore nel ciclismo italiano è stato forse sottovalutato perché non ha vinto tantissimo, ma come qualità delle sue vittorie in pochissimi sono in grado di stargli al passo». In fin dei conti, questo concetto si attaglia anche alla sua figura come un vestito su misura…