Del movimento ciclistico africano avevamo già parlato con Daniele Nieri dopo le Olimpiadi di Tokyo. Ora, dopo l’ufficialità che i mondiali del 2025 si correranno in Africa, più precisamente in Rwanda, vogliamo immergerci nell’atmosfera che attenderà i corridori. Ce la facciamo raccontare da Leonardo Canciani, diesse della Drone Hopper-Androni, reduce dal Tour du Rwanda, vinto dal team italiano con Natnael “Natalino” Tesfatsion (foto di apertura).
La Drone Hopper-Androni in Rwanda con Alba, Tesfatsion, Restrepo, Merchan e Muñoz Tesfatsion ha 22 anni ed è al secondo anno con la Drone Hopper-Androni
Doppio leader
«Lui ha vinto questa corsa due volte – inizia Leonardo – la prima nel 2020, con la nazionale dell’Eritrea e quest’anno con noi. Solitamente al Tour du Rwanda andiamo con una squadra di scalatori visto che si svolge tutta in altura e la pianura è solo un ricordo da quelle parti. Anche quest’anno, infatti, uno degli uomini di classifica era Restrepo, con l’incognita sul livello di condizione di Tesfatsion. Mentre Jhonatan aveva la maglia di leader, ha avuto un disturbo intestinale che gli ha fatto perdere dei minuti. Natnael ne ha “approfittato” portando a casa la vittoria finale, sfruttando anche la sua ottima condizione».
Tanta altura, poca pianura
Il discorso si sposta subito sulle piccole e grandi curiosità. Approfittiamo della disponibilità di Leonardo che ci racconta le sensazioni e le emozioni del correre in questo continente affascinante.
«Kigali, la capitale, è una città molto popolosa e moderna – continua – le sue strade sono belle. Si trova a 1.500 metri d’altitudine ed è il punto più basso di tutto il Paese. Tutte le strade che dalla città portano fuori sono in costante salita, il Rwanda è composto da tante vallate e per raggiungerle sei sempre costretto a fare due o tre salite. Kigali stessa è stata costruita su una zona collinare che rende impossibile trovare un metro di pianura».
Un percorso difficile
Già dalle prime parole di Leonardo si capisce come il percorso del primo storico mondiale africano sarà di non facile interpretazione.
«Rischia di essere un mondiale davvero duro dal punto di vista altimetrico – conferma – se poi a tutto ciò si aggiunge l’altitudine diventa una gara ad eliminazione. Dal punto di vista tecnico le strade in Rwanda sono molto curate, sia quelle della Capitale che le statali sulle quali si è corso il Tour.
«Se devo immaginare un percorso per il mondiale fatico a disegnarlo (rincalza Leonardo con voce viva, ndr). Ne parlavo anche con gli organizzatori del Tour du Rwanda. Ci dicevamo che effettivamente sarà difficile pensarlo, si corre il rischio che diventi troppo duro. Anche dentro Kigali ci sono due o tre strappi sul pavè che arrivano al 20 per cento di pendenza, da un certo punto di vista sono simili ai muri delle Fiandre. Se devo immaginare un percorso, lo penso adatto a due categorie di corridori: scalatori se si fanno salite dure come il Mont Kigali oppure a corridori con grande fondo ed esplosività».
Movimento che cresce
Il ciclismo africano abbiamo imparato ad apprezzarlo grazie ai suoi atleti, uno su tutti è proprio Natnael. Ma sono molti i ragazzi di questo grande continente che hanno grandi margini di miglioramento. Ora molti corridori sono immaturi dal punto di vista tattico e tecnico ma entro il 2025 tutti noi ci aspettiamo un grande passo in avanti di questo movimento.
«I corridori africani a numeri sono da top mondiale – dice Canciani – non scherzo, Natnael fa dei valori nei test davvero impressionanti. Poi pecca di malizia tattica e questo lo penalizza, un esempio è l’arrivo di Bellante alla Tirreno. Era nel gruppo di testa con i migliori ed ha attaccato, venendo ripreso e finendo ventiduesimo. Se avesse atteso sarebbe finito nei primi dieci.
«Parlavo di questo con un giornalista sudafricano che mi ha chiesto cosa potessero fare i corridori africani per migliorare in ottica mondiale… Io gli ho detto che se alcune nazionali, come Eritrea e Rwanda ma anche Etiopia, riuscissero a correre in Europa per un paio di mesi ogni anno, imparerebbero molto aumentando la loro competitività. Immaginare un campione del mondo africano ora è difficile, ma nel 2025 chissà. Non montiamo loro la testa, ma dal punto di vista atletico ci battono a mani basse».
Bambini sulle strade
«L’interesse intorno a noi – dice ancora Canciani – era veramente molto alto. Non dico migliaia di persone a bordo strada, ma centinaia sì. Di ciclismo non sanno nulla, ma sono molto curiosi. Li vedi che si aggirano per le strade o intorno alle partenze e agli arrivi, con gli occhi pronti a catturare ogni dettaglio. I più belli da vedere erano i bambini a bordo strada, ogni volta che attraversavamo un villaggio erano tantissimi. Un fatto che mi ha fatto sorridere, ma anche riflettere, è che ogni volta che passavamo su una salita ci correvano dietro. Avevano ai piedi delle infradito o addirittura scalzi e li vedevi venire su accanto all’ammiraglia per centinaia di metri a 15-16 all’ora… La prima cosa che abbiamo pensato è stata “se gli diamo una bici chissà cosa sarebbero in grado di fare”».