BORGO VALSUGANA – Passi lenti e abbracci forti. Per un’ora la navata centrale è un lento avvicinarsi al suo ultimo sguardo. Sulla bara di legno chiaro c’è la foto di una battuta di caccia, l’altra grande passione di Stefano. L’espressione è serena, appagata, vivace. La prima fila a sinistra è per la famiglia. Ci sono Andrea, Niccolò, Caterina, poi la mamma, suo papà e il fratello, che gli somiglia come una goccia d’acqua. E’ curioso accorgersi che le persone cerchino il conforto da chi ha subito la perdita, come se il dolore che provano non fosse sufficiente e dovessero sobbarcarsi anche quello degli altri. Amici che sono arrivati da ogni angolo del mondo, persino da New York. La serenità della famiglia lascia intuire il cammino degli ultimi anni, anche se pronti non si è mai davvero. L’abbraccio di Caterina toglie il respiro: questa donna ha mostrato per quattro anni la fierezza della leonessa e la solidità del porfido trentino.


L’esempio di Stefano
Poi a un certo punto il prete inizia a parlare e la liturgia della messa porta via il pensiero e cattura l’attenzione. Tutto si ferma. E’ il funerale di Stefano Casagranda: marito, padre, atleta, dirigente, cacciatore, ma soprattutto amico. E anche l’idea di scrivere qualcosa è una lotta con se stessi. In un angolo, un cronista armato di taccuino e telefono per fare foto, annota tutto e scatta. Il coro propone le note struggenti di Marco Frisina: «Eccomi, eccomi, Signore io vengo. Eccomi, eccomi, si compia in me la tua volontà». La gola si strozza, lasciamo scorrere le lacrime.
«Quando un ciclista si prepara per la gara – dice il sacerdote – sa dove incontrerà le salite impegnative e le discese più difficili. Sa dove può risparmiarsi e dove potrà attaccare. Ma nella corsa della vita non abbiamo una mappa, né l’altimetria. Non sappiamo quando arriva il momento della discesa paurosa, della salita dura o invece il tratto in pianura dove si può andare più veloci. Dobbiamo essere pronti all’imprevisto, bisogna prepararsi anche al cambiamento, alle sorprese. Tanti hanno avuto da Stefano l’esempio di come si affrontano i momenti bui, anche le difficoltà grosse. E’ sempre stato consapevole della sua malattia e tanti di noi sanno affrontare la vita perché hanno visto delle persone veramente care che ci hanno dato uno stile, un esempio. Andrea, Niccolò, ci sarà un momento in cui il papà vi mancherà tanto, ma non vi mancherà mai il suo esempio e allora la vita non sarà più un’incognita totale».


Un momento di pace, speranza e amicizia
Simoni è seduto accanto a sua moglie Arianna, tre o quattro file alle spalle di Caterina e dei suoi figli. Hanno viaggiato spesso insieme, l’ultima volta per cinque giorni alla Vuelta, con il pretesto di salutare Pellizzari che la stava correndo. E oggi Giulio, compagno della figlia Andrea, è seduto una fila avanti a loro, sulla sinistra. Divide la panca con la ragazza di Niccolò, nata a Roma da madre giapponese e padre trentino. Respiriamo il senso di un’immensa famiglia.
«Mi sono accorto che la mattina faceva fatica a mettersi in moto – ha raccontato Simoni incontrato prima della funzione – poi però era capace di stare su fino alle dieci di sera, senza battere ciglio. Sapevo che se si fosse fermato per più di due giorni nel letto, non ne sarebbe uscito. E così è stato, quando ha cominciato a salirgli la febbre».
Alla fine della messa, anche lui sale i tre gradini che dividono i banchi dall’altare, ma quello che vuole dire gli si strozza in gola.
«Non sono pronto per questo – dice e inizia a piangere – era davvero un grande ragazzo. Noi amici abbiamo perso il conto dei raduni che abbiamo fatto, pensando ogni volta che fosse l’ultimo. Stefano era un duro. Il padre mi ha rubato il concetto – dice rivolgendosi al sacerdote – ma lo ripeto. Stefano ci ha insegnato che questo momento non deve essere solo tristezza e pianto, ma anche pace, speranza e amicizia. Ha ricevuto tanto da Borgo, ma tanto ha restituito come atleta e come dirigente».




Che paura alla Strade Bianche
Stava male da quattro anni. Ce lo disse Caterina con gli occhi gonfi al Giro del 2021, al via della tappa da Rovereto a Stradella: l’avevano scoperto da poco. Quello stesso anno, assieme a Simoni e sua moglie, i due sarebbero venuti a pedalare per solidarietà nelle zone del terremoto. Cinque anni prima, per il debutto di quell’evento conosciuto come #NoiConVoi2016, il VC Borgo aveva donato quasi 1.000 euro provenienti dalla lotteria della Coppa d’Oro.
«Crediamo che insegnare ciclismo – ci aveva detto Stefano in quell’occasione – significhi non solo far praticare uno sport a dei ragazzi, ma aiutarli a crescere insegnando loro dei sani principi. Con questa donazione vogliamo che anche ragazzi lontani da noi abbiano la possibilità di percorrere strade sicure in bicicletta e, se possibile, ci piacerebbe finanziare qualche ciclabile o ciclodromo».
Era così forte, che anche il dannato male per batterlo ha dovuto faticare. Tanto che a un certo punto abbiamo iniziato a pensare che si sarebbe stancato di provarci e Stefano ce l’avrebbe fatta. Quante volte era già morto? L’ultima nel giorno della Strade Bianche, mentre sua figlia Andrea era impegnata in gara ed era all’oscuro di tutto. Come fai a sostenere lo sforzo del ciclismo, se la testa è piena di tanta sofferenza? Sembrava finita lì, invece i medici erano riusciti a dargli del tempo in più. E un paio di giorni dopo, per burla e per mangiarsi la vita, lui quel tempo se l’era preso andando in giro per il paese su una bici da passeggio.







Il giorno più bello della sua vita
Passano i genitori di Sara Piffer, passa tutto il ciclismo possibile. C’è Bertolini, che ha portato sua figlia. Miozzo e Donadello, suoi direttori sportivi. Dario Broccardo, riferimento del ciclismo trentino. Daniel Oss, assieme a Marangoni e la compagna Lisa. Andrea Ferrigato, l’amico per la pelle. Tutti i ragazzi e le ragazze del Veloce Club Borgo. E mentre li vediamo passare, torna alla memoria la cena di maggio, nella sera in cui Pellizzari mise il naso alla finestra nella tappa di San Valentino.
Ci eravamo ritrovati allo stesso tavolo per una cena di selvaggina e affettati, con la sua famiglia, poi Stefano Cattai, Cristian Salvato e Stefano Masi. Racconti di caccia, qualche buona bottiglia e l’ammissione a bassa voce di sentirsi un po’ stanco. Era smagrito, con le medicazioni sotto la camicia che copriva tutto per non farci pensare ad altro che all’intensità dei momenti. Ma era ugualmente un leader, con i modi del condottiero e lo sguardo buono del gregario.
Una settimana prima di andarsene, ha radunato tutti gli amici per una festa che questa volta ha avuto il sapore del saluto. Hanno mangiato e di più hanno bevuto. E quando tutto è finito, Stefano ha spiegato a Caterina come in vita sua avesse conosciuto la felicità soprattutto i tre momenti. Quando si sono sposati e poi quando sono nati i due figli. «Ma questo – ha detto – è davvero il giorno più bello della mia vita».


L’abbraccio di Niccolò, le parole di Caterina
«L’amministrazione comunale di Borgo – dice la sindaca Ferrai – porterà avanti le idee di Stefano per sostenere lo sport come mezzo di costruzione di relazioni sane. Seguiranno tanti giorni in cui sentiremo la sua mancanza, ma ci saranno tanti giorni di gratitudine. Stefano era un uomo di un’intelligenza luminosa. Ci troveremo a sorridere pensandolo ancora insieme a noi».
Stefano Casagranda ci lascia la dignità e la capacità di vivere ogni giorno al massimo. Ci lascia la serietà dei momenti seri e la leggerezza di quelli leggeri. Ci lascia l’ironia e l’amore. La capacità di guardare in faccia l’avversario e sfidarlo, pur sapendo che alla fine ne sarebbe stato sconfitto.
Raccontano che per andarsene abbia aspettato che tornasse suo figlio Niccolò. Già dal mattino si era capito che non mancasse molto. La febbre era salita e anche l’idea di fare un viaggio a Roma con Ferrigato per andare a mangiare bene, era naufragata. Quando Niccolò è arrivato, lo ha abbracciato e poi gli ha detto: «Papà, stiamo tutti bene, vai pure». E Stefano Casagranda, 52 anni compiuti il 2 ottobre, ha chiuso gli occhi e alla fine si è lasciato andare.
«Io avrei voluto dire qualcosa in chiesa a braccio – dice Caterina mentre il sagrato della chiesa si riempie di gente – perché non avevo preparato niente di scritto. Ma visto tutte le persone che mi hanno salutato, ho fatto fatica a girarmi e a guardare tutti. Però ho un messaggio che mi ha lasciato per i suoi atleti e anche per quelli delle altre società. Mi ha raccomandato di dirvi che domenica nessuno deve restare a casa, nessuna commemorazione, nessun minuto di silenzio. Spingete più forte che potete sui pedali».