Sabato 28 maggio, arrivo del Giro sul Fedaia. In questa esplorazione delle tappe e delle salite del Giro, il penultimo giorno di corsa merita un bel respiro.
«Lo stesso che fai quando arrivi a quei rettilinei – ride Roberto Conti – e guardi verso l’alto. Lassù in cima se c’è bello vedi tutti i tornanti che si arrampicano sulla montagna. Allora il bel respiro lo tirano tutti, ma se non stai bene, vi assicuro che ti viene anche l’ansia. In certi giorni è meglio che ci siano le nuvole, almeno non vedi quello che ti aspetta…».
Il romagnolo ha smesso di correre nel 2003 sulla soglia dei 40 anni, mentre oggi ne ha 56. Fece l’ultimo anno accanto al piccolo capitano, con cui nel 1998 aveva conquistato il Giro e il Tour, e appese la bici al chiodo poco prima che Marco se ne andasse per sempre. Roberto, come Fontana, Sibo e pochi altri, è custode di storie che pochi hanno il privilegio di aver vissuto. Una di queste, che magari avrete ascoltato e letto centomila volte, riguarda proprio Pantani e la Marmolada. In quella tappa del Giro 1998 che conduceva a Selva di Valgardena e dritto nella storia.
La Belluno-Marmolada è la penultima tappa del Giro. E’ lunga 167 chilometri. L’indomani, la crono Nel 1998 la Marmolada era inserita nella 17ª tappa di 215 chilometri
Personale hit parade
Ma noi andiamo per gradi. Perché Conti quelle salite le ha masticate davvero (quasi) tutte e prima di parlare della Marmolada tira giù la sua personalissima classifica.
«Stiamo parlano di Dolomiti – dice – e lassù la salita più dura è quella delle Tre Cime di Lavaredo. Poi ci metterei Plan de Corones. Quindi il Fedaia, il Giau e il San Pellegrino da Falcade, che il Giro farà proprio nella tappa di quest’anno. Sono salite che si fanno rispettare, ognuna con le sue caratteristiche».
Il Fedaia mette ansia
Del Fedaia ha due ricordi. E volendo riprendere la sua espressione d’inizio, in uno dei due casi lo affrontò con l’ansia, guardando i tornanti lassù in alto.
«Come lunghezza del pezzo duro – dice – non è eccessiva, sono 6-7 chilometri. Però confermo (ride ancora, ndr) che anche a me capitò di avere l’ansia. Successe nel 1996 quando il Giro lo vinse Tonkov. Lavorammo tutto il giorno per lui, prima avevamo fatto il Pordoi e io ero stanco. Arrivai là sotto, guardai in alto e pensai che non sarebbe mai finito».
Il Pordoi sarà nuovamente la Cima Coppi del Giro, si scalerà prima del Fedaia E questo invece è il Fedaia, che dopo Malga Ciapela sale sempre al 10% con punte del 18%
Il Pordoi sarà nuovamente la Cima Coppi del Giro, si scalerà prima del Fedaia E questo invece è il Fedaia, che dopo Malga Ciapela sale sempre al 10% con punte del 18%
In vetta con il 41×24
Tra i motivi di sconforto per Conti quel giorno c’era anche la limitata scelta di rapporti che i corridori avevano a disposizione.
«Nel 1996 – ammette – avevo il 41×24. Neanche il 39, non mi sono mai trovato a girarlo (Conti era uno di quelli che in salita spingeva rapporti solitamente duri, ndr). A quelle condizioni era una salita dura. Mi ricordo che al massimo come scelta c’era il 25, per questo se guardate le immagini, in salita eravamo costretti ad andare molto sui pedali. In piedi, che è faticoso. Adesso è cambiato tutto. Con i rapportini di adesso e le frequenze di pedalata che fai, sono costretti a stare seduti».
Pantani al buio
In quel 2 giugno del 1998, la tappa partiva da Asiago e prima della Marmolada, il gruppo si era messo sotto le ruote Duran, Forcella Staulanza e Santa Lucia. Poi avrebbe scalato il Sella e sarebbe arrivato a Selva di Val Gardena.
L’aneddoto che rese celebre Conti nelle settimane dopo il Giro del 1998 riguardava proprio il Fedaia, che Pantani non aveva mai scalato. In quegli anni di poche ricognizioni, gliel’aveva descritta proprio Roberto e così erano andati al via.
«Quando passammo per i Serrai di Sottoguda – dice e gli verrebbe da mettersi una mano sulla testa – mi resi conto che io da lì non c’ero mai passato. Per cui arrivammo a Malga Ciapela e poi, come ho raccontato centomila volte, andai a chiedergli quando volesse attaccare. Lui mi guardò e mi disse che aspettava le gallerie, perché gli avevo raccontato la salita sbagliata. Per fortuna mi venne in mente di andargli vicino».
Tonkov in trappola
Quel confabulare prolungato fra Conti e Pantani per rimediare una situazione di lieve imbarazzo in realtà trasse in inganno Tonkov, che al pari di Marco aveva individuato nel tappone di Selva la prima buona occasione per attaccare Zulle in maglia rosa.
«Io Pavel lo conoscevo bene – ride Roberto – non uno che attaccasse da lontano. E alla fine ho scoperto che vedendoci parlare aveva capito che Marco fosse in crisi e così era partito. Poveretto, non sapeva quel che c’era dietro. Ma quando Marco finalmente attaccò, se ne rese conto».
Un minuto a chilometro
Quest’anno la musica sarà diversa, perché là in cima ci sarà l’arrivo e la musica sarà completamente diversa. Non si percorreranno i Serrai di Sottoguda, la cui strada è stata danneggiata dalla tempesta Vaia del 2018.
«Se vai in crisi sul Fedaia – spiega – perdi anche un minuto per chilometro. Anche perché tenete conto che prima ci saranno due belle salite, compreso il San Pellegrino dal lato duro di cui s’è parlato prima. Si sale ai 2.000 metri, che a qualcuno possono dare noia. Io ero uno scalatore colombiano, si vede, perché più salivamo e meglio stavo. E poi, come disse Marco, che scalatore sei se ti dà fastidio l’altura?
«E’ una bella tappa, semmai un po’ corta. Sarebbe stata perfetta sui 200 chilometri. Con un’ora, un’ora e mezza di bici in più alla partenza, la differenza si sarebbe sentita…».