Luca Paletti è fermo, per ricaricare le pile in attesa della seconda parte di stagione. Gli impegni finora sono stati tanti, dal ciclocross alla strada, considerando che in entrambi gli ambiti è ormai un riferimento assoluto anche per la nazionale. Ne abbiamo così approfittato per una chiacchierata a proposito della sua famiglia, da sempre votata al ciclismo e nella quale Luca è la terza generazione che ha fatto della bici un elemento indissolubile dalla propria vita.
Suo nonno Luciano a dir la verità ci ha investito tutto e Luca, che pure porta con sé ricordi legati solo all’infanzia (il nonno è morto 7 anni fa) lo racconta con un tono che nasconde con difficoltà l’emozione.
«Aveva corso fra i dilettanti – racconta – e si era appassionato anche a tutto quel che riguardava la tecnica. Alla fine degli anni Sessanta andò a lavorare in diverse botteghe, poi ne aprì una sua perché voleva sperimentare, infatti ha brevettato molti prodotti».
Tante idee, tanti brevetti
Paletti acquista la bottega del telaista Orazio Grenzi dov’era andato a lavorare, continuando però a collaborare con quest’ultimo: «Nonno non si stancava mai, dopo il lavoro, alla sera scendeva nella cantina di casa e così costruì la sua prima bici partendo dal nulla».
Grazie a quella bici si presenta da De Rosa, che intravede in lui grandi potenzialità: Paletti capisce però che ha ancora molto da imparare e più volte farà visita agli stabilimenti per apprendere. Nel 1972 apre la sua officina, affinando soluzioni innovative tanto nella telaistica quanto nella meccanica delle bici. Qualche anno dopo lavora a una soluzione per fissare il deragliatore anteriore direttamente al telaio: una rivoluzione per l’epoca.
La ricerca di Luciano Paletti non si ferma. Brevetta particolari comandi del cambio con i cavi interni al tubo obliquo, poi lo stesso fa con i freni. Il suo intento è proporre un modello senza cavi a vista e nel 1981 il suo sogno diventa realtà e viene proposto alla Fiera di Milano del 1983. Le sue bici vengono richieste persino dagli antipodi.
La casa e l’officina…
Intanto suo figlio Michele si fa strada nel mondo del ciclismo agonistico, fino ad approdare fra i professionisti, per due sole stagioni (1993-94), ma fa in tempo a correre anche un Tour de France. Poi entra nell’azienda di famiglia: «A dir la verità ci aveva sempre lavorato – confida Luca – ogni giorno dopo la scuola scendeva in officina perché si abitava proprio sopra e dava una mano per imparare».
Quei ricordi sono ben presenti nella memoria del Luca bambino: «Sin da quando ero piccolo, anch’io scendevo in officina e chiedevo sempre di provare questa e quella bici. Cominciavo a girare con i modelli da bambino e mi divertivo un mondo. Mio padre ha continuato a gareggiare a livello amatoriale, ho visto qualche sua gara da professionista nelle videocassette, anche se ormai sono introvabili. Veri pezzi rari, ma sono contento di averlo visto».
Testone come il nonno
Ci sono tante cose che accomunano Luca ai suoi progenitori: «Con nonno non ho avuto molto tempo per parlare, ero molto piccolo, ma ricordo bene che era un gran “testone”, quando si metteva in testa qualcosa era impossibile farlo recedere. Io ho preso molto da lui in questo…».
E rispetto al padre? «Con lui ci siamo confrontati spesso, anche per paragonare il nostro modo di essere ciclista. Lui era molto veloce, molto più di me, ma in salita proprio non andava. Lo dice anche lui, ma nelle volate ristrette poteva davvero dire la sua. Io invece vado molto meglio quando la strada s’inerpica sotto le ruote. Siamo profondamente diversi».
Al cross non rinuncia
La passione per il ciclismo è sbocciata in quelle mura intrise di sudore e di idee. Anche per il ciclocross: «Non so se mio nonno avesse mai gareggiato sui prati, mio padre sì. In officina c’erano sempre bici sia per la strada che per il ciclocross e a me queste ultime piacevano davvero tanto».
Conoscendo la ritrosia di molte società a far fare ai propri atleti la doppia attività, ne approfittiamo allora per chiedere a Luca se, visti i suoi risultati su strada e la sua crescita repentina, lo vedremo ancora in azione questo inverno.
«Al 90 per cento sì – risponde subito – ci tengo troppo perché mi diverto. Ho risultati e benefici che poi si riversano su strada. Sto verificando con il procuratore (Luca è seguito dall’agenzia di Johnny Carera, ndr) quale sarà la scelta migliore per il passaggio di categoria, ma non voglio ostacoli nel mio orientamento su come continuare la doppia attività».