E’ sembrato strano anche a voi, sfogliando il pezzo su Zoe Backstedt dopo gli europei di cross, vedere la foto di suo padre Magnus primo a Roubaix con la maglia della… piccola Alessio? Era il 2004, l’anno di Cunego contro Simoni al Giro, della tripletta ardennese di Rebellin e del maledetto 14 febbraio di Rimini. La stagione successiva avrebbe inaugurato il WorldTour e per quelle squadre orgogliose di essere italiane sarebbe iniziato il declino.
La Alessio era nata qualche anno prima assieme alla Ballan per mano di Flavio Miozzo. Poi dopo un paio di stagioni, come accade spesso, i due sponsor si divisero e con Alessio rimase Bruno Cenghialta. Anni diversi, quando per fare una squadra bastavano altri budget e anche gli squadroni erano sì ricchi, ma non certo fino ai livelli attuali.
Regole e punteggi
Oggi Miozzo è direttore sportivo del Team Colpack e con lui come sponsor c’è ancora Ballan. Gli sembra quasi strano che si voglia parlare di quel periodo, ma dopo un po’ il discorso prende il via. Perché pur parlando di quindici anni fa, sembrano passate svariate ere geologiche.
«In quel periodo – dice – a livello economico era tutto a portata di mano. Le squadre erano divise in tre fasce. Le GS1 che valevano le attuali WorldTour, le GS2 che erano le professional e le GS3 che erano le continental. C’erano regole e punteggi in base ai quali potevi accedere alle corse, non comandavano i soldi. Non era male. C’era la Coppa del mondo, c’era la classifica individuale e noi italiani eravamo sempre importanti. Ma se devo dire, la grossa differenza è sul piano umano».
Rispetto per i giovani
Poche squadre avevano alle spalle delle multinazionali. C’erano banche, lotterie, grandi aziende: tutte costrette a fare i conti col budget.
«Le cose sono cambiate – annota Miozzo – non so se in meglio o in peggio, ma sono cambiate. Si è spostato tutto verso l’alto, sia in termini di aggiornamento, sia sul piano economico e quello della preparazione. Ci sono tanta tensione e tanto stress. Non dico che prima non ci fossero, ma avevamo ritmi meno esasperati. Nei due anni con la Ballan-Alessio scoprimmo Simoni, ad esempio, e anche Tosatto. Anche allora si cercava il giovane talento, ma li facevamo crescere rispettandoli. Era un gruppo unico, fra dilettanti e professionisti. Adesso attorno ai giovani c’è un vero e proprio business, li cambiano di continuo e c’è da capire poi quanto durano. Un po’ di equilibrio non guasterebbe».
Scapin e De Rosa
Anche le bici erano… piccole e italiane, frutto dell’artigianato e di lavorazioni su misura che ci invidiavano in tutto il mondo.
«Avevamo le bici Scapin – conferma Miozzo – perché ci tenevamo ad avere il meglio del made in Italy, tanto che poi arrivò De Rosa. Le bici artigianali italiane avevano un grande appeal internazionale. Eravamo avanti a livello internazionale e facevamo il massimo per stare al passo e alla fine gli stranieri venivano a correre da fuori e gli italiani erano gli atleti più rappresentativi».
Continental sì o no
Poi la curiosità si sposta sul presente e un confronto improbabile: che differenza c’è fra una grande continental come la Colpack del 2021 e la Ballan di allora? Miozzo un po’ ci pensa, poi però la risposta è quella che ci aspettavamo.
«A livello di organizzazione e mezzi – dice – la Colpack vale una professional di quegli anni. C’è da 30 anni, è ben strutturata e ha alle spalle un progetto solido. Ma c’è una grossa differenza. Le GS1 e le GS2 erano squadre di professionisti, seguivano le regole Uci, rispettavano la Legge 91 del 1981 sul professionismo e pagavano gli stipendi. Anche le GS3 erano professionistiche. La Mapei giovani di Pozzato era di professionisti con gli stessi minimi di stipendio. Oggi non è così. Secondo me tutte le squadre di dilettanti dovrebbero essere continental, ma con le stesse tutele che c’erano vent’anni fa. Non si può andare a peggiorare…».