L’intervista a Mattia de Marchi e un commento sotto ad un nostro post sui social hanno aperto lo scrigno del gravel. Una disciplina che è nata per vivere la bicicletta in maniera diversa, all’avventura e che il ciclismo ha fagocitato rendendola, nei suoi appuntamenti iridati, una branchia del professionismo. Tra coloro che si sono “convertiti” al gravel c’è anche Umberto Marengo. Terminata la carriera da pro’ nel 2022 ha iniziato una nuova vita, fatta di un lavoro normale e di gravel.
«Prima – ci spiega nella sua pausa pranzo – c’è stato il capitolo della mountain bike, nel 2023. Mi è servito come anno di transizione, nel quale ho imparato a muovermi nel fuoristrada. Il gravel è quel mix divertente fatto di passione e uno spirito di avventura e condivisione. Ne parlavo con l’organizzatore della Monsterrato (da quest’anno rinominata Monsterrando, ndr), l’evoluzione dell’agonismo nel gravel è incredibile. C’è l’aria competitiva, ma lo spirito rimane sereno e tranquillo. Al centro rimane la passione per la bici, lontano dalla strada e dai suoi tanti stress».
Come ti sei appassionato a questa disciplina?
E’ successo l’ultimo anno da professionista, nel 2022, quando ho corso la Serenissima Gravel. Mi sono presentato al via senza sapere cosa fosse e alla fine ho fatto anche bene, sono arrivato ottavo o nono. Ricordo di essermi divertito parecchio e nel farlo avevo scoperto una nuova disciplina. Nel 2023, una volta chiusa la Androni, ho corso in mtb ma il pallino del gravel mi era rimasto.
Ci sei arrivato quest’anno…
Grazie al posto in cui lavoro da novembre, un negozio di bici. Hanno una squadra, si chiama MenteCorpo, mi hanno proposto un calendario gravel e ho detto subito di sì. E’ stato un cambio di mentalità, quando esco su sterrati la mente si libera, stai nel tuo mondo e ti diverti. Chiaro che ci sono passaggi tecnici e difficili, ma è un confronto che riguarda se stessi e le proprie abilità. In strada c’è l’automobilista che ti chiude oppure il traffico, insomma si è più nervosi. Nel gravel non litighi con nessuno (ride, ndr) al massimo con te stesso se cadi.
Come riesci a far quadrare lavoro e preparazione?
Lavorando a tempo pieno, le ore per uscire in bici sono limitate, ma riesco a fare tutto. Il più delle volte pedalo in pausa pranzo o nel fine settimana se non corro.
I risultati sono arrivati, tra cui il quinto posto ai campionati italiani e il settimo alla Monsterrando.
Mi ero posto l’obiettivo di andare forte, o comunque al massimo delle mie possibilità. Sto andando bene e il sogno sarebbe quello di partecipare al mondiale o all’europeo. I punti per qualificarmi alla prova iridata sono arrivati, quindi il sogno continua. Sarebbe bello anche per com’è andata la mia carriera su strada, sarebbe una soddisfazione a livello morale.
Con questa professionalizzazione del gravel lo vedi ancora un obiettivo possibile?
Diciamo che le dinamiche di convocazione mi mettono un po’ con i piedi per terra, tanto che con il cittì Pontoni non ci ho mai parlato direttamente. Le priorità vanno verso altri corridori, quindi viene difficile convocare Marengo. Sarebbe bello però avere, al mondiale o all’europeo, qualche corridore in più che fa parte di questo mondo.
Invece arrivano i professionisti.
La nazionale è fatta da chi fa risultato. Chi fa il corridore di professione ha un’altra gamba rispetto a me che lavoro otto ore al giorno e vado in bici quando riesco. Però credo di aver dimostrato che vado forte. Non sono contrario ai professionisti nel gravel, ma penso che debba essere un’esperienza per entrambi. Il ciclista prova qualcosa di nuovo, mentre chi corre già nel gravel ha la possibilità di fare una gara accanto a dei campioni.
Più spazio a chi vive questa disciplina tutto l’anno?
Sarebbe bello, ma questa cosa deve partire da chi fa le convocazioni. Pensate di avere in nazionale due professionisti e per il resto chi fa gravel tutto l’anno ad alti livelli. Una nazionale mista permette a tutti di fare un’esperienza bellissima a mio modo di vedere. Ma serve tutelare chi fa gravel come prima disciplina.