La torta con le candeline e a letto presto. La sveglia stamattina ha suonato nuovamente di buon’ora. Il 25esimo compleanno di Caroalberto Giordani è trascorso così, in famiglia (nella foto di apertura, all’ultima corsa con padre, madre, fratello e compagna), fra un turno e l’altro in fabbrica. Il veronese di Isola della Scala ha corso la Serenissima Gravel di venerdì 14 ottobre e il lunedì mattina ha iniziato a lavorare in un’azienda vicino casa. Voleva andare alle Olimpiadi e magari prima entrare in un gruppo sportivo militare, ma di colpo il telefono ha smesso di squillare. Le convocazioni sono finite. E così a luglio ha fatto il colloquio in fabbrica. Ora ha la voce sicura, come quando te ne sei fatto una ragione. Ma se in tanti anni abbiamo imparato a conoscere i corridori, la ferita non ha ancora smesso di pulsare.
«Da quando ho visto Viviani vincere a Rio – racconta – il mio sogno è diventato vincere, ma soprattutto andare alle Olimpiadi. Avevo l’obiettivo di entrare in un corpo di Polizia, ma non ho più ricevuto convocazioni. Avevo deciso di investire sulla pista, vista la vittoria in Coppa delle Nazioni e il secondo posto con il quartetto a Milton, in Canada. Ero molto soddisfatto. Poi ho corso i Giochi del Mediterraneo su strada, ma alla fine si è spento tutto e non so neanche io il motivo. Forse sarà arrivato qualche giovane che ha preso il mio posto, non lo so e non voglio fare polemica. Solo che durante l’estate ho maturato questa decisione e alla fine… l’ho presa».
Uno stile di vita
Questa è la storia di uno di quegli azzurri che per anni ha girato sulle piste del mondo a caccia di punti per qualificare l’Italia ai mondiali. Serve sempre qualcuno che faccia il lavoro… sporco, ma di solito una pacca sulla spalla è il minimo che merita. Altrimenti la motivazione sparisce, il tempo si porta via gli anni migliori e ti ritrovi di colpo a 25 anni con la sensazione di non aver tirato insieme nulla. Si può smettere come Nibali perché hai raggiunto i tuoi sogni, oppure come in questo caso perché li hai visti crollare. Forse però quel che scoccia è il silenzio, che a un certo punto sembra mancanza di considerazione.
«Nessuno mi ha chiamato per chiedermi di ripensarci – ammette – perché negli ultimi mesi il distacco è stato totale. Li ho sentiti oggi (ieri, ndr) per gli auguri di compleanno. Il rammarico c’è. Non era questo quello a cui miravo, ma sono comunque consapevole di aver dato in ogni corsa non il 100, ma il 110 per cento. Perché comunque non erano solo le corse, ma un vero stile di vita che posso dire di aver sempre seguito diligentemente. Il ciclismo mi mancherà. La competizione e l’adrenalina di voler dimostrare agli altri che non sei da meno. Sono appassionato di sport a 360 gradi e posso dire che è stato una grande scuola di vita. Anche adesso sul lavoro sento già di sapermi muovere».
Dal calcio alla bici
Sulla bici c’è salito presto, anche se all’inizio ha giocato a calcio. A 8 anni ha fatto provini col Chievo e con l’Hellas Verona, anche se a prenderlo alla fine fu il Mantova. Il ciclismo c’era già da prima, ma è arrivato con più convinzione per imitare suo fratello che già correva.
«Fu amore a prima vista – sorride – ma non volevo lasciare il calcio, tanto che il primo anno li facevo entrambi. Poi i miei mi dissero che avrei dovuto scegliere e io scelsi la bici, perché dava l’emozione della vittoria che dal calcio non arrivava. All’inizio era un divertimento, con tutti gli amici del veronese, poi da dilettante le cose sono cominciate a farsi più serie.
«In un primo momento guardavo più alla strada e ho sbagliato con l’alimentazione. Volevo essere magro e non avevo più forze. E infatti poi ho capito che funzionava al contrario e ho fatto i risultati migliori. I velocisti di adesso sono più muscolosi di una volta, ma ci sono ancora in giro direttori sportivi che ti martellano con il tema del peso ed è facile cadere nel tranello».
Otto ore al giorno
La torta con le candeline e a letto presto. La sveglia stamattina ha suonato nuovamente di buon’ora. L’azienda in cui lavora si chiama Sierra e produce scambiatori a pacco alettato per l’impiego in applicazioni civili e industriali.
«Attacco ogni giorno alle 7,30 – racconta Giordani – finisco alle 16,30, con la pausa di un’ora per il pranzo. Ho qualche altro progetto per la testa, ma non mi andava di scendere dalla bici e stare senza far nulla. Continuerò a fare sport. Oggi ho corso con Kimberly, la mia ragazza e mi ha tirato il collo. Non ho la bici, anche se alla Serenissima Gravel mi sono divertito e mi è venuta voglia di comprarla. Corro, vado in palestra, gioco a basket con gli amici. E vorrei tanto salutare e ringraziare le persone che mi sono state vicino. La mia famiglia in primis che mi ha sempre sostenuto. Mia mamma si chiama Stefania, mio papà Stefano. Mia sorella Matilde e mio fratello Lorenzo, con cui ho condiviso questa passione. E anche gli amici e tutti quelli che in modo diverso mi sono stati vicino, mentre correvo e in quest’ultimo periodo».