E quindi ci siamo… «Siamo ai titoli di coda!». Gianluca Brambilla, vicentino classe 1987, annuncia il ritiro dalle competizioni. Lo fa dopo 16 stagioni da pro’, tutte vissute alla grande. «Alla fine è stato un bel viaggio, una bella avventura. Il film di un ragazzino che inizia a pedalare guardando il Giro d’Italia al pomeriggio e poi per fortuna, capacità e altre mille variabili è riuscito a diventare corridore».
“Brambi” dice basta insomma. E lo fa per scelta sua e non per contrarietà. Cosa determinante a nostro, ma soprattutto a suo, avviso.
Per salutarlo abbiamo deciso di fare un’antologia: dieci foto, dieci momenti della sua carriera che lo stesso Gianluca ha estrapolato per noi e che ci racconta.


La prima vittoria
La prima foto è subito di una vittoria, la prima. Quella che non si scorda mai, ma anche le altre non si dimenticano. Solo che suona bene dire così!
«Avevo firmato il contratto a casa di Reverberi – inizia Brambilla – Loro già mi seguivano, ma dopo la mia vittoria da Under 23 al Palio del Recioto mi fecero firmare subito. E furono bravi, perché poi arrivarono altre squadre grandi, ma era tardi ormai. Di questa scelta sono contento, perché poi di campioncini che passano subito in squadroni e poi si perdono ce ne sono stati tanti. Io invece sono potuto crescere gradualmente».
«Venendo alla foto, quella è la vittoria al GP Nobili Rubinetterie e si può dire che in parte era anche la mia prima corsa da pro’. Era giugno più o meno. Avevo esordito a Lugano, ma non stavo bene. Già da dicembre avevo una fortissima tendinite, rischiavo l’operazione. Il mio viaggio stava per finire ancora prima di cominciare. Restai fermo per mesi, ripartii da zero e quel giorno tutta la sfortuna girò alla grande. Ero incredulo, perché comunque era una gara impegnativa. Mi ricordo benissimo: c’era fuori una fuga ed io ero riuscito a partire dal gruppo. Rientrai in discesa e sul San Carlone staccai tutti».


La maglia rosa
La seconda foto che ci ha inviato Gianluca è un giovane Brambilla in maglia rosa. Il sogno.
«Eh già – sospira Brambilla – quello è proprio il sogno da bambino. Presi la maglia rosa vincendo la tappa, il famoso “tappa e maglia”. Si arrivava ad Arezzo dopo aver scalato l’Alpe di Poti, salita sterrata. Ero già in fuga e rimasi da solo. Discesa a tutta, pancia a terra in pianura e riuscii a tenere a bada il gruppo che tirava per Valverde. La cosa bella è che il giorno dopo c’era la crono e riuscii a tenerla per pochi secondi».
Fu un momento toccante per Brambilla e per la sua famiglia, anche per la sua compagna Cristina che in qualche modo era cresciuta con lui. «Ci siamo conosciuti quando io ero all’ultimo anno da dilettante».


Big battuti
Per questo terzo momento, Brambilla ha scelto il podio della sua vittoria di tappa alla Vuelta 2016. Quel giorno riuscì a battere i grandissimi. C’erano davanti gente come Quintana e Contador, tanto per dirne due.
A questo punto viene da chiedersi che corridore era il miglior Gianluca Brambilla. «Direi un attaccante, un uomo da fuga che quando in forma sbagliava poco. Anche contro campioni, perché quel giorno in Spagna si andò fortissimo. Finirono in 90 fuori tempo massimo. Poi furono riammessi. In quell’attacco c’erano grandi atleti e anche dei loro compagni che tiravano a tutta per staccare il più possibile Froome, che infatti andò alla deriva».


Amore azzurro
Tra i momenti clou, Brambilla ha inserito anche la nazionale. Una foto che lo ritrae con Pellizotti ad Innsbruck.
«Fu il primo mondiale tra i pro’ – racconta Gianluca – ma non la prima maglia azzurra. Infatti avevo fatto gare con la nazionale maggiore, tipo la Tre Valli, il Pantani… E da under 23 corsi a Mendrisio. Quell’anno il cittì era Cassani, io ero stato uno degli ultimi ad essere inserito perché andai forte in quelle classiche gare premondiali. La volevo proprio quella maglia e me l’ero guadagnata. Ci tenevo tantissimo».
«Credo che qualche tempo fa la maglia azzurra fosse più prestigiosa, più ambita. Senza andare contro nessuno, ma soprattutto dopo il caso Gazprom iniziando a fare tante gare era diventata quasi come una squadra di club».


Gli amici…
Brambilla ha scelto una foto semplice, quasi una scena di vita quotidiana: lui con Moreno Nicoletti, all’epoca suo procuratore.
«Moreno – racconta Brambilla – mi ha aiutato nel passaggio al professionismo. Quando firmai con Reverberi c’era lui. Tra l’altro eravamo vicini di casa e mi vedeva sgambettare sin da piccolo. Mi avvicinò che ero under 23. Sono rimasto con lui per quasi dieci anni, poi per altri 3-4 ho fatto da solo e adesso sono con i Carera».
Ma è chiaro che nella carriera di un atleta professionista le figure che ruotano attorno a lui, anche non per forza tecniche, sono diverse, anche per il morale.
Sicuramente la mia compagna è stata importante. E oltre a lei mi vengono in mente altri due personaggi. Uno è Gianni Faresin. Lui è stato un po’ quello che mi ha scoperto. Ero con lui ancora prima della Zalf, mi fece passare da juniores prima alla Breganze U23 e poi mi portò alla Zalf. Mi ha seguito anche nei primi anni da pro’. Era il mio confidente. Poi quando passai in Quick-Step, dove non si potevano più avere allenatori esterni, abbiamo interrotto. Ma un occhio me lo dava sempre!».
Altra figura centrale, anzi centralissima, è il mio amico Filippo Conte Bonin. «Lui mi ha aiutato tantissimo. Era stato massaggiatore in Bardiani, anche se non quando c’ero io. Mi faceva i massaggi a casa, il dietro moto, mi supportava negli spostamenti e persino nei traslochi! E c’è tuttora. Sono anche il suo compare di nozze. Oggi lavora presso una ditta di distribuzione bevande, però spesso e volentieri salta la sua pausa pranzo per farmi fare dietro motore. Io sono proprio un rompi c…i!».


E i grandi leader
La sesta foto l’abbiamo scelta noi ed è venuta in seguito alla chiacchierata. Stando in grandi squadre Brambilla è stato vicino a grandi campioni.
«Pidcock mi piace parecchio, è un bel leader, ma non lo conosco benissimo. Non ci sono poi stato così tanto a contatto. Che dire, ho corso con Uran, Cavendish, Boonen… difficile dire un nome. Boonen aveva la fama del festaiolo, però in ritiro la mattina alle otto era il primo a fare “core stability”. Era una macchina d’allenamento, aveva un fisico mostruoso. E tosto era tutto il gruppo belga o del Nord nei ritiri di dicembre e gennaio. Erano già in modalità classiche e mi uccidevano. Partivamo e appena sentivi il “clac” del pedale che si agganciava, eri già a 43 all’ora fisso. Ancora mi ricordo le curve per uscire da Calpe, quei su e giù a tutta. Una sofferenza. La prima volta rimasi al vento! Giuro… mi staccai subito. Poi lo sapevo. Dovevi mangiare poco, perché sennò vomitavi l’anima, partendo così forte con quei bestioni».
«E poi Cav… talento puro. Anche Uran e la sua simpatia. Eravamo sempre in camera assieme io e Rigo. Lui era veramente “tranquillo style”. Mai vista una persona così pacata. Gli hanno rubato un Giro d’Italia – perché secondo me quell’anno le staffette a scendere dallo Stelvio fecero un bel casotto – e lui in camera che diceva a me: “Tranquillo, non c’è problema».


La sua corsa a tappe
«Ho scelto questa foto – va avanti Brambilla – perché ritrae la vittoria di tappa e dell’unica corsa a tappe che ho vinto: il Tour des Alpes Maritimes. Ci tengo anche perché all’epoca abitavo a Monaco e quella salita dove vinsi era la salita di “casa”. Anche lì, feci tappa e maglia. Ve l’ho detto che quando riuscivo ad andare in fuga ero pericoloso!».
«Non ho vinto tanto, ma ho vinto di qualità e soprattutto ho vinto in tutte le squadre in cui sono stato… Devo ancora farlo con la Q36.5 Pro Cycling Team. Spero di riuscirci in queste ultime otto gare. Sarebbe il top, ma con il livello che c’è è difficilissimo».


Ecco la Q36.5
In qualche modo, Brambilla lancia il tema Q36.5, la squadra che lo ha accolto dopo l’uscita dalla Trek-Segafredo. Tra l’altro, una foto in cui si sta mettendo i gambali seduto sul portabagagli dell’ammiraglia.
«Questo scatto mi piace perché è un po’ amarcord e non ce ne sono più così. E’ una foto di vecchi tempi. L’ammiraglia oggi non si usa più. Ci sono il bus o il camper, siamo al chiuso… qui invece eravamo per strada, come una volta. Mi piace questo senso di semplicità».
Cosa significa stare in questa squadra? Che ciclismo rappresenta? «E’ il ciclismo di una squadra moderna – spiega Brambilla – sono tre anni che sto qui e l’ho vista crescere tantissimo, soprattutto nell’ultimo anno con l’innesto di Pidcock e del suo staff. E vedo come stanno impostando l’anno prossimo. Vogliono il salto di qualità. Si vede anche dagli innesti importanti: vuol dire che la squadra vuole essere protagonista. Vuole arrivare nel WorldTour e vuole farsi trovare pronta una volta lì».


Il “rimpianto”
La nona foto che ha scelto Brambilla è il podio della Strade Bianche 2016. Ne eravamo sicuri anche noi. Potremmo descrivere quel giorno, visto che eravamo a bordo strada poco prima che entrasse a Siena e Cancellara lo riacciuffasse. Fu a tanto così da una vera impresa. Ne riparlammo anche la sera stessa nel suo hotel…
«Questo – racconta Brambilla – è forse l’unico rammarico della mia carriera. Non aver vinto quella corsa mi è rimasto qui. Ma non perché fosse la Strade Bianche in quanto corsa prestigiosa, ma per come l’avevo affrontata sul piano fisico e tattico. Perfetto. A me non successe niente: niente crampi o nervosismo. Fu Cancellara che andava il doppio. Soprattutto quando nel finale dentro Siena iniziò il pavé. Io iniziai a rimbalzare e lui invece restava saldo a terra e faceva proprio un’altra velocità. E’ andata così… ma tra le tante questa è una corsa che mi piace tantissimo, bellissima. Una gara che andrò a vedere a bordo strada».


Il presente e il futuro
Questa ultima è il presente. Quello che è adesso Brambilla. Un corridore a tutti gli effetti fino alla Veneto Classic. Anche questa è una foto di vita quotidiana per un pro’.
«Lì ero al Tour de l’Ain, quest’estate. Una gara in cui sono andato bene. Ho finito settimo nella generale e c’erano bei nomi, gente che era uscita dal Tour de France. Questa foto, che può sembrare banale, in qualche modo per me rappresenta il mio presente. Un atleta professionista fino alla fine».
E qui va detta una cosa fondamentale. Brambilla smette per sua scelta, non perché non avesse un contratto. Detta fuori dai denti, la Q36.5 lo avrebbe tenuto, proprio per chi è, per il dietro le quinte e anche per i risultati (giusto qualche giorno fa è arrivato quinto al Romagna).
«Non volevo trascinarmi e smettere perché non avevo alternative. Questo mi rende tranquillo, sereno. Non dico “voglio smettere”, mi risulta difficile. Sembra quasi che uno rifiuti il proprio lavoro o denigri quello che ha fatto fino adesso. Ma è piuttosto: voglio finire perché magari inizio altro, perché lo scelgo io e non gli eventi».
E allora caro Gianluca buon viaggio e che la grande festa abbia inizio. Prima però sotto con le altre corse, a partire dal Giro dell’Emilia di oggi. Fino al 19 ottobre sei ancora un pro’!