Garzelli: «Valencia rialza la testa grazie al ciclismo»

10.02.2025
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La Volta a la Comunitat Valenciana è riuscita ad andare avanti, meglio: a ripartire. Dopo i danni provocati dalla DANA (l’alluvione che ha colpito la Regione di Valencia a fine ottobre) in pochi pensavano che gli abitanti di quella zona sarebbero ripartiti. Invece la comunità, unita, ha messo insieme le forze e radunato quel poco che era rimasto per rialzarsi. Ne avevamo parlato con Stefano Garzelli, il quale aveva raccontato e riportato storie e foto di un popolo colpito duramente. Pochi mesi dopo, esattamente tre, i danni si contano ancora ma la strada sembra meno in salita.

Riprendere

Stefano Garzelli, che a Valencia vive da anni ha costruito legami forti con questa terra. In questi giorni è stato in gara, ha visto e riassaporato il ciclismo prima di iniziare un’altra stagione ai microfoni della RAI come commentatore tecnico. Ma in questi giorni la corsa è stata un contorno, bello ed entusiasmante, ma i protagonisti sono stati altri

«Nei giorni di oggi (venerdì per chi legge, ndr) e domenica – spiega Stefano Garzelli appena rientrato a casa dopo la vittoria di Ivan Romeo ad Alpuente – le sedi di partenza di tappa sono due città colpite pesantemente dalla DANA. In totale sono quattro o cinque i Comuni colpiti che la corsa ha attraversato. Solitamente quando le città ospitano la partenza o l’arrivo di una tappa pagano, in questo caso la partenza alle due cittadine colpite (Algemesì e Alfafar, ndr) è stata lasciata gratuitamente. Tra l’altro due magazzini che contenevano materiale della corsa erano proprio in questi comuni. Casero, l’organizzatore della Volta a la Comunitat Valenciana, ha subito preso la situazione in mano con la voglia di ripartire».

Toccare con mano

Il ciclismo è uno sport che permette di valorizzare il territorio, questo lo si dice da anni quando si parla dei Grandi Giri, ma può anche essere un modo per non essere invisibili agli occhi del mondo. Lo si era fatto con il terremoto dell’Aquila, anche se poi questa iniziativa non aveva scosso le istituzioni nell’accelerare i tempi di ricostruzione. Tuttavia la Regione di Valencia ha un legame profondo con il ciclismo.

«Le immagini – prosegue Garzelli – mostrano che la gente non si è arresa, si è rialzata e ha lavorato ancora più duramente per ripartire. Far vedere certe immagini in televisione serve anche per far capire l’entità dei danni subiti e le perdite materiali. Ma una cosa del genere se non la si vede dal vivo si fa fatica a comprenderla. La vita qui continua, però si capisce che la gente ha vissuto qualcosa che si porterà dentro per sempre. Durante tutte le tappe si sono visti tanti bambini sulle strade, le scuole hanno voluto salutare il passaggio della corsa. E’ stato un modo per dare loro qualcosa di bello dopo mesi difficili.

«Dall’altro lato – dice ancora Garzelli – a Valencia il ciclismo lo si vive intensamente, soprattutto in questo periodo. Tra dicembre e gennaio sono venuti ad allenarsi su queste strade tutti i team WorldTour. Sia loro che gli staff hanno avuto modo di vedere e capire cos’è successo».

Le cicatrici

I danni si vedono ancora, basta guardare attraverso lo schermo e si vedono i segni della distruzione. Le strade sono risultate libere e pronte ad accogliere la sfida tra gli atleti, ma bastava spostare gli occhi sulle città per capire come il fango segnasse ancora muri e case. 

«L’altro giorno – conclude Garzelli – le telecamere hanno inquadrato una pila di duecento o trecento auto distrutte. Quelle sono tutte persone che hanno perso qualcosa, anche solo un mezzo per andare al lavoro. I segni sono ancora evidenti, il fango segna fin dove l’acqua è arrivata spazzando via tutto. Tanti negozi hanno ancora la serranda giù, oppure funzionano ma vedi le conseguenze di quanto successo. Il concessionario che fornisce le auto all’organizzazione ha perso trecento auto nuove in una notte, pensate al danno economico. Tanti ponti sono ancora impraticabili, con l’esercito che ha costruito vie alternative. La Volta a la Comunitat Valenciana è ripartita e ha fatto in modo che questa parte di Spagna non fosse invisibile, sta a noi non chiudere gli occhi».