Alla Veneto Classic si è conclusa la carriera di Alessandro De Marchi, il Rosso di Buja ha appeso la bicicletta al chiodo, ma le sue idee e quello che ha regalato al ciclismo rimarranno vive a lungo. Professionista dal 2011, quando di anni ne aveva 24, ha corso per quindici stagioni ai massimi livelli con l’istinto di chi ama attaccare. La squadra che lo ha lanciato nel professionismo è stato il CTF Friuli di Roberto Bressan e di Renzo Boscolo. Per De Marchi, friulano DOC non ci poteva essere altra maglia per arrivare tra i grandi.
Durante la sua ultima gara sono tante le figure che sono venute a vederlo e salutarlo. Tra tutti c’è stato lo stesso Renzo Boscolo.
«E’ stato un piacere e un onore essere presente all’ultima corsa di De Marchi – dice il diesse friulano – anche se i sentimenti erano contrastanti. Da un lato c’era l’amarezza di vederlo in gara per l’ultima volta, mentre dall’altra parte prevaleva l’orgoglio. Per salutare Alessandro abbiamo fatto un giro di chiamate tra staff e vecchi corridori del CTF e sulle strade della Veneto Classic ci saranno state un centinaio di persone solamente per lui. Insomma, fa capire cosa è stato capace di lasciare Alessandro De Marchi al ciclismo».


Il CTF lo ha lanciato nel professionismo, cosa ha significato per voi?
Alessandro ha concretizzato l’idea che Roberto Bressan ed io avevamo a proposito del Cycling Team Friuli. Ha dato un’anima a quella squadra e alla nostra passione per il ciclismo. De Marchi è stato l’atleta che per tenacia e combattività ha mostrato cosa fosse il CTF. Il grande ciclismo ai tempi era fuori dal Friuli e sono tante le squadre che nel corso degli anni lo hanno cercato, dal Veneto, dalla Toscana e dalla Lombardia.
Ha sempre avuto un attaccamento forte alla propria terra?
Lui è il rappresentato del Friuli a livello ciclistico, non c’è strada che De Marchi non abbia solcato. Per noi è stato importantissimo, così come Fabbro gli anni successivi. Ecco, loro due sono i corridori friulani che sono stati capaci di aprire una strada per gli altri.


Quali erano gli ideali che De Marchi rappresentava per voi?
L’attaccamento alla maglia, vi posso raccontare un aneddoto: è una casualità, ma riceveva davvero tante proposte da squadre molto più grandi della nostra. Lo chiamavano offrendogli soldi che noi all’epoca non avevamo. Lui rifiutava dicendo: «Sono già in una grande squadra. E se non lo è, la farò diventare».
Com’è arrivato da voi?
Da under 23 è passato con la Bibanese ed è stato quattro anni con loro. Al CTF è arrivato al primo anno elite. La prima corsa vinta è stata al quarto anno da under 23, una tappa del Giro delle Pesche Nettarine. Quell’anno vinse ancora qualche gara e poi venne da noi e rimase per due stagioni.




Quindi passò professionista alla fine del secondo anno elite, una cosa che sembra preistoria…
Già all’epoca cominciava già a essere molto difficile passare da elite. De Marchi però era molto forte in pista, aveva vinto dei titoli nazionali
E’ sempre stato un attaccante nato?
Già da junior era conosciuto per le fughe e i numerosi piazzamenti, anche se non aveva mai vinto una gara. Quando vinse il premio come corridore più combattivo al Tour de France 2014, qualcuno disse che era il premio che meglio rappresentava Alessandro De Marchi.


Che figura era all’interno del CTF?
All’epoca avevamo anche corridori più grandi di lui, perché c’era l’accordo con la pista. Ma il soprannome che gli diedero in squadra fu: “il capitano”. Tutti si fidavano di lui, il suo carisma era incredibile e polarizzante. De Marchi aveva una determinazione, una grinta e una voglia immensa. Ricordo che andavamo a fare le gare a tappe in Romania o all’estero e partivamo in furgone da casa. Era bellissimo viaggiare con Alessandro perché si parlava di tutto, c’era una grande vitalità nei suoi discorsi.
Quindi è sempre stato un uomo con le idee chiare, precise e con dei valori e dei principi saldi?
E’ sempre stato un uomo molto attento alla società, a quello che è il sociale, pronto ad aiutare gli altri, è una persona di principi e con un’etica estremamente forte. Questo lo si vede anche dall’evento che ha voluto organizzare sabato e domenica (25 e 26 ottobre, ndr) interamente dedicato ai giovani e ai bambini. Inoltre il ricavato di quella manifestazione andrà in beneficenza. Però Alessandro ha sempre avuto un’attenzione particolare agli altri, non c’è premiazione, evento o gara regionale alla quale rifiuti di partecipare se invitato. E’ un modo di fare che nei giovani si vede sempre meno.


Che effetto vi ha fatto vederlo crescere e diventare l’uomo che è ora?
De Marchi nella sua vita ha dato molto di più di quanto ha ricevuto. Sicuramente all’inizio di carriera questo divario era ancora più grande perché ha fatto la scelta di venire da noi al CTF quando la società era nata da poco. Non era scontato avere un atleta del genere. Lui ha creduto nel progetto e ha creduto principalmente in noi. Il merito va a Roberto Bressan, il quale lo ha fortemente voluto, perché in De Marchi ha visto il prototipo di corridore e persona che volevamo in squadra. La tendenza di Alessandro è sempre stata quella di non mollare mai, di volersi migliorare ed è sempre stato ambizioso.