Bonetta ci racconta le storie del Gavia

09.02.2021
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Le storie del ciclismo sono ovunque. Sulla strada prima di tutto, ma anche nei corridori, in ammiraglia, nei bus e persino nei rifugi. Uno su tutti il Bonetta, storico e mitico rifugio del Passo Gavia. Salita splendida quella lombarda, una sintesi tra la grandezza dello Stelvio e le pendenze estreme del Mortirolo. Sulle sue rampe si trova tutto ciò.

Il rifugio fu costruito nel 1960 da Duilio Bonetta e sua moglie Vittorina Vitalini. Ebbero quattro figli, due maschi e due femmine. Uno di quei maschietti è Federico che tutt’ora gestisce insieme a loro il rifugio con l’occhio sempre presente di mamma Vittorina. 

A destra, Federico Bonetta con la famiglia Cantoni (Daniele ex U23)
A destra, Federico Bonetta con la famiglia Cantoni (Daniele ex U23)

Federico Bonetta è un vero oste. Uomo di montagna puro. Una sera ci fermammo a dormire presso il suo rifugio. Era ormai all’imbrunire, c’era la nebbia e scendere a Ponte di Legno non era il massimo. Entrammo, Federico ci diede una camera e cenammo. Eravamo noi e un cicloturista belga. Tra pizzoccheri fumanti e un bicchiere e l’altro ci aprì il libro dei ricordi. Quanti campioni sono passati lassù.

Il “primo primo”, Massignan 

Le pareti del Bonetta sono un enorme collage di foto. Ci sono ciclisti, vip, sciatori ma soprattutto… ciclisti. La prima volta che vi passò il Giro fu proprio nel 1960 e l’onore di quel battesimo toccò ad Imerio Massignan.

«Mi trovai davanti una vera e propria mulattiera – disse Massignan – con ghiaia e sassi, muri di neve alti sei metri e uno strapiombo a tenermi compagnia».

«Io però – racconta Bonetta – avevo due anni e non ricordo nulla se non dai racconti dei miei genitori di quel giorno. Erano le prime volte che salivo al Gavia da Santa Caterina, casa mia. Ricordo però bene la seconda volta, quella mitica del 1988».

Andrew Hampsten in azione sul Gavia al Giro del 1988, la neve ancora non era eccessiva
Andrew Hampsten in azione sul Gavia al Giro del 1988

Hampsten, la neve, il mito

E quella fu la tappa che regalò il Gavia al mito. I corridori vi transitarono sotto una bufera. Oggi di certo la bloccherebbero, visto quanto accaduto quest’anno a Marbegno, ma il libro della leggenda del ciclismo avrebbe un capitolo in meno.

«Ad oggi è il mio ricordo più sentito. Vincenzo Torriani, allora direttore del Giro, mi fece otto telefonate. All’epoca non c’erano i cellulari e mi relegò dentro al rifugio in attesa delle sue chiamate. La prima telefonata avvenne alle 17 del pomeriggio prima, poco dopo la fine della tappa. Poi chiamò ogni due ore per tutta la notte. Mi chiedeva: Mi dica, Bonetta come va lassù? Nevischia e tira vento, rispondevo io. La neve in effetti non attaccava. E lui ancora: devono passare, devono passare. La mattina dopo alle 6 erano arrivate le macchine del Giro e se la vide poi con loro. Ma fino al passaggio della corsa nevischiava. Fu durante l’arrivo dei primi che cambiò tutto. Venne il gelo e la neve iniziò ad attaccare».

Visentini sulla vetta del Gavia sempre nel 1988
Visentini sulla vetta del Gavia sempre nel 1988

Federico racconta quell’avventura ancora con un grande trasporto emotivo. E rivela che Torriani, che aveva “scoperto” questo passo, ne era innamorato.

«Torriani voleva fare qualcosa per Bormio visto che l’anno prima la frana della Valtellina aveva causato enormi danni. E quindi voleva portarci il Giro. Mi colpì moltissimo Johan Van der Velde che arrivato in cima schizzò via. Non si fermò a mettere nulla. La tv lo cercava, ma non lo trovava. Dopo tre chilometri si era fermato da una parte. Non riusciva a frenare. Era completamente congelato. 

«Gli altri invece si fermavano. Chi più, chi meno, si coprivano. Ricordo che erano congelati e li appoggiavamo dentro le macchine. Stavano lì qualche minuto. Si scaldavano. Indossavano giacche e guanti. Persino i guanti che avevamo nel rifugio e che avremmo dovuto vendere ai clienti. Una volta finiti quelli misero su quelli rimasti, anche quelli da muratore. Gli massaggiavamo il busto e le gambe. Anche perché il peggio doveva arrivare: la discesa. In salita bene o male si “scaldavano”. Che scene.

«Posso dire che qualcuno, anche un nome molto importante, scese in macchina. Se poi sia risalito in sella a due chilometri da Bormio o prima non lo so. Ma di certò lasciò il Gavia in ammiraglia».

Il Rifugio Bonetta a 2.652 metri. Di solito apre a giugno, ma se c’è il Giro anticipa un po’
Il Rifugio Bonetta di solito apre a giugno, ma se c’è il Giro anticipa un po’

Quanti Giri

Negli anni poi i passaggi della corsa rosa ai 2.621 metri del Passo Gavia sono continuati. E tanti altri campioni si sono dati battaglia lassù.

«I colombiani – racconta Bonetta – mi sono sempre piaciuti, sono sempre stati combattivi. Le altre volte però non essendo il Gavia l’ultima salita non è stata decisiva e quindi vedevi passare il gruppo.

«Se salgono da Santa Caterina li vedi che si avvicinano a 30-40 all’ora (da quel versante il chilometro finale è praticamente pianeggiante, ndr) e spariscono. Quando invece salgono da Ponte di Legno è tutt’altra cosa.

Da Ponte di Legno, strada stretta e pendenze che sfiorano il 16%: il Gavia morde
Da Ponte di Legno, strada stretta e pendenze che sfiorano il 16%: il Gavia morde

Aspettando Pantani

Una giornata che il mito invece lo annunciava è poi svanita prima del via. Parliamo del Giro 1999 e più precisamente di quel maledetto 5 giugno. Tutta l’Italia ma forse sarebbe meglio dire tutto il mondo, aspettava Marco Pantani. Il Pirata aveva in serbo un’impresa stile Cuneo-Pinerolo di Coppi. Scattare sul Gavia, magari con qualcuno e lasciare tutti sul Mortirolo. Invece fu fermato a poche ore dal via di quella tappa.

«Mamma mia la gente che c’era! Mai vista così tanta – racconta Bonetta – Erano saliti già dal giorno prima con i camper, le tende… per tenere il posto. La notte si fece baldoria. Pensate che neanche chiusi il Rifugio. Poi quando arrivò la notizia ci fu lo sconforto generale. Ho visto gente che piangeva. In tanti iniziarono a scendere. Qualcuno voleva persino bloccare il Giro… poi quando videro la Polizia tutto si fermò. Fu un momento di rabbia».

Liquigas in testa al Giro del 2010
Liquigas in testa al Giro del 2010

Il Gavia nel cuore

Ma negli anni tanti campioni e personaggi hanno continuato a salire lassù. E ad entrare nel Rifugio Bonetta. Federico molti di loro li conosce e con alcuni ha stretto amicizia. In passato c’è stato Gimondi. E vengono tutt’ora Motta e Moser….

«Hampsten viene quasi tutti gli anni e ancora mi chiama. Porta qui dei turisti. Quando lui fece l’impresa transitarono non per la galleria, ma per la vecchia stradina a strapiombo che ormai è invasa dai massi. Non si capacita che non sia stata sistemata per le bici. Mi dice: al Tour l’avrebbero fatto. E’ un passaggio bellissimo, un valore aggiunto».

La stradina a strapiombo che aggira la “nuova” galleria
La stradina a strapiombo che aggira la “nuova” galleria

Spesso passano di lì in estate anche molti campioni che sono in ritiro in altura, magari sullo Stevio o a Livigno.

«Un giorno entra un ragazzo. Lo guardo, ci metto un po’ a capire chi fosse poi gli dico: ma tu sei Dumoulin! E lui mi risponde: sì, sono io. Un ragazzo educato. Aveva preso una Coca Cola e una fetta di torta. Davvero un ragazzo semplice, scambiammo qualche parola. Mi raccontò che veniva da Livigno, che avrebbe poi fatto il Mortirolo e sarebbe tornato a Livigno. Fui contento di offrigli torta e Coca.

«Di certo – aggiunge con sarcasmo Bonetta – non è stato come qualcun altro che, forte della sua vittoria al Giro venne, si sedette con altri cinque corridori, entrò, ordinò sei Coca Cole e sei tranci di torta e andò via senza pagare e senza dire nulla. Non mi sono impoverito per sei pezzi di torta, però… ».

«Ah, quasi dimenticavo: Contador! Quello sì che è un signore… Quando veniva in Valtellina, in occasione della manifestazione di un suo sponsor, come arrivava salutava e mi chiedeva di “nonna Vittorina”. Scambiava qualche parola con lei e lo stesso faceva con noi a tavola. Aveva un codazzo di gente ogni volta. Lui voleva sempre la stessa cameretta per cambiarsi. Mi ha detto che il Gavia è un bel traguardo per lui».

Federico Bonetta ve ne può raccontare mille di storie. Se per caso questa estate passate da lui non siate turisti mordi e fuggi. Fermatevi a parlare con il rifugista, ne vale la pena.