In quei 19 secondi alla fine del Sibiu Cycling Tour c’è la differenza fra un atleta che non riusciva a ritrovarsi e uno che ha provato a vincere. E d’accordo che la corsa rumena non fosse il Tour de France e alla partenza non ci fossero i più grandi fenomeni del ciclismo mondiale, ma a volte i risultati vanno contestualizzati. E per Fabio Aru essere lì a lottare contro Giovanni Aleotti è stato un momento importante. Se vi interessa capire il perché continuate a leggere.
Il ruolo del giornalista
A Fabio si vuol bene, come quando conosci qualcuno da ragazzino, ne condividi i sogni, lo vedi realizzarli, poi lentamente scivolare verso chine inaspettate. Ti fai mille domande, le fai a lui. Qualcosa puoi scrivere, qualcosa no. Ma inizialmente non conta ciò che scriverai, conta ciò che puoi dirgli cercando di dare una mano. Però alla fine il giornalista ha l’obbligo di raccontare, così questa volta la chiamata è per scrivere, con il gusto reciproco di spiegare e capire. Nei giorni scorsi, parlando con altri corridori, il punto di domanda non era tanto sulla sua capacità di allenarsi, quanto piuttosto sulle grandi attese non sempre facili da fronteggiare.
Fabio è di ritorno a Lugano dopo un paio di giorni a Torino. Il tempo mette a brutto e anche se da quelle parti non fa mai particolarmente caldo, una rinfrescata ci sta bene. Gli sarebbe piaciuto correre in Sardegna alla Settimana Italiana appena partita, ma la sua squadra non partecipa e in nazionale ci sono i corridori per Tokyo. Parlare di programmi sarà un cammino a margine.
Come è andata a Sibiu?
Chapeau ad Aleotti per come è andato. Potevo giocarmi meglio la tappa in cui ho fatto secondo, ma il giorno dopo l’ho attaccato forte e non l’ho staccato. Poco da dire. E’ andato forte e io ho fatto buoni valori. Sono tornato a casa con belle sensazioni, come non succedeva da un pezzo, dopo una corsa ben organizzata e con un bel livello. In realtà ero andato abbastanza bene anche a Lugano. Sono arrivato 14° ma prima ho attaccato. Oddio, forse da troppo lontano, visto che mancavano 100 chilometri…
Stai bene?
Nelle ultime due settimane, anche in allenamento ho notato un bel cambiamento nelle sensazioni e nei valori. Ho finalmente buoni riscontri in salita. Ho pagato a caro prezzo la discontinuità degli anni passati. Non era normale finire tutte le corse con i crampi. E non crampi da disidratazione, ma da disabitudine alla fatica. La testa mi avrebbe spinto ad andare oltre, ma le gambe non ce la facevano. In più finora avevo fatto un calendario di primo piano e ho dovuto accettare il fatto di non avere ancora il livello per fare bene. Invece arrivare davanti in una corsa pur minore mi ha dato morale e mi ha permesso di correre diversamente, di non subire il ritmo degli altri.
Un bel cambiamento nelle sensazioni e nei valori?
Nelle ultime due settimane ho fatto dei record in salita. Non sono uno che pubblica su Strava, ma forse a volte a qualche tifoso farebbe piacere leggerlo. Solo che ora mi serve dare continuità. Con i miei allenatori abbiamo contato che da settembre 2019 all’inizio di quest’anno, quindi in circa 18 mesi, ho fatto solo 26 giorni di gara. Sia a livello fisico che di fiducia sono arrivato alla ripartenza con qualche lacuna.
Come mai il campionato italiano è finito con un ritiro?
Non era quello il mio livello, sono rimasto male anch’io. Ho avuto sensazioni negative inattese, ma proprio in seguito a quel giorno ho scelto di non andare al Tour. Non so come sarebbe stato in Francia. Ora invece il trend è positivo ed ho un morale diverso rispetto a quando dovevo sempre inseguire.
Credi che questa nuova assuefazione alla fatica sia completa adesso?
Avrei avuto bisogno di trovarla qualche mese fa, ma non è arrivata. Però di ritorno da Sibiu, mi sono voluto testare su salite che conosco e sono rimasto colpito da me stesso. Parliamo di Marzio, che però è in Italia, oppure di Carona.
Bernal ha vinto il Giro dicendo che finalmente è tornato a divertirsi. Tu ti diverti ancora?
Ce ne sarebbe bisogno. Questo sport è diventato tanto più professionale, raramente ti senti dire di fare una salita a sensazione per capire come stai. Certe volte disporre di così tanti dati è deleterio. Un conto è prendere il tempo sulla salita, altra cosa dover inseguire sempre i numeri… Che tanto poi alla fine conta sempre chi scollina per primo.
Divertirsi in bici
L’esempio di Bernal è calzante. La schiavitù dei programmi e dei numeri non viene accettata da tutti i corridori in egual misura. Ci sono quelli che in essa trovano un riparo e una disciplina e altri che non vi trovano l’orizzonte per il quale hanno scelto di fare questo mestiere. Il fatto che sia stato David Brailsford a… staccare tutti i cavi da Bernal, consentendogli di approcciarsi al Giro con il divertimento come linea guida, certifica che il discorso sta effettivamente in piedi. L’ambiente certo non aiuta. Fra le pieghe del discorso, che è andato avanti a lungo, una parentesi si è dedicata al rapporto con i giornalisti. Non è facile essere corridori di vertice, perché si hanno sempre microfoni e obiettivi puntati e a volte può capitare di non avere cose da dire o di essere stanchi di ripetere sempre le stesse (chiedere a Caruso come sia cambiata la sua vita dopo il secondo posto del Giro). Se anche ciò genera pressioni, diventa difficile riuscire a concentrarsi sulle sensazioni e l’allenamento. Dopo un po’ tutto questo schiaccia e isolarsi rischia di sembrare il solo rimedio, purtroppo non sempre azzeccato.
Basta errori
In quei 19 secondi alla fine del Sibiu Cycling Tour c’è la differenza fra un atleta che non riusciva a ritrovarsi e uno che ha provato a vincere. Il prossimo passo, dopo qualche giorno in montagna con la famiglia, sarà stabilire un calendario da cui ripartire. Ci sarà forse la Vuelta? Fabio allontana le attese, il concetto è assai semplice.
«Memore di alcuni errori fatti in passato – dice e saluta – ho deciso che in certe corse si parte soltanto se stai bene a livello fisico e mentale. Essere meno che al meglio, non sarebbe salutare e una mazzata morale sarebbe l’ultima cosa di cui ora ho bisogno. Faremo i programmi, voglio correre. Ma al momento non so ancora dove. Tutto qua…».