A ruota di Sagan. Il saluto di Peter tra aneddoti e futuro

15.10.2023
8 min
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FELTRE – Metti che un giorno nella splendida sede di Sportful, l’MVC Store di Caupo, arriva Peter Sagan. E con lui almeno due centinaia di ciclisti. Metti che Sagan ha smesso di essere un professionista su strada e che voglia godersi questa pedalata con uno degli sponsor che più gli è stato vicino e che sente vicino. Ecco, metti insieme tutto questo e ne esce una giornata memorabile, fatta di passione e divertimento (in apertura foto Instagram).

Peter Sagan slovacco, classe 1990, 14 anni da pro’, 121 vittorie, tre mondiali, due classiche Monumento, sette maglie verdi e una ciclamino: un personaggio. Un personaggio vero. Il primo ad aver intuito l’importanza dei social e ad aver “bucato” in questa direzione.

Subito leader

Si inizia con una pedalata nella Conca Feltrina: un po’ di nebbiolina, ma non fa freddo. Si parte e Peter, seppur di buon passo, parla con tutti. Su richiesta ci regala anche un’impennata! Questo è uno dei suoi saluti ai tifosi. Ma è quando si rientra alla base che il racconto diventa mito, specie se è lui stesso a narrare.

«Credo – dice Sagan – che 14 anni da professionista siano abbastanza, soprattutto perché li ho fatti tutti da leader. Questo implicava tante più cose: pressioni, responsabilità, interviste, inviti, rapporti con gli sponsor. Di fatto io dopo tre mesi che ero alla Liquigas già avevo la squadra che lavorava per me».

Lo sloveno durante i mondiali di mtb a Glasgow. Dovrà lavorare molto per tornare a buon livello
Lo sloveno durante i mondiali di mtb a Glasgow. Dovrà lavorare molto per tornare a buon livello

Ritorno alle origini

Anche per questo Peter ora vuol divertirsi. Il suo non è un addio al ciclismo, ma al professionismo su strada. Lo aspetta la Mtb e il sogno è quello di prendere parte alle Olimpiadi 2024. Ma prima del risultato la parola d’ordine è divertirsi, appunto.

«La Mtb è la mia radice – racconta Sagan – se da bambino mi avessero chiesto d’immaginare il mio futuro, mi sarei visto biker. Anche perché la strada a me non piaceva. Ma poi la vita non va come vuoi… All’inizio per me è stato un sacrificio abbandonare la Mtb. E i risultati su strada sono stati una sorpresa».

«Ma quando sono venuti a cercarmi cosa potevo fare? Se uno fa l’attore in Slovacchia e gli dicono di andare ad Hollywood… lui ci va. E io così ho fatto. Ora però voglio chiudere come ho iniziato e voglio divertirmi, cosa che su strada è sempre più difficile».

Peter ha anche detto di essere consapevole che non sarà facile andare a Parigi: «Anche il livello della mtb è altissimo. E’ cambiata tanto rispetto ai miei tempi. Oggi ci sono materiali diversi, percorsi diversi, il telescopico… Prima si correva per due ore e mezza su terreni naturali, adesso un’ora e 20′ su terreni artificiali molto tecnici. Io ho seguito le gare in tv e da quel che ho visto devo ricominciare da zero».

Primavera 2015: Sagan non vince, ha dolori. E’ vicino a lasciare il ciclismo. Poi la svolta
Primavera 2015: Sagan non vince, ha dolori. E’ vicino a lasciare il ciclismo. Poi la svolta

Il momento chiave

Peter ha parlato dei suoi rapporti con i tifosi. Per lui sono stati il sale, l’adrenalina. Non si è dimenticato di sottolineare che li ha apprezzati soprattutto quando le cose andavano male e non lo hanno mai criticato.

E ci sono stati dei periodi duri. Anzi, lo slovacco dice che uno di questi è stato il momento chiave della sua carriera. Ed ha individuato una data e un luogo.

«Maggio 2015. Eravamo a Lake Tahoe, tra California e Nevada. Avevo continuamente problemi fisici con la gamba sinistra. Cercavo di mettermi apposto, ma niente. In primavera non avevo vinto. All’epoca ero con la Tinkoff e patron Oleg voleva licenziarmi. Stavo iniziando la preparazione per il Tour e avrei corso al California e un giorno penso: “Io smetto. Lascio perdere”».

«C’era Lombardi (il suo agente, ndr) che mi ha detto: “Tranqui Peter. Ti sei allenato bene in primavera. Le cose si sistemeranno. Vedrai che dopo questa pausa tornerai e vincerai”. Quella sera Lomba aprì una bottiglia di Malbec e ricordo che sull’etichetta c’era il numero 1. “Numero uno come il campione del mondo”, disse Lomba. In autunno ho vinto il mondiale. E poi altri due e già dopo pochi giorni vinsi il California. Sì, quello è stato un momento chiave della mia carriera».

A Bergen, Peter vince il suo terzo mondiale su Kristoff
A Bergen, Peter vince il suo terzo mondiale su Kristoff

Mal di pancia iridati

E questo passaggio del mondiale introduce il suo lungo rapporto con la corsa iridata. Sagan è l’unico ad aver vinto tre mondiali di fila. Da fuori appariva sempre rilassato e burlone, anche in quelle circostanze, ma le cose non erano proprio così.

«Già al primo anno da elite – racconta Sagan – pensavo che potevo fare bene. Avevo vinto cinque corse. Ero convinto, ma poi dopo 200 chilometri in vista del finale mi è preso il mal di pancia. Dovevo andare in bagno. E quindi niente. Per dire lo stress che avevo. Quanto le energie nervose mi avevano consumato. L’anno dopo, più o meno la stesa cosa e così fino al 2015».

Prima di Richmond 2015 una moto lo butta giù alla nona tappa della Vuelta. Peter è furioso. La conquista del mondiale sembra ancora rimandata. Va in altura, ma di fatto arriva al mondiale senza corse.

«Arrivo pochissimi giorni prima della cronosquadre. Partiamo e cadiamo. Restiamo in piedi in due. Sempre peggio. Il giorno dopo faccio 6-7 ore, come sempre prima del mondiale. Però non ero convinto. In corsa non ero super, ma nel finale sentivo che la gamba era buona e senza pensarci ho vinto. Se non avessi avuto il problema della moto alla Vuelta, magari sarei stato più pimpante e avrei sprecato più energie».

L’anno dopo a Doha, Sagan non è il favorito, quindi parte senza pressione. «Siamo arrivati in volata e ho vinto. Devo dire grazie a Nizzolo che fu correttissimo e non mi chiuse».

Infine eccoci al mondiale 2017. Sembra andare tutto bene. Peter è tranquillo, alla fine due mondiali già li aveva vinti.

«Con Bodnar, Gatto e altri amici facciamo le solite 7 ore pre-mondiale. Dopo 4 ci fermiamo in un bar. Io prendo un pezzo di pizza e ripartiamo. La sera durante il massaggio, la pancia inizia a brontolare. Vomito tutta la notte. La mattina dopo avevo il volo per Bergen. Ero disidratato, vuoto».

Quel venerdì Sagan non tocca la bici. Il sabato fa un’oretta pianissimo, però inizia a stare meglio. E comincia a riempire lo stomaco di carboidrati.

«Arriva la gara. La corsa è veloce ma regolare. Nel finale sono ancora lì. C’era questa salita di 3 chilometri e penso: “Un ultimo sforzo. Se non mi stacco qui, o mi stacco solo da 5-6 corridori, poi rientro in discesa”. In quel momento mi torna la gamba giusta e capisco che è una giornata buona».

Istrionico, grande comunicatore, ma anche molto grintoso e tatticamente intelligente…
Istrionico, grande comunicatore, ma anche molto grintoso e tatticamente intelligente…

Intelligenza tattica

Peter parla delle corse come se stesse leggendo un copione. Si ricorda ogni cosa. Per esempio temeva Dillier alla Roubaix. Vero che lo svizzero era un reduce della fuga del mattino.

«Per radio mi avevano anche detto che era un ex pistard e quindi sapeva correre in velodromo. Allora mi chiedo: “Cosa faccio? Se facciamo 100 volate le vinco tutte e 100, ma è ancora qui”. Così ho iniziato a pensare che di Roubaix ne avevo viste in tv e vinceva chi partiva dietro. Lo faccio entrare in testa. Resto lì. Salgo lentamente sulla curva e quando decido di partire mi butto giù su secco e prendo l’interno. A quel punto lui non aveva più spazio e ho vinto».

Un capolavoro. Ma non sempre le ciambelle gli sono riuscite col buco. E qualche sconfitta è bruciata. Soprattutto quelle nei primi anni.

«All’inizio lanciavo la bici, urlavo… poi ho capito che non serviva a niente. Un giorno avrei perso per poco, il giorno dopo avrei vinto per poco».

E’ il 10 marzo 2010 e alla Parigi-Nizza Peter Sagan, in Liquigas, conquista la prima delle sue 121 vittorie da pro’
E’ il 10 marzo 2010 e alla Parigi-Nizza Peter Sagan, in Liquigas, conquista la prima delle sue 121 vittorie da pro’

Cosa lascia?

Di certo Peter Sagan lascia un ciclismo diverso rispetto ai suoi primi anni e a quelli d’oro. Tutto è estremizzato. E non c’è più spazio per momenti meno intensi. Prendiamo il rapporto con gli sponsor per esempio.

«Nessuno ormai è più come me – spiega Sagan – oggi pensano solo a correre. Van der Poel dopo il Tour non è andato alla cena con i suoi sponsor, per dire. Cosa gli sarebbe cambiato se avesse fatto mezzanotte? Poteva anche non bere… ma è così».

«Quanto dureranno i campioni di oggi? Difficile dirlo è una questione del tutto personale. Dipende anche dal tuo approccio mentale. Magari possono durare anche più di me. Guardate Valverde. Poi magari possono subentrare problemi fisici o mentali e possono smettere da un giorno all’altro. Sicuramente oggi il ciclismo è più stressante. Più professionale, ma più stressante».

Prima di chiudere, mentre Peter firma autografi e posa per i selfie. Gli chiediamo cosa ne pensa di quel che pochi giorni fa ci ha detto Zanatta, suo diesse alla Liquigas, e cioè che lui è stato un Evenepoel dieci anni prima.

«No, non credo. Lui vince le classifiche generali, va forte in salita, a crono… Io non ho fatto tutto questo!».