Nessuno di noi la conosceva personalmente, ma Silvia Piccini è entrata nelle nostre vite e non deve più uscirne. Aveva 17 anni, classe 2003. Il 22 aprile si stava allenando, come faceva ogni giorno. Dopo scuola, tornava da Udine in pullman e intanto mangiava la sua ciotola di riso. Rientrava, si cambiava, usciva in bici e al ritorno studiava. Silvia voleva diventare un medico, la bici era la sua grande passione. Quel giorno però a casa non c’è tornata. La sua colpa è stata trovarsi sulla traiettoria di un’auto con troppa fretta, che l’ha uccisa.
A Roma con Silvia
Passiamo le nostre giornate cercando racconti di campioni, imprese, dettagli tecnici, approfondimenti, biciclette bellissime, ma questa volta ci fermiamo e vi proponiamo una riflessione più profonda attraverso le parole di Riccardo Piccini, il papà di Silvia.
Lo abbiamo incontrato alle porte di Roma, mentre con gli amici del Picchio Rosso Bike stava concludendo il suo viaggio dal Friuli verso Roma. In bicicletta.
«Vi dico quello che mia moglie ripete sempre a tutti. Silvia non l’ha uccisa la bicicletta, la bicicletta non c’entra niente. Silvia l’ha uccisa un errore umano. Un errore umano, che poteva essere evitato. Non potevo dire a mia figlia di non andare in bicicletta e che la bicicletta è pericolosa. Era la sua passione. Ma dopo quello che è successo, schiere di bambini che sognavano di correre, adesso hanno paura di farlo. E non lo troviamo giusto».
Gli occhi di Riccardo
Ci ha messo in contatto De Marchi e Riccardo si è prestato a raccontarci di sua figlia. Mentre parlava, nel suo sguardo abbiamo rivisto il dolore di Giacomo Scarponi, Marco Cavorso e di altri genitori sgomenti. E quando abbiamo avuto paura di avergli chiesto troppo, è stato lui a voler andare avanti.
«Questa morte non deve essere stata invano. Ognuno di noi deve dare il suo esempio, ma le regole vanno imposte dall’alto. Ho pensato tanto in questi giorni e dovunque andassimo, abbiamo raccontato di Silvia. Alessandro lo ringrazio tantissimo. Incontrarlo è stata un’emozione grandissima, ci ha dato una forza incredibile. Oltre che un campione di ciclismo, secondo me è un campione di vita. Una grandissima persona, da stimare, da seguire».
In silenzio
Vi lasciamo in silenzio con le sue parole, ma ci prendiamo l’impegno che non finirà qui e per questo vi chiederemo presto di fare qualcosa con noi. Tutti coloro che, nessuno escluso, nel ciclismo vivono e dal ciclismo traggono da vivere hanno l’obbligo di non limitarsi al solito carosello di belle parole. Quelle dopo un po’ si somigliano tutte e allora questo dolore non avrà avuto alcun senso.