PLATEAU DE BEILLE (Francia) – Seduto in ammiraglia in attesa dell’evacuazione generale, Rolf Aldag ricompone i pezzi di una tappa che ha visto in fuga quattro dei sei corridori della Red Bull-Bora-Hansgrohe rimasti in gara (in apertura Jai Hindley). Per il team che aveva investito su Roglic perché diventasse il… terzo uomo, si è trattato di un atterraggio piuttosto pesante. Dopo aver perso il Tour del 2020 nell’ultima crono, lo sloveno non ne ha più finito uno. Sempre una caduta a rimandarlo a casa. Così anche nella Vuelta del 2022, al punto di farsi qualche domanda sul perché. Se sia per l’abilità in sella, il posizionamento in gruppo o una sfortuna cronica come raramente ci è stato dato di vedere.
Visto che il tempo non manca, con il capo dei tecnici della squadra iniziamo un viaggio nei giorni più recenti: quelli successivi alla caduta di Roglic. Aprendo prima una breve parentesi: c’era anche lui quassù il 22 luglio del 1998, quando Pantani per la prima volta in quel Tour piegò il suo capitano Ullrich in maglia gialla. Aldag aveva allora 30 anni, oggi ne ha 55 e adesso racconta.
«Ci sono voluti due giorni per ridefinirci – spiega – trovare nuovi obiettivi e poi andare avanti, perché il Tour merita molto rispetto come gara. E penso anche che per il lavoro svolto dai ragazzi in altura, i giorni e i mesi che trascorrono lontani dalla famiglia, valga la pena provare qualcosa. Non è facile, ma vale la pena provarci».
Come hai vissuto il giorno in cui Roglic è caduto?
Era vicino al traguardo. C’è sempre molta tensione in macchina e penso anche in bici. Di colpo l’ho visto cadere e quando è così, non va mai bene. Si vedeva subito che fosse un brutto incidente, per cui ero lì che speravo per il meglio. Quando però ho visto che c’è voluto del tempo per rialzarsi e ripartire, allora nella mia testa hanno iniziato a prendere forma tutti i tipi di scenario.
A cosa hai pensato?
Come prima cosa, ovviamente, ho sperato che stesse bene. A quel punto non era tanto una questione di tempo perso in classifica, ma riguardava davvero la persona. Speravo che non stesse soffrendo troppo, l’unica cosa che avesse importanza. Non era rilevante invece che perdesse 2-3 minuti.
Hanno detto che quel tratto fosse pericoloso.
Penso che non abbia senso iniziare adesso il gioco delle colpe. E’ un po’ come se mi chiedessi quanto sia difficile per gli organizzatori creare i percorsi. Se vuoi finire in un centro città, cosa che penso piaccia a tutti, come ci arrivi? Devi prendere una strada e adesso le strade sono costruite per rendere il traffico più sicuro. Avere isole spartitraffico va bene per 364 giorni all’anno, fanno davvero qualcosa di buono per il traffico. Ma per quel solo giorno del Tour de France non vanno bene. Quindi non è facile, ma non direi che sia stata una colpa di ASO. Penso che facciano del loro meglio.
Hanno parlato di segnalazioni imperfette.
Qualcuno ha detto anche questo, ma in realtà non è che qualcuno ci sia finito contro. Penso che, sfortunatamente, Lutsenko fosse già da una parte. Poi gli si è impuntata su quel cordolo la ruota anteriore ed è caduto dall’altra parte. Dovremmo sempre cercare la strada più sicura, non c’è dubbio, ma penso sia quello che fanno oggi.
Oggi Hindley e Sobrero in fuga nel finale: il programma per i prossimi sette giorni è questo?
Per un momento abbiamo avuto quattro ragazzi in fuga dei sei corridori rimasti in gara. Quindi penso che l’hanno interpretata in modo molto offensivo e aggressivo ed è quello che volevamo fare. Voglio dire, se aspettiamo il momento in cui oggi attaccherà Vingegaard, non vinceremo mai nulla. Questo è molto chiaro. Quindi cerchiamo di ottenere il meglio, mantenendo uno stato d’animo e un atteggiamento positivi. Ed è quello che hanno fatto i ragazzi oggi.
La fuga di oggi era pianificata oppure è venuta da sé?
Era tutto organizzato per lanciare Jai Hindley. Ad esempio, Nico Denz era lì, certamente non alla sua ruota, ma dando tutto per guadagnare vantaggio e far decollare la fuga. Poi Matteo (Sobrero, ndr) ha fatto ponte e si è ritrovato in fuga con Hindley e Bob Jungels. Nella vallata prima del finale si stavano assolutamente sacrificando per dare a Hindley un vantaggio consistente. Quindi ho grande rispetto per il lavoro che hanno svolto.
La decisione di fermare Primoz Roglic è stata presa dai medici, oppure è servito a salvargli le Olimpiadi?
No, noi come squadra non siamo realmente interessati alle Olimpiadi, ma siamo interessati alla salute della nostra gente e penso che questa abbia la priorità. Non conosco nemmeno la situazione delle Olimpiadi, non ho visto l’elenco con i nomi, ma per noi non era proprio questo l’obiettivo. Olimpiadi o no, per noi l’obiettivo era il Tour e ora è riaverlo sulla bici. Tenete presente anche quello che è successo dopo il suo incidente…
Cosa?
C’è stata una giornata intensa con vento di traverso, in cui devi avere tutta la concentrazione. Devi avere l’interruttore acceso e un corpo pronto. E con lui non era proprio così, perché rischiare? Non si trattava davvero di programmi futuri o altro. Penso che a Primoz e al suo team, a tutti noi il Tour sia piaciuto così tanto, che faremo qualsiasi cosa possibile per rimanerci.
E’ stato già fatto un programma per Roglic?
Non ancora, non siamo ancora in quella fase. Sono felice che adesso abbia un po’ di tempo con la sua famiglia. E penso che sia importante non prendere decisioni affrettate. In ogni caso, è importante anche per lui superare la delusione, avere un po’ di lucidità e poi cercare nuovi obiettivi. Ma ripeto: non è questo il momento.