ALTEA (Spagna) – Una caduta nella seconda tappa del Giro in cui avrebbe fatto classifica e la stagione di Eddie Dunbar aveva preso una piega più malinconica di quanto fosse già stata fino a quel momento per altre cadute. La Jayco-AlUla costretta a reinventarsi con Zana come leader e l’irlandese a casa a contare i giorni per togliere i punti dal ginocchio e inventarsi un nuovo inizio. Quello che è venuto dopo, le due tappe vinte alla Vuelta, ha fortunatamente pareggiato il conto. Non due vittorie qualsiasi, ma a modo loro delle imprese grazie a fughe azzeccate e poi la capacità di resistere al ritorno dei migliori dalle sue spalle. Così al Campus Tecnologico Cortizo Paron (tappa 11) e a Picon Blanco (tappa 20). Per la squadra è stato un cambio di passo ed è per questo che adesso nel parlarne Dunbar mostra leggerezza e sollievo.
La carnagione chiara di sempre, che la tuta blu fa sembrare ancora più pallida. Il tono profondo. L’estrema attenzione con cui ti guarda mentre fai la domanda e la pausa per ordinare i concetti prima di rispondere. Sono le sei di un pomeriggio spagnolo in riva al mare, nel piazzale dell’hotel si riconosce anche il camion dell’Astana, ma dei celesti di Vinokourov non si vede in giro nessuno.
Pensi che si possa dividere l’ultima stagione in parti: prima del Giro e dopo il Giro?
Sì, probabilmente sì. Prima del Giro ci sono state solo cadute, niente di buono. Troppi ritiri. Al UAE Tour e alla Valenciana, al GP Indurain e anche al Romandia. Invece al Giro ero arrivato con una forma abbastanza buona e il primo giorno a Torino era stato davvero ottimo (nel gruppo dei migliori a 10” da Narvaez e Pogacar, ndr). Invece l’indomani sono caduto per il brecciolino in quella rotonda ed è stato davvero frustrante. Ovviamente ho finito la tappa, ma sapevo che c’era qualcosa di grosso che non andava con il ginocchio destro e così è stato. E’ vero, i primi sei mesi sono stati davvero frustranti. Non riuscivo ad allenarmi bene né a correre come volevo.
Come ne sei uscito?
Restando fermo (sorride, ndr) e ricostruendomi molto lentamente. Sapevo che dovevo correre la Vuelta e appena sono potuto tornare in bici, la progressione è stata molto, molto lenta. Per fortuna la condizione ha iniziato ad arrivare durante la corsa, sono migliorato nelle ultime due settimane e sono riuscito a vincere le due tappe. E’ stata una bella sensazione, soprattutto dopo tanta sfortuna. Ottenere finalmente delle vittorie di alto livello è quello che serviva.
Quindi non sei andato alla Vuelta per fare classifica come al Giro?
Pensavo di poter entrare nei primi dieci, penso fosse quello che la squadra avrebbe voluto. Ma per me l’obiettivo principale era che la squadra vincesse una tappa. Così ho pensato che se fossi riuscito a vincerne una di montagna, allora forse sarebbe arrivata anche la classifica generale. E alla fine non è andata così male. Ho avuto una brutta giornata il giorno prima del giorno di riposo a Granada a causa del caldo. Quando si va sopra i 40 gradi, soffro davvero: quello non è il mio clima. E quel giorno ho sofferto molto e ho perso 11 minuti. Probabilmente la mia top 10 è tramontata lì e mi sono deciso a puntare soltanto sulle tappe.
Poi in realtà non sei finito troppo lontano…
Undicesimo, a tre minuti dal decimo posto. Ma è stato meglio aver vinto due tappe che portare a casa un decimo posto senza nessun acuto.
Torniamo indietro al Giro, come ti sei sentito quel giorno andando via?
Un sacco di emozioni. Ero davvero frustrato perché dovevo fare classifica e il giorno prima mi ero sentito davvero bene. Sapevamo che il ginocchio non andava bene, perché c’era un buco, ma finché non abbiamo fatto degli esami poteva essere molto più grave di quanto sia stato. Quei giorni non sono stato troppo forte mentalmente e anche fisicamente ero piuttosto malconcio. Per una settimana o anche due sono stato davvero giù. Mi chiedevo di continuo quando sarebbe finita quella sfortuna. Cambierà mai? Avrò ancora la possibilità di andare alla Vuelta? Ma per fortuna poi il ginocchio è lentamente migliorato e anche la mia visione del mondo ha iniziato a cambiare. Sono andato alla Vuelta dopo essermi allenato bene e sapevo cosa avrei dovuto fare per ricostruire la mia fiducia e provare a vincere. E per fortuna l’ho fatto.
La prima gara dopo l’incidente è stato il campionato irlandese a crono e l’hai vinto.
Sì, è vero (ride, ndr). Non mi aspettavo di vincerlo. A cose normali sarebbe stata una possibilità, ma mi ero allenato correttamente solo per due settimane e pensavo che fosse poco. Però ho pensato: “La crono è lunga 36 chilometri e io posso andare forte per 50 minuti, vediamo se sono capace”. Sapevo che nella gara su strada sarebbe stato più difficile perché sarebbe stato uno sforzo di quattro ore. Per cui sono andato ad Athea, dove si correva, che è a 40 minuti da casa mia in Irlanda. Conoscevo le strade perché è capitato di allenarmi da quelle parti. Ho fatto una prova del percorso e poi in gara non ho neppure guardato il Garmin. Sono partito, ho fatto la mia crono e alla fine sono rimasto davvero sorpreso. E’ stato bello vincere, buono per il morale.
Hai vinto le due tappe alla Vuelta tenendo testa al ritorno di Roglic: hai imparato qualcosa di nuovo su di te come scalatore?
Penso che forse ho bisogno di credere di più in me stesso. Soprattutto quando mi trovo contro certi corridori, non devo avere paura di andare e spingere. Perché se riesco a farlo su quelle salite così dure, a un certo punto i più forti verranno pure a prendermi, ma avrò comunque una possibilità di vincere superiore a quella che avrei se restassi fermo ad aspettare che attacchino loro. Ed è quello che è successo. Penso che ho solo bisogno di mettermi in quel tipo di situazione e poi provare a capitalizzarla e sfruttarla al meglio. Ho solo bisogno di credere di più in me stesso, avere la fiducia di provarci.
Questo cambierà qualcosa per il futuro?
No, non credo. Come ho detto, di sicuro ti dà fiducia, penso che la darebbe a chiunque. Ma penso anche che rimarrò lo stesso corridore, con le qualità atletiche che so di avere, non cambierò pelle. Ora so che posso vincere, ma non diventerò quello che non sono.
Cosa ti aspetti da questo inverno?
Voglio crescere lentamente. Ho un nuovo allenatore, con cui avevo collaborato già qualche anno fa, quindi sto lavorando a stretto contatto con lui, il che è bello. Abbiamo messo in atto una buona strategia di preparazione. Cioè venire qui prima di Natale, fare un buon allenamento, tornare a casa e rilassarmi un po’ durante il Natale e poi, con quattro-cinque settimane di lavoro costruire l’AlUla Tour, che per la squadra è una grande gara, visto che si corre in casa di uno degli sponsor principali. Sarà importante andare lì ed esibirsi a un grande livello. Quindi per ora questa è la cosa principale, assieme al rimanere in salute durante il Natale, e poi andare lì e sperare di ottenere un risultato.
Quale Grande Giro ti piacerebbe correre nel 2025?
Penso che sarebbe bello andare al Tour e penso che sia una possibilità. Si va in Francia per aiutare Ben (O’Connor, ndr) a vincerlo o salire sul podio e magari per provare a vincere una tappa.
Il suo arrivo cambierà qualcosa nella squadra?
Non del tutto, perché Yates era davvero un buon corridore, ha vinto la Vuelta e ha fatto già bene nei Grandi Giri. Abbiamo perso Simon, ma abbiamo preso uno come Ben che quest’anno è stato uno dei migliori corridori al mondo. Ovviamente è anche australiano, quindi questo fa la differenza in un team che è a sua volta di laggiù. Quindi penso che sia bello per lui e anche per la squadra, penso che gli piacerà stare qui. E se l’anno prossimo riuscirà ad essere presente come quest’anno, sarà una buona stagione. E penso che tutti saranno felici.