Papà Zaina, mamma De Negri e il figlio Luca

02.12.2022
8 min
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«Non vi nascondo – dice Enrico Zaina mentre si parla di suo figlio Luca, nei giorni ancora freschi del dolore per la morte di Davide Rebellin – che con Nadia il pensiero va più volte alla pericolosità sulle strade. La decisione di aprire una Academy MTB è stata dettata anche da questo. Insegniamo ai nostri ragazzi l’educazione stradale, li aiutiamo ogni giorno ad imparare questo sport che non è solo salti e impennate!!! Sono giovani, spensierati e con la voglia di conquistare il mondo, ma basta una piccola distrazione da parte di tutti per far succedere l’irreparabile. Ho paura e tanta, ma la vita ti porta ad affrontare anche questo, anche se devo dire che nel nostro Bel Paese si è fatto poco anzi niente per la sicurezza dei ciclisti».

Oggi non parliamo di risultati o ambizioni. Raccontiamo la storia di un papà che con un post su Facebook ha dichiarato il suo amore verso un figlio che gli sta facendo rivivere le sensazioni dello sport, che ha vissuto sulla propria pelle insieme alla moglie e mamma. A condire il tutto con un pizzico di destino che sembra già scritto, c’è la squadra che accompagna Luca nella sua stagione di ciclocross, il Team Piton. Nonché la formazione guidata da Nicola Loda ex compagno di gruppo di Enrico. Un fil rouge che accompagna la nuova generazione e la lega romanticamente a quella che ha scritto qualche pagina di storia del ciclismo italiano. 

Figlio d’arte

Essere figli d’arte non è mai semplice. Enrico Zaina è stato un interprete del ciclismo degli anni ’90 e scudiero di Pantani nei suoi anni migliori. Suo figlio Luca è un allievo di 2° anno a cui sta iniziando a piacere il ciclismo con la sana grinta agonistica che gli scorre nelle vene, tramandata oltre che dal papà stradista, anche da mamma Nadia De Negri, campionessa della Mtb. 

Enrico, partiamo dal post su Facebook dove esprimi l’emozione nel vedere tuo figlio metterci voglia e passione in uno sport che conosci molto bene…

Chi ha vissuto come me e mia moglie il ciclismo capisce tutte le emozioni e percepisce tutti gli stati d’animo che si possono vivere dal punto di vista dell’atleta. E’ logorante seguire gli eventi sportivi per questo motivo. Moralmente e mentalmente viviamo quello che abbiamo rivissuto noi in quegli anni. 

Siete contenti che abbia scelto il ciclismo come sport pur conoscendone i sacrifici?

Mio figlio Michele, il primo, ha optato dopo due gare di ciclismo per il rugby. Luca invece ha trovato la sua dimensione o sta cercando di trovarla nel ciclismo. E’ fortunato. A differenza dei tempi miei e di mia moglie, salta un po’ tra la strada, la mountain bike e il ciclocross. Facendo così ci si diverte di più, pur facendo fatica. 

Chi lo ha messo in bici?

Devo dire che lui aveva iniziato a giocare a pallone. Dopo i primi sentori che ci fosse un ambiente così esasperato per questi bambini che avevano 6 o 7 anni, io e mia moglie ci siamo guardati e ci siamo detti: «Perché non apriamo una scuola di Mtb?». Da lì è partito tutto e di conseguenza ci è venuto dietro. Non l’abbiamo spinto, è stata una cosa naturale. Da piccolino era sempre in bicicletta dalla mattina alla sera. Prima con la bicicletta a spinta, poi con quella a pedali saltando il passaggio delle rotelle. Abbiamo intuito che probabilmente gli piaceva questo sport. Sentendo parlare in famiglia sempre di ciclismo logicamente si è appassionato. 

Ti piace vederlo così appassionato?

Adesso sento che ci crede. Al di là dei risultati. Per me è un piacere vederlo felice, sereno e impegnato. 

In che squadra corre Luca?

Con il Team Piton, è allenato da Nicola Loda. Ha trovato questa squadra che li prende in prestito per il periodo che praticano ciclocross e poi da febbraio tornano tutti nei loro team. 

Con Loda hai condiviso parte della tua carriera, com’è vedere tuo figlio allenato da lui?

Devo dire che con Nicola ha trovato la sua dimensione. Ha trovato in lui una persona che riesce a spronarlo. A dirla tutta, Nicola sull’aspetto emozionale e motivazionale riesce a prendere i tempi giusti, perché avendoli vissuti in prima persona sa di cosa si tratta. Questo è un aspetto che fa la differenza quando si devono aiutare i ragazzi moralmente e mentalmente in un’età delicata come questa. 

E a livello di prestazioni, come lo vedi?

Dal 30° posto della prima gara fino a qualche piazzamento più recente ha fatto un salto di qualità notevole. Ma l’aspetto che più abbiamo notato è che ha una grinta pazzesca che va oltre il risultato. Ha trovato la voglia di soffrire. Prima un inconveniente come un salto di catena lo demoralizzava e gli faceva buttare via la gara. Adesso invece gli può scendere la catena tre volte e riparte tre volte più cattivo di prima

Nicola Loda insieme a Luca Zaina in una prova di ciclocross
Nicola Loda insieme a Luca Zaina in una prova di ciclocross
Corre anche su strada?

E’ nato sulla Mtb, poi ha fatto una parentesi sulla strada dove però ha riscontrato il grande ostacolo di stare in gruppo. Nelle discipline fuoristrada dopo cinque minuti sei da solo o in fila a menare, in strada si hanno altri ritmi e dinamiche differenti. Da quel punto di vista ha sofferto un po’. Adesso con il ciclocross ha ritrovato quella voglia di battagliare. Mi ha già detto che qualche gara su strada la vuole fare. Nella mountain bike qualche piazzamento sul podio l’ha raccolto e si trova bene. 

Secondo Scotti mancano crossisti puri. Pensi che Luca possa scegliere di fare solo ciclocross?

Quando correvo io eravamo a senso unico mentalmente. Si guardava solo alla strada. Era talmente monotono, specialmente in giovane età, che ad un certo punto te la facevano quasi odiare la bicicletta. Devo dire che invece adesso la multidisciplina fa tanto. Oltre che il solito discorso rivolto al miglioramento della performance per me è un’arma in più per avvicinare sempre più ragazzi. Negli ultimi anni i campioni presi in prestito come Van der Poel, Van Aert o che arrivano da altri sport come Evenepoel o Roglic ne sono l’esempio. 

Che ciclismo vedi per la generazione di tuo figlio?

L’aspetto che ha cambiato il ciclismo negli ultimi anni, facendo riferimento ai nomi che ho citato prima, è quello delle prestazioni che si sono abbassate di categoria. Oggi gli allievi sono gli junior di qualche anno fa. Io vedo le medie che fa mio figlio e vedo anche le medie che fanno i primi tre a livello nazionale sono medie da junior. Sono ben lontane dalle prestazioni che facevamo io e Nicola quando eravamo giovani. Sono atleti di 14 e 15 anni. Il ragazzo che è nato a gennaio fa ancora differenza contro quello che è nato a dicembre. Da questo punto di vista è cambiato tanto spero solo che sappiamo quello che stiamo facendo. 

Nadia De Negri è stata una campionessa della Mtb
Nadia De Negri è stata una campionessa della Mtb
Torniamo al tuo post. Scrivi che ti commuovi ancora a vedere le gare di ciclismo in Tv…

Devo dire che quest’anno il Tour de France, dopo Pantani, l’azione che ha fatto la Jumbo Visma con quell’attacco, quel modo di correre, ha riacceso in me la speranza di vedere quel ciclismo che c’era prima della Sky. Abbiamo vissuto un campione come Froome che sinceramente aveva appiattito quello che era l’entusiasmo e la sregolatezza che Marco aveva di natura. Dal nulla partiva, faceva un attacco mitico e portava a casa una corsa a tappe.

Oggi invece?

Purtroppo è tutto molto organizzato e scientificamente studiato e il ciclismo ha perso quell’alone di improvvisazione che poteva fare la differenza tra un campione e l’altro. Devo dire che la Jumbo quest’anno al Tour ha fatto un grande spettacolo. Il ciclismo deve essere così. Non può passare solo dalla direzione dei tecnici in ammiraglia. Deve dare la possibilità di interpretazione a chi è in bicicletta. Sennò si parla non di ragazzi, ma di robot che non hanno personalità

Le nuove generazioni stanno uscendo ora. La generazione dei 2000 sembra di buone prospettive. Che idea ti sei fatto della situazione attuale in Italia?

Il problema è che tutto questo dovrebbe passare attraverso dei vivai. Perché purtroppo perdiamo degli atleti validi in giovane età, perché li stressiamo troppo, riprendendo il discorso delle categorie che si sono spostate più in basso. Questa situazione va a mettere più pressione in giovane età. Bisogna creare dei vivai seri, e qui la Federazione deve mettere sul tavolo un progetto valido e solido per gettare le basi per il futuro. Sennò si hanno grandi atleti che al momento del passaggio tra i pro’ li troviamo già appiattiti. Questo è quello che abbiamo vissuto in questi anni. A Nibali bisognerebbe fargli un monumento grande come una casa, perché fino a due anni fa speravamo ancora in lui. E questo sinceramente è uno specchio della situazione. Con gli altri creiamo finti campioni che poi risultano piatti. Non possiamo non ammetterlo. 

Gli attacchi di Pantani scrivevano un altro ciclismo: qui al Giro 1998, Zaina a ruota e Bartoli verso l’Argentario
Gli attacchi di Pantani scrivevano un altro ciclismo: qui al Giro 1998, Zaina a ruota e Bartoli verso l’Argentario
Non avete paura che l’esasperazione delle categorie giovanili tocchi anche vostro figlio?

Io e Nadia come genitori stiamo cerchiamo di salvaguardarlo sotto queso aspetto. Siamo due genitori scomodi perché siamo stati entrambi ad alti livelli. Siamo però noi i primi a frenarlo anche su certi aspetti della preparazione. Al giorno d’oggi però abbiamo capito che certi standard si sono alzati ed è giusto che si allinei e faccia quello che gli dice l’allenatore, seguendo tabelle e mettendosi il cardiofrequenzimetro. 

Cosa si può dire della tragedia di Davide Rebellin?

Davide oltre a un collega, era un amico. L’ho intravisto quest’anno alle Canarie ci siamo incrociati in bicicletta e salutati velocemente. Un ragazzo gentile, serio, bravo, troppo bravo. Un grande uomo di sport. Quando ho saputo della notizia mi sono sentito piccolo piccolo. E guardando Nadia, abbiamo pianto.