Le stesse bici per tutti. Le stesse scarpe. Gli occhiali. Persino gli stessi calzini. Sanchez, campione olimpico di Pechino 2008, ride e racconta orgoglioso la sua MMR Cycling Academy. Ce ne aveva parlato nei giorni scorsi Stefano Garzelli e dato che non sentivamo Samuel davvero da un pezzo, abbiamo pensato di andare a sentire meglio.
«Ho cominciato cinque anni fa – sorride il campione di Oviedo – ma volevo che fosse un gruppo diverso dalla solita squadra di ragazzi. Li abbiamo dagli 8 ai 18 anni, grazie a grandi persone che ho incontrato e hanno deciso di credere, come me, che la società di oggi ha bisogno di un progetto per il futuro dei bambini. E il ciclismo se fatto bene è un’ottima scuola di vita. Insegna il lavoro di squadra, l’impegno, le rinunce per ottenere un obiettivo. Se anche non diventeranno campioni, potranno estrapolare dalle esperienze che fanno con noi quello che gli servirà per diventare delle brave persone».
Oviedo, Asturias
Oviedo è la capitale delle Asturie, la città del sidro e dell’Alto del Naranco su cui lo sbalorditivo Horner soffiò a Nibali la maglia di leader nella Vuelta del 2013. Ed è appunto la città di Sanchez, cui dopo le Olimpiadi del 2008 dedicarono un monumento celebrativo.
Alla bontà del progetto, hanno deciso di credere prima di tutto MMR, azienda che produce biciclette ad Aviles, 34 chilometri a nord di Oviedo, poi Toyota. E anche la municipalità della città, che ha investito sulla MMR Cycling Academy che ha nell’olimpionico il suo punto di riferimento.
«In Spagna fino a qualche anno fa – dice – c’erano tanti professionisti di alta qualità. Adesso non ci sono squadre, poche corse e credo che il problema sia la base. Il primo a capirlo fu Contador, la sua Fundacion è sempre stata un modello che mi piaceva. E’ partito da un buon team di juniores, poi under 23, la continental e adesso la Eolo-Kometa in Italia con Basso. Bisognava fare qualcosa anche qui e così mi sono messo a cercare amici e risorse».
Cosa cambia dagli 8 ai 18 anni?
Con i bambini si gioca. Abbiamo una piccola pista chiusa al traffico e li facciamo lavorare per due volte a settimana sulla guida, l’abilità, piccole sfide fra loro. Questi fondamentali sono la base su cui si può semmai costruire un corridore. Con i cadetti, che hanno 15-16 anni, iniziamo a scoprire il potenziometro. L’allenamento è leggermente più strutturato, si comincia a parlare di strategia. Ma alla base resta sempre il divertimento.
Poi gli juniores…
Loro devono scoprire l’allenamento ben fatto. Curiamo l’alimentazione. Gli insegniamo come prendere la borraccia in corsa, a mettere la mantellina nelle situazioni più difficili. Non facciamo allenamenti di 5-6 ore, al massimo arriviamo a 100-110 chilometri. Come disse una volta qualcuno più bravo di me: i campioni si fanno nelle categorie inferiori. Ricordo che qualche anno fa venivano a correre in Spagna le squadre junior di Evenepoel e Pidcock ed erano cinque anni avanti alle nostre. Per quello ho capito che si doveva partire dai piccoli. Non è facile arrivare al professionismo.
E’ il tuo obiettivo?
Sarebbe bello vedere uno dei nostri in una grande squadra e in realtà sta per succedere con Ivan Romeo. Lui ha vinto il campionato spagnolo juniores su strada e a crono, inizierà il 2022 con la Axeon di Axel Merckx e da agosto andrà alla Movistar (un po’ come Ayuso con la Colpack e il Uae Team Emirates, ndr).
Un altro baby prodigio?
E’ la moda di trovare juniores e farli passare professionisti. Non so se sia giusto, lo vedremo fra dieci anni. Ma adesso non puoi andare da Pogacar e Remco e dirgli di andare piano, perché sennò avranno una carriera breve. La situazione è questa.
Toglici una curiosità: perché non fai anche la squadra under 23?
Perché non ho cuore (sorride, ndr). E’ frustrante parlare con un ragazzo di 20 anni che ha lavorato tanto per arrivare a quel punto e dirgli che non ha i numeri per diventare professionista.
Il tuo ruolo?
Sono il team manager, curo i contatti, busso alle porte. Faccio in modo che la parte della comunicazione sia seguita bene.
Chi si occupa della parte tecnica?
Il mio asso nella manica è Benjamin Noval, uno che ha fatto tanto professionismo e tanta esperienza. Con lui ci sono altri ragazzi che seguono gli allenamenti. Abbiamo un buon meccanico e cerchiamo di catturare quanti più ragazzi si possa. Il ciclismo si fa con la passione e il sogno e noi ex corridori possiamo fare la nostra parte.
Ce ne sono altri?
Sastre ha la sua scuola di ciclismo, ma suo figlio corre con noi, anche se Avila sta a 400 chilometri da Oviedo. Viene su per le corse e i ritiri. Viene il figlio di Beloki, anche se Vitoria sta a 300 chilometri. E l’anno prossimo verrà con noi il figlio di Freire.
E i tuoi figli?
Il piccolino, Unai, c’è già, il grande no. E abbiamo anche il figlio di Noval. E’ un bel progetto, mi fa stare bene e vedo che con i ragazzi funziona.
Sui social qualcuno immancabilmente farà notare che nel 2017 sei stato sospeso per doping…
Non ho problemi con questo, in Spagna la mia immagine è assolutamente normale. So che i social fanno parte del sistema, su twitter è stato a lungo un disastro. Sono una persona forte. Chi c’era sa come funzionava il ciclismo, ma si troverà sempre qualcuno che scriverà contro. Non ho problemi con i social, sono stato trovato positivo. Ogni caso è diverso, la differenza l’ha fatta semmai essere tornati a correre oppure no. Io mi sono ritirato. Poi tutto si dimentica.
Samuel Sanchez va ancora in bici?
Poco e piano. Il sabato ho il mio gruppetto di amatori e stiamo fuori 3-4 ore. A volte esco con gli juniores e vanno davvero forte, come gli under 23 di quando correvo ancora. L’anno prossimo mi piacerebbe portarli al Giro della Lunigiana, ma abbiamo un problema di date. La Federazione impone che se c’è una gara concomitante in Spagna non si possa andare all’estero, per cui si dovranno vedere le date. Intanto vi mando le foto e qualche video, poi ditemi se vi piace…