GUILIN – Si va al Tour of Guangxi per tanti motivi diversi. Dario Cataldo, la cui stagione si chiusa con 45 giorni di gara, è venuto per ritrovarsi come atleta. La caduta del Catalunya lo ha tenuto fuori per cinque mesi giusti: dal 20 marzo al 20 agosto. Per l’abruzzese, ogni corsa dal rientro è stata un passo: anche qui in Cina ha lavorato per riprendere il controllo di tutte le funzioni.
Di vacanze si parlerà più avanti. Prima ci sarà da volare a Chicago per il primo incontro con la squadra, poi il 2 novembre sarà al Criterium di Saitama e da lì allungherà il soggiorno in Oriente con uno scalo prolungato in Giappone e Vietnam. Che cosa sia successo in quei cinque mesi, Cataldo lo ha più o meno raccontato. Quel che incuriosisce è respirare attraverso le sue parole il ritorno all’efficienza.
Hai mai pensato di aver finito la tua carriera su quel marciapiede?
Parecchie volte. All’inizio non sapevo come sarebbe andata, ma ero certo che sarei tornato su una bici. Non so perché ne fossi sicuro, non avevo alcuna garanzia. Il ciclismo è uno sport talmente esigente, specialmente adesso, perché fossi certo di tornare a livelli sufficienti per essere competitivo.
Invece?
Sono tornato alle corse. Sto facendo molta fatica, perché non basta prepararsi un paio di mesi. Quindi avrò bisogno di un inverno intero per fare una buona preparazione in palestra. E poi forse, se tutto andrà bene, il prossimo anno sarò di nuovo competitivo.
Che cosa ricordi del giorno in cui sei risalito sulla bici?
Non vedevo l’ora, anche se ero timoroso. In realtà invece è andata molto bene. Il dottore che mi ha operato diceva di aspettare un’altra settimana, Borra mi ha detto di andare. Questo è un aneddoto che nessuno sa…
A questo punto vi aspettate l’aneddoto? Giusta pretesa, ma proprio sul più bello è partita la tappa. Momento verità. Alle 11,35, un messaggio ha avvisato che sul pullman della stampa mancava soltanto Enzo Vicennati, perciò mi sono messo a correre per non essere lasciato a piedi. E per ascoltare l’aneddoto, c’è stato da aspettare l’indomani.
L’aneddoto, dicevamo…
Quello che nessuno sa o comunque sanno in pochissimi. Il primo giorno sono andato a fare una sgambatina con un amico amatore che fa l’elettricista in Svizzera. Le sensazioni sono state subito buone. Dicevo: «Cavolo però… Dai, non male…». Dovevamo arrivare a una salitina di un paio di chilometri e gli ho detto: «Dai, arriviamo lì, così almeno provo a farla, per capire che sensazioni avrò». Invece quando siamo arrivati lì, la strada era chiusa. Abbiamo chiesto di passare e quelli di rimando ci hanno proposto di iscriverci alla cronoscalata di beneficienza che stava per cominciare.
Prima uscita e già gara?
Era aperta a tutti, si poteva fare a piedi, in bici o come volevi. Non competitiva e senza classifica, così abbiamo fatto l’iscrizione e siamo partiti. Insomma, ho messo subito il numero sulla schiena e lo sapete che quando attacchi il numero, alla fine un pochettino spingi. Ho corso cercando di riprendere il mio amico davanti. Per iscrivermi ho lasciato un nome falso, ero vestito col completo rosa da allenamento di Trek. Stavo bene, non ero per niente allenato, però sentivo che la biomeccanica funzionava e questo mi è bastato.
A quella ha pensato Fabrizio Borra…
Ha una esperienza infinita e sa osservare gli atleti come nessuno. Per rimetterli in asse serve la capacità di trovare il problema e risolverlo. Lavorando con Fabrizio, ti accorgi veramente di quanto sia avanti e quanto sia in gamba. Devi fidarti al 100 per cento su qualunque cosa ti dica. Ti propone il modo migliore di lavorare in ogni momento. Sono stato per una settimana a faticare in acqua e sembrava che non stessi facendo nulla. Invece ho fatto grossi passi in avanti. E quando ha visto che potevo iniziare con i lavori a secco, mi ha messo in mano il bilanciere.
Passaggio non banale visto il tuo infortunio…
Io pensavo di non riuscire e lui mi spronava. Voleva che sollevassi il bilanciere fino alla spalla, per me era impossibile, invece dopo 2-3 tentativi sono riuscito a farlo.
Così sei tornato alle corse, possibilmente avendo già un livello molto buono?
Non è più un ciclismo dove puoi tornare alle gare per prepararti. Se arrivi in gara all’80 per cento, vai a prendere sberle. Al 90 per cento, fai molta fatica. Io avevo già un buon livello, però molto lontano dall’essere competitivo. Tanto che alla prima corsa, ad Amburgo, ho tirato per la prima parte. Quando poi hanno iniziato ad accelerare, ho provato a tenere sul primo strappo e poi ho scelto di fermarmi al box. Proprio per non passare il limite. In questi casi bisogna sapersi ascoltare e io per fortuna ho sufficiente esperienza per sapere quando sto esagerando. Ho avuto un rientro abbastanza progressivo.
Hai parlato di un inverno di lavoro.
Ho concluso la fisioterapia riabilitativa, adesso devo lavorare alla performance. Ora ho la base per partire con il lavoro a secco, quindi in palestra. Devo rinforzare la parte addominale per il problema che ho avuto alla schiena, ma anche le gambe. In più ci saranno degli esercizi specifici anche per la respirazione, perché con il pneumotorace ho perso qualcosa.
La Lidl-Trek sta facendo un bel salto di qualità: essere un road capitain sarà sempre più impegnativo?
Per fare il “road captain” devi essere presente nei momenti cruciali, quindi spero di essere all’altezza nelle corse che contano e, se così non fosse, cercherò di dare il mio contributo. Ci sono anche altri corridori che vengono su molto bene e prima o poi verrà il momento di passare il testimone.