Adrie Van der Poel era in fuga con Chiappucci, quando Claudio attaccò nella discesa del Poggio e andò a prendersi da solo la Sanremo del 1991, in una giornata di pioggia e vento che la primavera non sapevi cosa fosse. Perciò quando ieri mattina ha aperto la finestra e visto quel bel cielo terso e l’aria che profumava di bella stagione, ha capito che la corsa sarebbe stata una frenetica rincorsa al traguardo con poche possibilità di inventare qualcosa.
Maledetta primavera
Quando lo abbiamo incontrato vicino al pullman della Alpecin-Fenix dopo aver parlato con suo figlio, aveva lo sguardo in pace.
«Lo avete visto anche voi – diceva – Mathieu è dispiaciuto, ma sapevamo che non sarebbe stato possibile fare troppo diversamente. Il ciclismo non è uno sport facile e con un meteo come questo, c’era poco da inventarsi. Sapeva dallo scorso anno che fra i Monumenti, la Sanremo è per lui la più difficile da vincere. Metteteci pure che le gambe non erano buone come la settimana scorsa ed ecco spiegato il risultato».
Abituato allo stress
Sul fatto che la gente, addetti e tifosi, si aspettasse l’attacco da lontano, il salto doppio e la piroetta, il vecchio Adrie ha quel sorriso ironico che sfoggiava spesso anche da corridore.
«Mi ricordo delle Sanremo decise da lontano – dice Adrie – ma serviva che almeno ci fosse cattivo tempo o qualcun altro con le stesse intenzioni. Invece ci siamo ritrovati con un bel gruppo compatto e strade veloci e dritte. Il terreno per attaccare c’era pure, non le condizioni. Ma escluderei che mio figlio si sia fatto condizionare dalla pressione. A quella direi che ormai è abituato…».
Mamma in ansia
Mathieu è identico a sua madre Corinne, figlia di Raymond Poulidor, che sposò Adrie sebbene la mamma le avesse fatto promettere che non avrebbe mai scelto un corridore. Per lei ogni corsa che finisce senza problemi è comunque una vittoria.
«Sono sempre nervosa quando lo guardo in televisione – diceva poggiata a un’ammiraglia – preferisco andare alle corse e aspettarlo al traguardo. Siamo qui dalla quarta tappa della Tirreno-Adriatico, ho fatto in tempo – sorride – a vedere qualche bella vittoria. Ma ora andiamo a casa, prepariamo altri bagagli e ci prepariamo a seguirlo nelle classiche del Belgio. Sempre che il Covid ce lo permetta. Su da noi ci sono dei limiti molto stretti. E sono contenta perché potrò applaudire anche David, l’altro corridore di famiglia. Scusate per l’inglese, di solito chiedo a Roxanne (compagna di Mathieu, ndr) di tradurre per me».
La squadra c’era
Roxanne in quel momento era con il suo campione ai piedi del pullman, parlando come se non si fosse appena conclusa una classica di 300 chilometri. Mathieu aveva le braccia scoperte e le infradito, in attesa di fare il punto con il diesse Leysen e poi tornarsene a casa. Ma Leysen era con noi…
«La squadra si è mossa bene – diceva – sappiamo di non avere l’organico più forte, ma abbiamo portato Mathieu dove volevamo che fosse. La Ineos ha influenzato il finale e alla fine non ha ottenuto nulla, impedendo che ci fossero attacchi dalla parte bassa del Poggio. Era la tattica di chi aveva il velocista, non per chi voleva attaccare. Ma in ogni caso, sapevamo di non poter fare come alla Tirreno. La Sanremo è un altro tipo di corsa. Per gli attacchi basterà aspettare la prossima settimana, ad Harelbeke e poi la Gand-Wevelgem. Lassù troveremo di nuovo pane per i nostri denti».