Ha fatto scalpore l’intervista rilasciata da Trine Hansen, moglie di Jonas Vingegaard, al quotidiano danese Politiken ed uscita in pieno Tour de France. Hansen ha criticato abbastanza duramente la Visma-Lease a Bike per quanto riguarda la gestione del marito, a suo dire troppo spesso lontano da casa, ma anche non abbastanza tutelato in corsa.
Un intervento che a molti è parso non azzeccatissimo, per lo meno nelle tempistiche. Abbiamo contattato Giuseppe Martinelli, uno dei DS più esperti nella storia del ciclismo italiano, per parlare con lui della non sempre facile gestione delle famiglie dei corridori.


Giuseppe, cosa ne pensi di questa faccenda?
Come prima cosa vorrei dire che i sacrifici che fanno ora i corridori, non so se siano di più, ma più stressanti forse sì. Se inizi ad andare in ritiro a dicembre, poi a gennaio, poi fai un’altura prima del Giro, una prima del Tour, per una famiglia che non sia avvezza al ciclismo è difficile. Quello che è balzato all’occhio secondo me è che Vingegaard è arrivato al ciclismo di alto livello un po’ per caso, e con lui anche la sua famiglia: cosa che gioca un ruolo importante. La moglie dovrebbe pensare che Vingegaard è una campione che ora deve sfruttare al meglio questi anni e capire i sacrifici suoi e di tutta la famiglia.
Quello che ha colpito molti sono state le critiche a Van Aert, uno che non se le merita proprio…
A Van Aert non si può dire niente, anzi si sta quasi snaturando: secondo me corre troppo per gli altri. Anche mentalmente dopo un po’ diventi uno che corre per gli altri e non per se stesso. Quindi sì, certamente quella è stata un’uscita sbagliata.


Ti sono mai capitati episodi simili?
Ho trovato gente che faceva fatica a staccare dalla famiglia, ma scontri così no, mai. Magari qualcuno preferiva allenarsi a casa e non andare sul Teide, ma non che la famiglia intervenisse e fosse apertamente contraria.
Nel senso che i corridori potevano decidere se andare in ritiro o no?
No no, alla fine decidevamo sempre noi. Anche perché i ritiri servono anche per fare coesione tra il gruppo, oltre che per allenarsi. Servono per conoscersi meglio, anche perché sennò porteresti solo il leader. Bisogna portare le persone che fanno star bene il capitano, compreso magari il meccanico più simpatico o il massaggiatore preferito, per creare un clima per arrivare all’appuntamento nel modo migliore possibile.


Un’intervista del genere in un momento così delicato potrebbe avere delle conseguenze all’interno della squadra?
Non ha scelto certamente il momento migliore. Ma siamo ad un livello altissimo, sia il management della Visma che i corridori sono grandi professionisti e avranno trovato le parole giuste per far rientrare quest’uscita sbagliata. La Visma mi sembra una squadra molto coesa, da loro non esce mai niente, sono bravi a gestire le questioni all’interno.
Quindi la tua sensazione è che ora ci sia più stress che in passato…
Una volta questo stress c’era solo nelle grandi squadre ora invece c’è già tra i giovani, quasi da juniores, quindi sarà sempre più pesante. 15 anni fa andavano in altura solo le grandi squadre perché avevano le possibilità economiche. Ora invece quasi non trovi posto, perché ci sono già juniores e se le fai per anni poi diventa pesante a livello psicologico.


Quindi c’è del vero in quello che dice Trine Hansen ?
In quel senso sì, purtroppo è il momento attuale che estremizza tutto. Alle fine le squadre di alto livello sono delle aziende. E le aziende vogliono produrre e guadagnare sempre di più, ma alla fine i corridori sono uomini, e quando li hai spremuti troppo poi saltano. Anche i migliori.
Il capitalismo del ciclismo…
L’unica nota positiva è che oggi corrono un po’ meno di una volta. Però per arrivare agli appuntamenti al top devono fare quei sacrifici di cui abbiamo parlato, mentre una volta ti prepararvi nelle corse minori. Ora invece non è più possibile, arrivano già in formissima.
Per i corridori ci sono dinamiche più importanti di quelle economiche?
La famiglia per un atleta è incredibilmente importante. Però la carriera di un corridore dura 8-10 anni, e poi ha davanti altri 50 anni dove può godere di quello che ha raccolto in quel periodo. Quindi penso che la moglie di Vingegaard dovrebbe anche pensare alla fatica che fa il resto del mondo per accontentarsi di molto meno.


Come si potrebbe fare per alleviare questo stress secondo te?
Credo ci sia poco da correggere. L’unica sarebbe avere un calendario un po’ più soft, ma si sta andando nella direzione opposta, con sempre più gare così l’UCI incassa. Si potrebbe forse fare in modo che le WorldTour facciano solo gare tra loro, ma poi c’è il rischio di avere un ciclismo di serie A e di serie B. Ma ci sono tanti fattori di stress in questo momento. Una volta con il preparatore avevi un rapporto quasi di amicizia, ora invece è tutto più tecnico, basato sulle tabelle. Come anche il nutrizionista, che è fondamentale, ma ogni giorno manda al corridore la scheda con cosa deve mangiare. Il risultato è che i ragazzi sono lasciati tranquilli solo quando vanno a dormire. E se salta la testa poi però non funziona più niente.
Infatti adesso hanno gli psicologi…
Lo psicologo e il mental coach. Il loro “io” non esiste più, non trova più spazio. Io adesso per fortuna sono fuori da tutte queste dinamiche, la passione c’è sempre naturalmente, ma il fatto di poter agire liberamente è impagabile.