Dove c’è Valverde, di sicuro c’è Escamez. Un po’ come Pallini quando c’è Nibali. Juan Carlos Escamez ha un anno meno di Alejandro ed era a sua volta un corridore. Solo che, arrivato sulla porta di uno stage con la Kelme, vide finire tutto a causa dell’Operacion Puerto. La squadra chiuse e tanti corridori si ritrovarono a piedi. Quando gli ricordi che il suo amico Valverde è stato a lungo un rivale, lui fa un sorriso con una punta di nostalgia.
«Sono al Movistar Team con lui dal 2012 – dice – ormai dieci anni. Prima siamo stati rivali, poi compagni nella stessa squadra da dilettanti, infine ci siamo ritrovati qui. Lui come ciclista professionista e io come massaggiatore. Qualche volte l’ho battuto. Poche volte, ma ci sono riuscito. Quando eravamo più piccoli, da esordienti e da allievi. Se arrivavi allo sprint con lui, eri finito. Era il rivale da battere e dovevamo staccarlo in anticipo. Alejandro a quel tempo aveva una fisionomia diversa, un po’ più pesante. Ancora oggi ci scherziamo, di base siamo amici. Ricordiamo le storie di allora e ridiamo…».
Qual è il segreto di Valverde?
La sua classe innata, la mentalità e la passione per il ciclismo. Alla sua età, la testa conta molto più del fisico. Sono anni che gli dicono di abbassare le pretese, invece lui continua ad alzarle.
Com’è Valverde sul lettino dei massaggi?
Dipende dalla situazione. Ci sono momenti in cui devi andare a fondo, altri in cui puoi essere leggero. Quando arriva al massaggio, è come lo vedi. Alejandro è un uomo trasparente e capisco subito ciò di cui ha bisogno. E’ molto affabile, entriamo subito in sintonia, durante il massaggio passiamo veramente dei bei momenti.
Qual è stato il momento più bello di questi 10 anni?
Il mondiale. Senza dubbio fu l’esplosione di un sogno accumulato in molti anni. Una giustizia che il ciclismo gli ha concesso. Eravamo convinti di avere un’ottima opportunità, ci arrivava in un ottimo momento di forma. Il circuito era adatto. I compagni avevano tutti la stessa idea di gara e alla fine è riuscito tutto. E’ molto difficile che le cose vengano come le hai progettate, però ci riuscimmo.
Cosa hai pensato quando è venuto ad abbracciarti?
Orgoglio. Sono stato molto fortunato ad essere il primo. Ma dietro quell’abbraccio (foto di apertura, ndr) c’era quello di un intero Paese. Era qualcosa di molto atteso. Per me è stato eccitante.
Ci sono stati brutti momenti?
Nello sport sai che vincere è difficile e non sempre le cose vanno bene. Però l’importante è che quando capitano i giorni storti, si abbia la capacità di dare la svolta. Continuare, pensando all’obiettivo successivo. I giorni storti ci sono, però si deve saperli gestire.
Nel 2017 ha avuto anche la frattura della rotula…
Perse molta massa muscolare e c’è voluto molto tempo per ritrovare l’equilibrio. Lui però ha accorciato molto i tempi. I medici dicono che ha fatto in un mese quello che altri avrebbero fatto in tre. Ha lavorato molto ed è stato tenace.
Quando ti ha detto che si ritirava?
All’inizio di quest’anno. E’ una cosa di cui abbiamo sempre parlato. Evidentemente si tratta di una decisione sua. Uno deve ritirarsi quando è all’apice. E’ meglio chiudere quando la gente sa chi sei e non che ricordi chi eri.
Come sta in questi giorni al Giro?
Sta bene, nonostante i suoi 42 anni. Continua a porsi obiettivi. E’ arrivato qui trovando avversari diversi da quelli che aveva nelle Ardenne e continua a essere a un livello top. Sta molto bene. L’Italia gli vuole bene e lui lo sa.
Uscite ancora insieme?
A volte sì (ride, ndr), quando lui va molto piano. E’ un privilegio. Quando esce a Murcia, di solito trova tanta gente che lo accompagna. Un gruppo abbastanza grande. Ma quando deve fare un allenamento importante o dei lavori, va da solo o con un gruppetto di gente selezionata. Io ho avuto la fortuna di seguirlo e spero di avere altre opportunità dopo che si sarà ritirato. Toglietevi dalla testa che smetta di andare in bici. Per lui è una passione, pedalerà anche più di adesso…