Salvoldi non ha mai staccato. Dopo il primo anno sull’ammiraglia azzurra degli juniores, già all’indomani dei mondiali di Wollongong, il tecnico bergamasco ha dato via a una serie di test fra Montichiari e Roma. E da metà dicembre, ha iniziato con raduni di due giorni a Montichiari, che andranno avanti sino alla fine della scuola.
Le sue valutazioni sul movimento italiano insistono su un doppio binario sin troppo evidente. Quello dei corridori più maturi che meritano esperienze di maggior consistenza. E quello degli altri che hanno il diritto di crescere per step meno impegnativi. Gli juniores sono materiale sensibile, per cui gli abbiamo rivolto mille domande per avere il suo punto di vista.
L’anno scorso di questi tempi eri un po’ nella nebbia, cosa hai capito di questo mondo?
Ho conosciuto di più le persone e anche i numeri della categoria. Rispetto allo scorso anno su pista abbiamo iniziato prima. Sto cercando di vedere più ragazzi, utilizzando Montichiari come sede di allenamento. E’ chiaro invece che correre su pista a livello internazionale non è per tutti, ma come mezzo di preparazione girare in velodromo è davvero utile.
Per capire: quanto di questo lavoro è funzionale all’attività di alto livello su pista e quanto invece all’allenamento in generale?
Diciamo che fra i tanti che stiamo facendo allenare, ci sono anche i ragazzi che poi probabilmente correranno nei grandi appuntamenti. C’erano già lo scorso anno, perché erano quasi tutti atleti del primo anno. Il discorso della pista è legato alla continuità nel frequentarla, oltre ad essere funzionale all’attività preponderante che è la strada. E’ importante iniziare un processo di adattamento anche per dare ricambio alla squadra superiore.
Ai recenti europei di Grenchen, Villa ha ravvisato problemi nelle specialità di gruppo.
In effetti anche a livello internazionale manca un buon calendario, necessario per affinare la tecnica. Parlo specificatamente della madison, anche se fra i primi anni ce ne sono alcuni con attitudini e più preparazione. Una struttura come Montichiari in questo momento della stagione diventa fondamentale. Le altre che abbiamo in Italia sono sì utili, però quando inizia la stagione su strada diventa difficile fare tutto.
Lavori a contatto con Villa, oppure ci sarà un trapasso di dati a fine stagione?
Invio sempre a Marco tutte le valutazioni che facciamo. E succede spesso che negli allenamenti sia presente anche lui, compatibilmente con i suoi programmi. Sul metodo invece, iniziamo a proporre il protocollo di allenamento che viene applicato dalla squadra superiore.
Torniamo ai tuoi ritiri: ci sono anche per gli stradisti?
Per loro abbiamo inserito dei mini raduni una volta al mese, che però servono per creare aggregazione e formare il gruppo. Un po’ meno per la preparazione, perché comunque la categoria è ben strutturata. I ragazzi sono seguiti da direttori sportivi e preparatori, per cui come nazionale cerchiamo di essere un supporto. Mentre la parte di formazione del gruppo è una cosa che mi piacerebbe portare avanti. Una squadra si forma con la quotidianità, anche al di fuori del momento della gara o dell’allenamento. E intanto passa il messaggio che anche in nazionale, come nei team di cui fanno parte e come inevitabilmente gli sarà richiesto nel prossimo futuro, il ciclismo su strada è uno sport di squadra.
Fate tutto a Montichiari?
C’è la logistica migliore. Oltre ad avere il magazzino vicino, ho pensato che andare molto lontano per due giorni non fosse funzionale. E poi perché in caso di maltempo, abbiamo la pista a disposizione. Quando invece è bello, arriviamo sul lago di Garda e si va alla grande. Ad aprile invece ci sarà una prova di Nations Cup a Siena e allora probabilmente il raduno lo faremo in Toscana.
Hai la percezione di lavorare con atleti sulla porta del professionismo?
Vista con gli occhi dei nostri ragazzi, è proprio così. La loro aspettativa è quella di finire nel Devo Team di una WorldTour. Ormai sono 2-3 anni che quelle squadre hanno la squadra Under 19 e probabilmente questo diventerà sempre più diffuso. Cioè il fatto di andare a ricercare il talento sempre prima.
Abbiamo letto numeri e tue valutazioni sul raffronto fra i nostri juniores e quelli del resto d’Europa…
Mi hanno messo in bocca parole senza averne parlato direttamente con me. Ai campionati italiani di ciclocross lo avevo accennato anche a Lorenzon. Gli avevo detto che non è una ricerca pubblicabile, perché si riferisce a numeri troppo ristretti di atleti di vertice. Non è corretto trarre alcun tipo di conclusione, si può fare al massimo qualche riflessione. Ma in una categoria come la nostra, con numeri che gli altri non hanno e dove c’è una gran parte di attività con forte vocazione promozionale, certi modelli non sono estendibili. Chi era presente lo sa benissimo. Davvero non voglio leccare i piedi a nessuno, ma nella categoria ci sono veramente dei bravi direttori sportivi.
Che rapporto c’è fra te e i tecnici?
C’è una condivisione di opinioni su dove stia andando la categoria, in correlazione al passato e alla realtà internazionale. Trovo molta corrispondenza. In Italia abbiamo un calendario regionale e nazionale molto forte e un gruppo di atleti ancora molto numeroso. Per quanto riguarda il vertice, dobbiamo essere bravi, soprattutto come Federazione, nell’offrire qualche possibilità ai migliori e a chi è già pronto al confronto internazionale. Dobbiamo farlo in modo continuativo e non limitato. Questo, al netto di come la penso io e come la pensiate voi, perché il mondo va in questa direzione.
Quindi per i più forti si potrebbe immaginare un’attività più qualificata in maglia azzurra?
Secondo me sì. Invece fino a qualche tempo fa c’era un regolamento, che limitava i migliori e in un certo senso li obbligava al confronto verso il basso. L’attività regionale è perfetta per i grandi numeri e per aspettare tutti quelli che non siano ancora formati. Al contrario, quelli che potenzialmente possono sostenere un’attività di livello più alto, perché non devono avere prospettive superiori?
Il CPS Team la settimana prossima andrà a correre in Francia per due giorni. Le squadre iniziano a muoversi?
Ecco, prendiamo il loro esempio. Bardelli vuole andare a fare una due giorni, sabato e domenica. Il nostro regolamento gli impedisce di usare gli stessi corridori, per cui deve portarne via di più. E’ giusto costringere una squadra a queste spese? Abbiamo già modificato tanto, non so perché non si possano cambiare le cose in blocco. Magari però ci sono anche delle motivazioni opposte che per qualcuno hanno una logica.
Quando avrai la prima trasferta azzurra?
Alla Gand-Wevelgem, l’attività sarà come quella dell’anno scorso. Faremo tutte le Nations Cup in Europa. Poi mi piacerebbe fare un raduno di preparazione un po’ più lungo, prima dei mondiali che al momento è in stand by, ma credo che riusciremo a fare.
Il calendario delle trasferte 2023
La tabella che segue ci è stata fornita da Salvoldi e illustra il piano delle trasferte 2023 della nazionale juniores, fra strada e pista. Spicca il viaggio per i mondiali su pista a Cali, in Colombia. Al totale vanno aggiunti il ritiro che si svolgerà in Toscana prima dell’Eroica di aprile e quello di Montichiari prima della Coppa delle Nazioni di Sittard.
Data | Località | Gara |
26 marzo | Gand (Bel) | Gand-Wevelgem (UCI 1.1) |
9 aprile | Parigi (Fra) | Parigi-Roubaix (Nations Cup) |
14-16 aprile | Gand (Bel) | Gara internazionale pista |
19 aprile | Siena (Ita) | Eroica (Nations Cup) |
4-7 maggio | Terezin (Cze) | Corsa della Pace (Nations Cup) |
20-21 maggio | Morbihan (Fra) | Trophée Morbihan (Nations Cup) |
25-28 maggio | Losanna (Swi) | Tour de Vaud (Nations Cup) |
27-29 maggio | Singen-Dudenhofen (Ger) | Gara internazionale pista |
6 giugno | Saarland (Ger) | LVM Sarland Trofeo (Nations Cup) |
11-16 luglio | Anadia (Por) | Campionati europei pista |
14-16 luglio | Bratislava (Svk) | Nations Cup |
28-30 luglio | Sittard (Ned) | Watersley (Nations Cup) |
5-11 agosto | Glasgow (Gbr) | Campionati del mondo strada |
23-28 agosto | Cali (Col) | Campionati del mondo pista |
20-23 settembre | Drenthe (Ned) | Campionati europei strada |
Non vinciamo un mondiale juniores su strada dal 2007 con Ulissi e nella crono dal 2019 con Tiberi. Invece in pista siamo freschi di diversi ori a Tel Aviv 2022. Come mai?
Non si può certo dire che su strada dipenda tutto dalla casualità, perché non è così. Però la variabile tattica nella categoria specifica degli juniores incide tanto. Poi c’è da valutare anche il ricambio generazionale, che magari in un biennio non è della stessa qualità e determina il risultato in base ai percorsi e agli atleti che hai a disposizione. C’è anche da dire che rispetto a un recente passato, il ciclismo è diventato anche molto più globale.
Resta da capire se il nostro obiettivo come nazionale sia fare risultato o formare i corridori di domani.
Entrambe le cose, una non è prioritaria rispetto all’altra. Gran parte dei percorsi delle Nations Cup, che sono quasi tutte gare a tappe, difficilmente coincidono con il percorso del campionato del mondo e sono collocate in periodi che non sono funzionali alla preparazione dei vari obiettivi. Quindi si corre per fare risultato. Sono gare in cui fare punti per avere più atleti ai campionati del mondo, così come per conoscere gli avversari, maturare esperienza e avere un confronto diretto con realtà diverse, che fa maturare. Credo che nessuno che faccia sport agonistico, in cui si misurano i progressi attraverso i risultati, non persegua il risultato. L’obiettivo che deve avere una squadra nazionale per elevare la qualità del movimento nazionale è il miglioramento dei singoli nel confronto con gli altri. E questo si ottiene anche attraverso i risultati.
E’ un fatto però che all’estero si vedano volumi di lavoro superiori ai nostri.
E’ difficile, non me la sento proprio di esprimere un giudizio a riguardo. Probabilmente dell’esasperazione c’è, perché anch’io sono sorpreso di certi volumi e certi allenamenti. A prescindere da una presa di coscienza della realtà, non sono d’accordo che il giorno dopo il mondiale quelli della Auto Eder facciano 230 chilometri. Sembra assurdo anche a me, però non mi permetto di giudicare se sia sbagliato o meno. Non credo però che sia stata un’improvvisazione.
Finora il solo ostacolo tecnico fra juniores e U23 erano i rapporti limitati. Ora che sono stati eliminati e che si accede al professionismo dagli juniores, non si potrebbe pensare che qualcuno voglia eliminare la categoria U23?
Che ci sia un’anticipazione è evidente e non so se si potrà intervenire attraverso delle regole. Su pista è un dato di fatto, nel senso che le distanze di gara o i tempi di riferimento sono comunque quelli. Nel ciclismo su strada, fa impressione pensare di poter passare da 18 anni in cui fai al massimo gare di quattro ore, a una gara a tappe di tre settimane o una Liegi-Bastogne-Liegi. Se così fosse (l’eliminazione della categoria U23, ndr), si dovrebbero tutelare di più gli juniores, magari allungando la categoria di un anno. Però, in effetti potrebbe sembrare proprio così.