Da corridore a comunicatore: la seconda vita di Marangoni

30.11.2021
4 min
Salva

Tra le definizioni di “divulgare” c’è: “Rendere accessibili ad un maggior numero di persone nozioni scientifiche e tecniche, con un’espressione semplice e chiara”. E’ una dote, che non tutti possiedono. E’ una dote che si può pensare appartenga a chi è un profondo conoscitore di un determinato settore, ma così non è. C’è il medico che sa guarire dal cancro, ma non sa insegnare e c’è il corridore che vince centinaia di corse, ma non riesce a comunicare al meglio l’essenza del ciclismo.

Seconda vita

Il divulgatore nel mondo del ciclismo… mediatico è un ruolo più che mai ricercato, soprattutto dagli amatori, che – sempre di più e sempre più volti ad emulare i professionisti alla ricerca di super prestazioni – vogliono capire come allenarsi per rendere al meglio, come alimentarsi, come vestirsi, quali biciclette acquistare. E’ in questo filone che si è inserita la seconda carriera di Alan Marangoni, che in dieci anni da pro’ ha vinto una sola volta (nell’ultima gara della carriera, al Tour de Okinawa), ma che sul canale web Gcn Italia è riuscito a trovare una sua dimensione, insieme a Giorgio Brambilla, anche lui professionista dal 2010 al 2014.

Con Marangoni a Gcn c’è Giorgio Brambilla, anche lui corridore professionista dal 2010 al 2014
Con Marangoni a Gcn c’è Giorgio Brambilla, corridore dal 2010 al 2014

Semplicità vincente

Il loro ruolo è proprio spiegare agli amatori tutti i segreti di un corridore attraverso dei video, girati quasi sempre in sella, spesso insieme proprio ad alcuni big del gruppo. Una sorta di corso di formazione che piace e che fa bene, in un certo senso, anche a livello di educazione stradale.

«Ai nostri seguaci – spiega Marangoni – non gliela racconti. Bisogna essere precisi, puntuali, esaustivi perché hanno sete di conoscenze e ci guardano già da grandi intenditori. Ci sono i “fissatoni”, ma vedo anche tanti per fortuna che pedalano per divertirsi. Nel raccontare, comunque, la differenza la fa la semplicità».

Lo stesso entusiasmo

Un ruolo che gli riesce bene anche perché lui stesso è uno che ha sempre vissuto di ciclismo.

«C’è chi finisce la carriera che ha il “vomito” della bicicletta – dice il Maranga – c’è chi smette ancora giovane e esce da questo mondo perché ce l’ha con il sistema. E poi ci sono quelli come me, che ho sempre vissuto il ciclismo da appassionato. Osservavo tutto, guardavo tutte le gare, amavo gli amatori e adesso pedalo ancora con lo stesso entusiasmo».

Con Belletti e Montaguti al Giro del 2014, promuovendo il Passatore Bike Fay
Con Belletti e Montaguti al Giro del 2014, promuovendo il Passatore Bike Fay

Troppi watt

Anche per questo Giorgio Brambilla è quello più “tecnico” del duo, mentre Marangoni intrattiene e spazia con la sua esuberanza tutta romagnola. Curioso, dunque, conoscere il suo punto di vista sul ciclismo di oggi.

«Vedo troppi watt e poco romanticismo – confessa – non vedo più raduni perché ognuno ha una sua tabella da seguire, so di professionisti che sono vicini di casa, ma non possono allenarsi insieme perché hanno valori diversi».

Numeri e freddezza che si riflette in corsa e fuori dalla corsa: «Tanti corridori, ormai, fanno il loro compitino – spiega – mettono un numero per la gara, tirano, finiscono, vanno in hotel, si attaccano allo smartphone. C’è poco affiatamento e in gruppo c’è troppo stress e quindi tante distrazioni e tante cadute che rovinano una corsa. Penso, ad esempio, alla caduta banale di Roglic al Tour».

«Nel raccontare – dice Marangoni con concretezza da corridore – la differenza la fa la semplicità»
«Nel raccontare – dice Marangoni con concretezza da corridore – la differenza la fa la semplicità»

Arriva il gravel

Non ci sorprende che Marangoni non veda di buon occhio il boom dei rulli “tecnologici”, utilizzati anche d’estate così come non sorprende che per lui la bici da corsa sia ancora la regina.

«Inizieremo a fare alcuni video anche per il gravel – rivela – che insieme alle e-bike creano curiosità, ma io penso che non avranno mai il fascino di una bici da corsa e le gare di quel mondo non arriveranno mai a livello di un Fiandre o di un Roubaix. Forse sono chiuso io, ma la penso così».