Cataldo, gli ultimi passi di una carriera da gigante

17.05.2024
8 min
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«Vengo da Miglianico – dice Cataldo – neanche dieci chilometri da qui. Se fossi stato al Giro, questa sarebbe stata la tappa di casa».

E’ appena finita la tappa di Francavilla. Milan ha vinto la seconda volata del Giro e sul palco del Processo si celebra la sua prepotenza agonistica. A un estremo del tavolo degli ospiti, Dario Cataldo assiste alla conversazione e dà il suo contributo quando c’è da parlare della condotta di Pogacar. E poi quando arriva il momento, prende la parola e annuncia quello che era nell’aria da qualche mese: questa sarà la sua ultima stagione. Ha fatto in tempo a metabolizzare la scelta, ma quando gli viene chiesto che cosa gli mancherà, il groppo in gola non tarda a tornare.

Dario Cataldo è passato professionista nel 2007 dopo aver vinto il Giro d’Italia U23 dell’anno precedente. Classe 1985, ha corso con Liquigas, Quick Step, Team Sky, Astana, Movistar Team, Trek-Segafredo e Lidl-Trek. Gregario di alto profilo per Wiggins, Nibali e Aru, ha vinto una tappa al Giro e una alla Vuelta, oltre alla maglia tricolore della crono.

Cataldo ha saltato anche il Giro del 2023 a causa della caduta in Spagna
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Il giorno dopo

Abbiamo aspettato una giornata. Abbiamo visto Alaphilippe realizzare un’impresa magnifica verso Fano. E poi, sul far della sera, siamo tornati da Cataldo per farci raccontare quello che ci aveva già anticipato e avevamo preso come il tentativo di esorcizzare il momento: non ci avevamo creduto. Alla fine dello scorso anno, il suo impegno a rimettersi in sesto dalla caduta del 2023 al Catalunya era massimale. Invece proprio quella caduta è stata la prima pietra di una decisione ormai annunciata.

«Non credo che la squadra mi terrebbe – dice – anche se non ne abbiamo parlato. Ho 40 anni, nel ciclismo di adesso non ci sarebbero squadre WorldTour disposte a prendermi e non mi va di fare un anno in una squadra più piccola. So che un passo per volta potrei tornare ad andare bene, ma dovrei comunque dimostrarlo e adesso non sto andando come vorrei e sto correndo anche poco. La mia presenza al Giro non era prevista, perché è impegnativo e perché sarei dovuto andare forte nelle gare prima. Ma avendo l’idea di andare con una squadra per Milan, è stato giusto puntare su altri atleti».

Con Felline al Tour of the Alps: sia pure per motivi diversi, nessuno dei due è al Giro
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E’ stata una decisione cui sei arrivato gradualmente o un giorno ti sei svegliato e l’hai capito?

Ci sono arrivato gradualmente. Ovviamente l’incidente mi ha dato un’ulteriore spinta e mi fa lasciare più a cuor leggero. Ormai fai fatica ad andare alle corse senza essere al 100 per cento, non è più come una volta. Non puoi andare per allenarti. Adesso se non sei pronto, vai a soffrire come un cane. Il fatto di dover recuperare da un incidente e andare alle corse consapevole di aver perso la mia capacità di performance rende tutto più complicato. La gamba sinistra, quella in cui ho rotto il femore, non ha recuperato ancora del tutto. Sento di non essere al 100 per cento neppure con la respirazione. Sia per il pneumotorace, sia per le fratture delle costole, ho perso tantissima capacità polmonare. Anche nei test fatti in ritiro a dicembre, avevo un valore nettamente inferiore agli altri anni.

Andare alle corse così non è una passeggiata…

Si recupera lentamente. Già andare con questo deficit significa che ti devi fare doppiamente il mazzo e non è facile. Sai che parti e farai fatica anche solo a fare il lavoro che ti viene chiesto, non parlo di vincere. Anche per lavorare adesso devi essere al top, è un ciclismo troppo esigente per uno che è mezzo e mezzo. Sto recuperando, faccio dei passi in avanti. Posso anche dire di essere abbastanza in forma e di fare dei buoni numeri. Valori con cui quattro o cinque anni fa avrei tranquillamente potuto fare il Giro d’Italia, ma oggi è tutto diverso. Per quello che esige oggi una gara importante, non basta quello che riesco a fare adesso in allenamento. Non basta stare bene, devi essere perfetto.

L’infortunio giustifica la scelta, ma non è il modo in cui saresti voluto uscire di scena…

No, certo, questo è poco ma sicuro. Avrei voluto fare un altro Giro d’Italia, fare un altro calendario. Avrei ambito a fare altre cose chiaramente, ma un incidente così non lo scegli. Bisogna prendere quello che viene, per cui mi godo questa stagione al meglio che posso. Bisogna essere realisti e vivere quello che viene, alla fine gli incidenti fanno parte di questo sport. Se devo vederla in un altro modo, una caduta può toglierti la carriera dall’oggi al domani, senza poter fare questo processo. A me è andata bene, in qualche modo. Ne ho parlato anche con Bennati.

Vuelta 2012, Cataldo vince sul Cuitu Negro: una salita durissima
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Cosa c’entra il cittì?

A lui sono molto legato, siamo stati compagni di squadra e compagni di camera al Giro d’Italia. L’anno scorso mi ha proposto di fare una corsa con la nazionale, perché sa che cosa significa indossare la maglia azzurra e sapeva quanto ci tenessi. Mi ha portato al Matteotti, mi ha fatto un regalo. Mi ha detto che del suo fine carriera rimpiange di non aver potuto decidere quale sarebbe stata la sua ultima gara. Ci siamo confrontati sui nostri incidenti, il recupero e il resto. Daniele è caduto, ha provato a rimettersi in sella e tornare competitivo, ma non c’è riuscito. Non è mai più tornato a correre. E’ partito per la sua ultima corsa, senza sapere che sarebbe stata l’ultima. Per me è diverso. Da qui a fine stagione possono succedere mille cose, però sto correndo consapevole che sarà la mia ultima stagione. Faccio il mio percorso, faccio le mie ultime cose…

Non farai il tuo ultimo Giro d’Italia.

Mi sarebbe piaciuto, però è andata così. Conservo un ricordo dell’ultima volta, era il 2022, si chiudeva a Verona. Quando ho finito la cronometro, mi sono preso un attimo per me. Guardavo lo spettacolo dell’Arena tutta rosa e mi sono detto: «Cavolo però, che spettacolo è il Giro d’Italia!». E dentro di me ho detto: «Tutto questo mi mancherà». Pensavo che avrei fatto un altro Giro d’Italia, non avrei mai immaginato che fosse l’ultimo. Per cui è come se con il Giro mi fossi lasciato con un arrivederci. Come un amico, cui dici «ciao» e invece non lo vedrai mai più. Gli addii non sono mai belli, sono sempre tristi. Per cui un arrivederci da un certo punto di vista è anche più facile da accettare, più amichevole. Ti lasci a cuor leggero, quello col Giro è stato un arrivederci.

La Vuelta torna sui Cuitu Negro, dove vincesti una tappa memorabile…

Da un certo punto di vista, ci spero. Mi alleno per cercare di arrivarci bene, però con la crescita che ha fatto, la squadra quest’anno è molto ambiziosa. C’è un investimento grande, c’è stata una rivoluzione grande, ci sono ambizioni grandi e grandi aspettative. Per cui si parte per vincere, non per vedere come va, portando il giovane per farlo crescere o il vecchio cui piacerebbe farla. Si parte per fare risultato. Mi piacerebbe esserci, perché significherebbe che me lo sono meritato.

All’Astana dal 2015 al 2019, Cataldo è stato uno degli uomini più importanti per Aru
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Quanta concentrazione serve per lavorare sapendo che sarà l’ultima volta?

Serve motivazione, però la motivazione nel mio caso viene dal fatto che dopo l’incidente cerco anche io una piccola rivincita. Vedo quei passi in avanti, ma non sono mai arrivato a dire di essere tornato. Un po’ come per Pozzovivo. Dopo il suo incidente, ha voluto dimostrare di essere capace di arrivare nei primi dieci al Giro e c’è riuscito. Adesso continua a lottare, perché è il corridore con più testa e grinta che ci sia nel gruppo. Sono casi diversi, ma anche io cerco la mia rivincita. Quando indosso la mia maglia, ho delle responsabilità e mi sento responsabile. Se vado a una corsa, devo essere in grado di farla, di essere performante, di essere utile alla causa e alla squadra. Non mi stanno portando per un gioco. Quindi fino alla mia ultima corsa, io mi alleno per essere utile alla squadra. Continuo ad essere un professionista.

A chi hai detto per primo che avresti smesso?

Non ho mai trovato l’occasione per dirlo pubblicamente, ma la decisione l’avevo già presa e lo sapevano già in tantissimi. Ho parlato con tanti colleghi, compagni di squadra, corridori e direttori di altre squadre. Lo sapevano quasi tutti, per gli altri ho fatto l’annuncio al Processo alla Tappa.

Ti è venuto il magone a dirlo in diretta?

All’inizio ero tranquillo, perché era una cosa che avevo già ripetuto tante volte a tante persone. Avevo iniziato a dirlo un po’ alla volta, proprio perché temevo il magone e ho cercato di abituarmi all’idea. Quando però mi hanno fatto la domanda su cosa mi mancherà, allora la cosa si è complicata. Non parli solo della parentesi professionismo, il fatto di prepararti per una stagione, la dieta, il sistemare la bici sono cose che fai da quando sei bambino. Non è come smettere un lavoro e farne un altro. E’ un’abitudine, un rito che segui da sempre e di colpo non c’è più. Si interrompe una pagina da cui è difficile staccarsi, capito?

Ancora qualche giorno a Miglianico, poi Cataldo tornerà a casa in Svizzera
Ancora qualche giorno a Miglianico, poi Cataldo tornerà a casa in Svizzera

Il resto è un ragionare su cosa farà da grande. Subito il Giro di Norvegia e il tricolore. Per il futuro invece, si ragiona sul tipo di lavoro. Il tesserino di terzo livello preso da un pezzo. L’idea di fare questo o l’altro. La notizia è troppo fresca per scegliere subito una strada, c’è il tempo delle corse e quello di ricevere eventualmente delle proposte. Fino a domenica questo ragazzo con la vena di artista rimarrà nella casa di famiglia in Abruzzo, poi farà ritorno in Svizzera.

Dice di essersi allenato bene, di non essere salito sul Block Haus, ma di aver affrontato un tratto di Passo San Leonardo. I professionisti abruzzesi non sono tanti come una volta, siamo certi che anche noi sentiremo la sua mancanza. Ma intanto c’è metà stagione da mettere ancora nelle gambe. Se si pensa troppo alla fine, c’è il rischio che neppure si cominci.