Un viaggio nella storia e nei pensieri di “super Cav”

10.07.2021
9 min
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Quando l’avete conosciuto Cavendish? Se siete arrivati al ciclismo di recente, davanti alle nuove vittorie potreste avere qualche curiosità o peggio ancora dei dubbi. Se nel ciclismo ci siete da più tempo, allora magari ricordate quel ragazzino tondetto che nel 2007 sbarcò su strada dopo grandi successi in pista, che nel 2008 iniziò il suo personale viaggio nel Tour e l’anno successivo vinse la Sanremo.

Pochi sorrisi nel 2020 con la Bahrain-Merida: non è più lui. Il viaggio è alla fine?
Pochi sorrisi nel 2020 con la Bahrain-Merida: non è più lui. Il viaggio è alla fine?

Guida italiana

Lo guidava Valerio Piva, che più di altri capì il modo di seguirlo, dosando bastone e carota, facendo in modo che dai suoi occhi non se ne andasse la fiamma rabbiosa e istintiva d’ogni volta che mirava un traguardo. Il primo Tour inaugurò il grande palmares, ma soprattutto gli cambiò la pelle. Prese il velocista abituato alle mischie solitarie dei velodromi e lo trasformò nel finalizzatore del treno vincente.

«Il fatto di aver sofferto ogni giorno per arrivare a Parigi – disse Piva – lo ha asciugato ed ha evidenziato l’ottimo recupero. La sua grande forza è la rabbia di quando si mette in testa qualcosa. Al Tour ha imparato a stare a ruota e a fidarsi dei passisti della squadra. Se è motivato, sa soffrire e anche se fa una fatica bestiale, non molla di certo».

Dopo le 4 vittorie al Tour del 2008, arrivano le 6 del 2009: il treno Htc è inarrestabile. Il viaggio è iniziato
Dopo le 4 vittorie al Tour del 2008, arrivano le 6 del 2009: il treno Htc è inarrestabile. Il viaggio è iniziato

La sua storia

Quello che vi proponiamo è un viaggio per sunto in alcuni momenti del Cavendish-cammino attraverso il ciclismo, attraverso il momenti e le sue frasi. Affinché si capisca che l’atleta abulico e demotivato degli ultimi anni non fosse lui e abbia pagato piuttosto il fatto di non essere al centro di un progetto. Un po’ come accadde nei giorni del Team Sky, quando gli venne anteposto Wiggins e non gli restò che andarsene.

Sono 5 le vittorie del 2010 al Tour. Seguono anche 4 alla Vuelta
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Volate da dietro

Quando nel 2008 parlava di cosa sia una volata, Mark aveva 23 anni e viveva in Italia, portato e supportato da Max Sciandi, in quel fantastico progetto che fu la base italiana della nazionale britannica.

«La volata – diceva – è un fatto di centesimi, un battito di ciglia. Quando mi alleno, faccio degli sprint molto più lunghi. Ma quando mi trovo a fronteggiare uomini potenti come Bennati, uscire all’ultimo è una necessità e uno spasso. Non potrei farlo prima, perché non ho la loro potenza. Esco alla fine perché sfrutto la scia. La pista mi ha dato il colpo d’occhio e l’agilità che servono. In quei momenti non si pensa. Però ricordo ogni sprint al rallentatore. Vedo il punto in cui parto, il momento in cui vengo chiuso, il perché non vinco».

Pista docet

«Sono sempre molto motivato e non sento stress, anche se può essere pericoloso. Vorrei dire a chi mi accusa di essere incosciente, che noi pistard sappiamo calcolare tutto in modo molto più veloce. Ci sta anche che venga una caduta, ma il più delle volte non è colpa nostra. L’anno scorso ero nessuno, poi ho cominciato ad allenarmi sul serio ed ho avuto una squadra tutta dedicata a me. Puoi essere il velocista più forte del mondo, ma se non hai dei compagni che ti tengono al coperto sino al finale, non vai da nessuna parte. Se ho un treno, io non perdo».

Sulla via per i Giochi di Rio 2016, vince con Wiggins a Londra il mondiale madison
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Lampo a Sanremo

Nel 2009 vinse dunque la Sanremo, di cui aveva sentito parlare senza averne mai potuto annusare il profumo. Fu Piva a decidere che fosse pronto per debuttare. E lui vinse e fece la storia. Sul traguardo, dettaglio già visto in questi giorni al Tour, scoppiò a piangere.

«Perché piango? Perché ho conquistato un monumento. Altre due volte in vita mia mi era capitato di piangere per una vittoria. Nel 2005, a Los Angeles, quando ho vinto il primo mondiale dell’americana a diciannove anni. L’anno scorso al Tour, a Chateauroux, quando ho vinto la mia prima tappa: ma mi trattenni e piansi in camera da solo. Nessuno pensava che potessi tenere su questa salite. Ma il punto alla Sanremo non è chi sia il miglior scalatore, ma chi sia il più veloce dopo averle lasciate indietro. Alla fine io avevo le gambe per sprintare. Zabel (che in quella Htc Highroad era una figura di riferimento per i velocisti ed è con lui nella foto di apertura, ndr) mi ha regalato il braccialetto che aveva al polso quando vinse la prima Sanremo e credo che non me lo toglierò finché campo…».

Lo stress del velocista

«La gente pensa che il velocista stia lì seduto tutto il giorno ad aspettare la volata, nessuno si rende conto di quanto stress ci sia nel finalizzare in duecento metri un giorno di lavoro di tutta la squadra. Mi sono allenato su dislivelli da scalatore, ma non volevo perdere la velocità di gambe che mi viene dalla pista. Non è solo un fatto di soldi e fama, è utile alla mia carriera. Forse senza la pista non avrei potuto vincere la Sanremo e questi sono dettagli che non si possono trascurare. Mi piace vincere in pista, mi piacciono le tappe e mi piacciono le classiche. La differenza è che se vinci solo tappe, sei un grande sprinter. Se invece vinci una classica sei un grande corridore. Ho vinto la Sanremo, sono un grande corridore».

Sul traguardo della Classicissima 2009 batte così Thor Hushovd. Ha 23 anni ed è già nella storia del ciclismo
Sul traguardo della Classicissima 2009 batte così Thor Hushovd. Ha 23 anni ed è già nella storia del ciclismo

Troppi rischi?

Poi forse da un lato cominciò a pensare di poter fare in volata quel che voleva. Mentre gli altri, stufi di essere infilati, cominciarono a dire che alcune vittorie derivassero da condotte non sempre corrette. In qualche caso avevano ragione, in altri fu soltanto il pretesto per minarne la sicurezza.

«Sono consapevole che se non sono al massimo – ammise all’inizio del 2011 – divento nervoso, impreciso, rischio troppo. Il 2010 è stato il miglior momento di apprendimento della mia vita professionale. Ed è valsa la pena mangiare tanto fango, se questo impedirà che le stesse cose accadano ancora. La mia personalità la criticheranno sempre, ma l’anno scorso hanno messo in dubbio anche la mia capacità di andare in bici e questo mi ha fatto infuriare. Voglio un altro 2009, quando la gente non criticava il mio modo di correre e nessuno si sognava di dire che fossi un pericolo. Perciò adesso butto giù qualche chilo e poi vediamo. Se sto bene e sono sicuro di me, in volata sono il solito Mark. Corretto, ma bravo a guidare la bici. Me l’ha insegnato la pista. Fare quel che può giovarti senza danneggiare gli altri, purché gli altri non prendano paura. Se vedo un varco, io entro. Se vedo uno che rimonta, non sto a guardarlo. Il velocista vero è così. Basterebbe solo che nelle volate si buttassero solo quelli capaci di farle».

Al Tour del 2012, l’amico Wiggo gli tira tre volate, ma la storia d’amore con Sky si interrompe
Al Tour del 2012, l’amico Wiggo gli tira tre volate, ma la storia d’amore con Sky si interrompe

La maglia iridata

Il chiodo del peso. Piva lo ricorda bene e a riguardare le foto di fine 2020, quando si infilò per la prima volta in una maglia della Deceuninck-Quick Step proprio il peso parve il primo grosso ostacolo da superare. Ma se in passato l’assenza di stimoli lo rese impossibile, il cambio di passo con il team di Lefevere ha eliminato anche l’ultimo scoglio. E il team resta centrale nelle sue vittorie. Come quando nel 2011 vinse il campionato del mondo.

«Siamo stati perfetti – disse dopo il traguardo – perfetti e cattivi. Avevamo otto dei più forti corridori al mondo ed era la prima volta che correvamo assieme. Sono stati incredibili. Avevamo solo paura di non bastare per fare tutto il lavoro. E io non potevo fare altro che stare lì seduto e sperare che i ragazzi riuscissero a correre più in fretta della loro ombra. Ed è quello che hanno fatto. Hanno preso in mano la corsa dalla partenza all’arrivo e mi hanno permesso di vincerla. Avevo chiesto di avere tre uomini davanti nell’ultima curva, ma erano così sfiniti che me ne sono bastati due: Stannard e Thomas. Non potevo accampare scuse e quando ai 150 metri ho visto un varco, mi sono buttato dentro. Io non potrò mai vincere la maglia gialla, quindi in termini ciclistici, questa maglia iridata è la più grande vittoria che potessi sperare di ottenere».

Campione del mondo a Copenhagen 2011: «Ho trovato un varco e mi sono infilato»
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Il metodo belga

Eppure il presunto idillio con Sky si infranse contro le mire del team sul Tour. Quello del 2012 gli portò sì tre tappe, ma fu vissuto a margine della grande organizzazione necessaria per portare Wiggins alla maglia gialla. E fu così che Cav intraprese un’altra tappa del viaggio e approdò alla Omega Pharma-Quick Step.

«Chi vuole vincere la maglia gialla – disse all’inizio del 2013 – ha l’obbligo di puntare tutto su quello. Chi invece vuole vincere tante tappe con un velocista ha l’obbligo di mettergli attorno un gruppo di uomini che possa aiutarlo. In questa squadra ho riscoperto il concetto di allenamento di una squadra belga, che è: “Vai, duro, non fermarti”. Poi avrò un treno per il Tour. Infine è evidente che Sky è un modello di efficienza, dove ogni cosa è al suo posto, ma dove in compenso è tutto un po’ freddo. All’Omega Pharma invece c’è ugualmente grande professionalità, ma al contempo si vive più rilassati. Di là l’ordine è una mania, qui una necessità con cui convivere. Sono due filosofie diverse e ci sono corridori che fanno fatica ad adeguarsi all’una o all’altra, per me invece non fa differenze.

«Sono molto motivato e durante l’inverno non mi sono allenato come al solito, mi sono concesso il lusso di stare più tranquillo e questo paradossalmente mi ha dato una condizione migliore. In passato capitava che ingrassassi e poi mi restavano venti giorni per dimagrire e trovare la gamba. Diventava tutto uno stress, iniziavo la stagione arrabbiato e non era bello».

Nel 2013 ha lasciato Sky e con la Omega Pharma vince 2 tappe al Tour
Nel 2013 passa alla Omega Pharma e vince 2 tappe al Tour

Il buio del 2020

Chissà che cosa ha pensato quando lo scorso anno al Team Bahrain-Merida approdò quello stesso Rod Ellingworth che aveva costruito il grande ordine di Sky. Si dichiararono amore in partenza, ma Cavendish non riuscì mai a farsi trovare pronto per correre. E quando i giorni del Tour si avvicinarono, si rese conto che il progetto di portarlo per attaccare il record di Merckx si era dissolto o forse non aveva mai preso forma.

Il resto è storia dei nostri giorni. Chi lo ha vissuto da vicino lo scorso anno parla di miracolo e forse lo è. Resta da chiedersi se nel gestirlo tutti abbiano voluto conoscerlo a fondo, capendo che forse non era di una tabella che avesse bisogno, ma di semplice e spesso sottovalutata fiducia.