Se glielo proponessero, probabilmente la Vuelta farebbe uno sberleffo e si volterebbe dall’altra parte. Ad ora soltanto Pogacar ha ipotizzato che sarebbe meglio correre il Giro a settembre: alcune voci hanno condiviso, altre hanno disapprovato. E di certo fra coloro che si opporrebbero al cambio di data ci sono gli organizzatori spagnoli, che festeggiano quest’anno i 30 anni del mai abbastanza benedetto spostamento a settembre. E così, fra il governo bulgaro che si dimette e gli interrogativi su quale sia il senso di spendere milioni di euro per uno sport che da quelle parti è tutto fuorché popolare (e anche, a proposito di tradizione, sul portare la corsa ovunque ci sia qualcuno che paghi), il Giro d’Italia si attacca a Vingegaard (in apertura un”immagine depositphotos.com di Sofia, arrivo della terza tappa).


La scelta di Vingegaard
Siamo onesti: è davvero credibile che il danese venga al Giro d’Italia rinunciando a ogni chance di giocarsi la maglia gialla? I motivi per cui eventualmente lo farebbe sono due. Primo, la rassegnazione: Pogacar non si batte. Secondo, i soldi. A sentire quanto dichiarò Lefevere, il Giro pagò per avere Evenepoel nel 2021 e la trattativa per riaverlo nel 2023 fu un tutt’uno con la precedente. L’allora Deceuninck-Quick Step non nuotava nell’oro e il gettone risultò utile. Siamo certi che la Visma Lease a Bike, che con Nike ha trovato nuovo ossigeno a partire dal 2026, voglia rinunciare per soldi alle sue chance di vittoria in Francia, per giocarsi una vittoria al Giro d’Italia?
Vingegaard ha tutto quello che serve per farlo e probabilmente sarà anche stufo di subire lezioni in Francia. Magari ha anche voglia di arrivare prima di Pogacar al traguardo della Tripla Corona, sapendo però che correre il Giro significa non potersi preparare per il Tour. Basterà tutto questo per portarlo in Italia oppure il richiamo del Tour sarà ancora più forte? Tutti quanti, a maggior ragione noi che il Giro andremo a raccontarlo, ci auguriamo di averlo qui.


Il ruolo di Vegni
E qui veniamo al nodo da sciogliere. Pare che dopo la partenza della corsa francese da Firenze nel 2024, cui partecipò da osservatore molto interessato, Mauro Vegni abbia capito la differenza di proporzioni fra la sua corsa e quella di ASO. In quella circostanza, RCS Sport fece la parte del leone, avendo vinto il bando indetto da Regione Emilia Romagna, nel gestire la logistica del Tour in Italia. Parlando successivamente con i francesi, emersero grandi complimenti per Luca Papini che fece da raccordo tra le strutture italiane e quelle francesi, occupandosi con Marco Della Vedova anche di verificare i percorsi di gara.
E mentre il Tour prosegue il suo cammino così ben organizzato anche dagli altri (difficilmente il Giro d’Italia troverebbe simili appoggi in Bulgaria!), il Giro ha ripensato la sua struttura. Vegni è andato in pensione, portando con sé l’immensa esperienza. Papini è diventato segretario generale della Lega del Ciclismo Professionistico. Voci dall’interno di RCS Sport confermano che il posto di Vegni nel ruolo di direttore del Giro d’Italia non sarà riassegnato e che starebbe nascendo una struttura attorno a Paolo Bellino, CEO di RCS Sports & Events.


La nicchia del Giro
Può bastare per tenere testa al Tour e rendere il Giro d’Italia appetibile per gli sponsor e i campioni? Lo vedremo alla prova dei fatti. Saremmo tutti ben contenti di raccontare la vittoria di un italiano di belle speranze e per quello potremmo anche dimenticare di non aver visto sul palco le star internazionali più celebri. Sarebbe un bel modo per dire che ci siamo anche noi, accettando il comfort del provincialismo e trincerandoci dietro il fatto che non dipenda da noi, ma da chi non ci capisce.
E’ l’orgoglio antico e profondo della mia cara Ascoli, città di pietra dalla grande storia e dagli scorci commoventi, che non ha l’autostrada, l’alta velocità e neppure l’aeroporto. Non la cambierei per nulla al mondo, sogno ogni giorno di tornarci, intanto però i ragazzi se ne vanno per trovare aperture più moderne e altre possibilità. E’ come la difesa strenua dei sampietrini di Roma, che spaccano gomme e ammortizzatori che siamo tutti felici di ripagare nel nome della tradizione.
Il Giro è così, refrattario al cambiamento, convinto che scegliere un’altra data significhi voltare le spalle al suo secolo di storia. E nel difendersi, si accomoda nella nicchia, senza capire che probabilmente la minore disponibilità di soldi e sponsor rispetto ai cugini francesi non sia figlia di un complotto, ma delle proprie scelte strategiche.