Si potrebbe ridurre tutto al dibattito, neppure troppo nuovo, sull’opportunità di far pagare il biglietto per accedere a determinati punti sul percorso. Forse però lo scontro è più profondo e vede sul ring la tradizione del ciclismo opposta a una serie di necessità che sarebbe miope non considerare.
«Sono preoccupato per la fragilità del nostro sport – ha detto di recente Van Aert a De Tijd, parlando della fusione fra Lotto e Intermarché – molte persone hanno perso il lavoro quest’inverno, ciclisti e dirigenti. Credo che la fragilità sarebbe minore se, oltre alle entrate derivanti dalle sponsorizzazioni, ce ne fossero anche altre derivanti dallo sport stesso, ad esempio attraverso i diritti televisivi. In questo modo, una squadra non fallisce immediatamente se uno sponsor abbandona, come accade ora».


La torta da dividere
Biglietti da pagare e diritti televisivi, due visioni diverse per risolvere la stessa esigenza: aumentare le entrate. Solo che a fronte di uno sport cresciuto rapidamente e a dismisura, l’approccio resta quello degli anni Ottanta. E il sistema, come già evidenziato da Luca Guercilena, traballa.
«Vedo come l’NBA distribuisce i fondi tra tutte le parti – prosegue il belga, reduce da un tour promozionale negli USA (immagine di apertura da Instagram, realizzata da Joe Pugliese) – e penso che il ciclismo possa imparare molto. Forse ci concentriamo troppo sul fascino e sull’atmosfera popolare. Se si fa pagare cinque euro per l’ingresso, non significa che il ciclismo non sia più popolare. Anche il ciclocross prevede una quota di ingresso e non c’è niente di più popolare. Gare come il Fiandre o il Tour dipendono da noi che vi prendiamo parte. Ma come squadra, non riceviamo nemmeno un compenso sufficiente a coprire i costi di partecipazione. Mi sembra il minimo. La torta potrebbe essere divisa in modo più equo».


L’esempio del Fiandre
Soldi agli organizzatori o soldi alle squadre? L’ideale sarebbe mettere tutto sul piatto e dividere secondo logica e proporzione, invece il ciclismo non si è mai preoccupato di fare sistema e ciascuno tira l’acqua alla sua parte.
«Bisogna cercare di fare qualcosa che abbia un sistema economico autosufficiente – dice Pozzato – altrimenti è tutto inutile. Quest’anno abbiamo portato 720 paganti nella nostra hospitality. Il sogno è arrivare a mille persone e cominciare ad aumentare il prezzo del biglietto e la qualità del servizio, con gente consolidata che torna perché sa che vale la pena. Perché hanno servizi e perché, come nella nostra Veneto Classic, vedono i corridori passare per sei volte. Al Fiandre pagano anche 500 euro per una hospitality, qui è difficile far passare l’idea di pagare 10 euro per un servizio. Se non andiamo su questo modello, le corse italiane più piccole muoiono. Il problema è che da noi si è sempre fatto in un modo solo e nessuno pensa a qualcosa di diverso. Solo durante il Giro d’Italia c’è gente per strada, ma è l’evento sportivo dell’anno, è normale che ci sia. Gli altri organizzatori hanno bisogno di fare qualcosa di diverso. ASO e RCS prendono un sacco di diritti tv, sarebbe giusto dividerli con le squadre».


Cipollini su Facebook
Pagare o non pagare? Pozzato è tra i sostenitori della necessità di farlo, ma si è trovato contro il parere di Cipollini, rilasciato su Facebook.
« Credo che il ciclismo – ha detto il toscano – si basi soprattutto sul rapporto tra i ciclisti e il tifoso, però probabilmente faccio parte dei vecchi, di quelli datati, non sono un visionario. Immagino che questa cosa del pagare non debba toccare gli eventi straordinari come Giro d’Italia, Lombardia, Milano-Sanremo, queste grandi corse importanti, perché già sfruttano un bene comune come le strade. Non credo che il ciclismo possa essere paragonato al tennis, al calcio, alla MotoGP, alla Formula 1, che sono eventi all’interno di strutture. Diverso se uno organizza una Sei Giorni all’interno di un palazzetto oppure crea un circuito, nel qual caso è giusto pensare anche a un ipotetico ritorno. Ma parlando ancora del Giro d’Italia, le varie istituzioni come Comuni, Province e Regioni investono già, spendendo i soldi dei cittadini per pubblicizzare il territorio, per cui sarebbe come pagare due volte».


I soldi pubblici
In realtà i soldi pubblici finiscono anche negli sport che fanno pagare i biglietti più cari. Laddove gli stadi non sono di proprietà, essi sono un fardello a carico dei Comuni. Il Foro Italico, che comprende lo stesso Olimpico di Roma, è di proprietà di Sport e Salute, quindi del CONI. Lo spiegamento di forze di Polizia per l’ordine pubblico fuori dagli stadi è a carico dello Stato. Il fatto di pagare il biglietto in situazioni che già godono del supporto dei soldi pubblici è un ostacolo che altrove nessuno sembra essersi posto.
Che mediamente ci sia meno gente è vero. Scarseggia soprattutto lungo le strade piatte, dove l’attesa non è ripagata da chissà quale spettacolo, avendo la diretta integrale che ti permette di vedere tutto e meglio dal divano di casa. Una volta, quando non c’era questa copertura così massiccia, vederli passare era il solo modo per farsi un’idea e ragionare fino all’inizio della diretta. L’idea di Pozzato, che già rende parecchio bene a Flanders Classics (dal cross alle corse fiamminghe), è quella di ricavare delle aree a pagamento in cui coccolare i tifosi che vogliano spendere, offrendo loro uno spettacolo nello spettacolo. Nessuno costringerebbe gli altri che vogliano seguire le corse come si è sempre fatto. E’ un’idea efficace, che tuttavia non risolve il problema.






Il sistema che non c’è
Il sistema ciclismo non è in realtà un sistema, ma un insieme di realtà che cercano di attirare il più possibile per tenere in piedi le loro strutture. E a ben vedere la stessa UCI che detiene la titolarità del WorldTour non fa nulla perché le cose cambino. Se il suo obiettivo è riscuotere i pagamenti di corse e squadre, qualsiasi forma di organizzazione più avanzata la costringerebbe a condividere i profitti. L’UCI chiede e non restituisce, portando avanti una visione miope. Dividendo la torta come propone Van Aert, magari all’inizio qualcuno dovrà fronteggiare entrate minori, poi però il sistema prenderebbe giri e diventerebbe produttivo per tutti.
Questa è la visione di Pozzato, questa la visione di Van Aert e dei belgi. Bocciarla perché si è sempre fatto diversamente è un atteggiamento a dir poco medievale. Bocciarla perché resta concepita a compartimenti stagni è un’altra cosa. Nell’Italia che stenta a uscire dalla dimensione di una volta, potrebbe essere la Lega Ciclismo a guidare il movimento professionistico su un cammino di razionalizzazione delle entrate, dividendo laddove possibile il peso delle uscite. La Coppa Italia delle Regioni potrebbe diventare ben più produttiva di quanto sia oggi.