La grande famiglia del ciclismo. Per fare digerire ai team WorldTour la sperimentazione improvvisata dei gps di sicurezza e giustificarne poi la squalifica, l’UCI ha attinto a questa raffigurazione retorica che negli anni ha assunto svariate connotazioni.
I politici di Losanna hanno infarcito il ciclismo di così tanta burocrazia e regole, che sentire un appello alla famiglia suona davvero insolito. In base a quale logica, nel ciclismo dei millimetri e delle sanzioni fiscalissime, si possono sperimentare i segnalatori GPS senza un protocollo approvato? Si sbandiera il rigore scientifico e poi si chiede una sperimentazione fatta a pane e salame? Dov’e l’oggettività se devono essere le squadre a scegliere il campione? E in base a quale regolamento si possono squalificare le atlete della squadra che si sia rifiutata di indicarne una?


La grande famiglia
La grande famiglia del ciclismo è un un luogo di cui l’UCI non fa parte ormai da tanti anni. Era una delle espressioni favorite di José Miguel Echavarri, lo storico mentore di Indurain e della grande Banesto da cui oggi è nato il Team Movistar. E anche lui ne ammise la fine nei giorni dello scandalo doping al Tour del 1998. Anche in quel caso tuttavia il ricorso alla famiglia ebbe uno strano suono. Quasi fosse stata negli anni il tacito accordo per tenere al sicuro i segreti inconfessabili.
Una forma di famiglia esiste a livello nazionale. Per questo in Italia ci si preoccupa delle società di base. Della difficoltà di trovare squadra per gli allievi e per gli U23. Del criterio con cui i ragazzi arrivano al professionismo e di quelli che a 18 anni partono verso squadre juniores all’estero. E’ il motivo per cui si chiede alla Federazione di studiare contromosse che tutelino il movimento nazionale. I connotati della famiglia ci sono ancora, ma essa rischia di trasformarsi in un far west per difendersi dalle tante spinte centrifughe. Ed è il motivo per cui, al momento della rielezione, dedicammo un Editoriale al presidente Dagnoni. Sottolineammo come avesse davanti quattro anni decisivi per guidare il movimento sulla giusta strada. Se vuole, su questa strada saremo al suo fianco.


Tutti contro tutti
Che cosa c’entra oggi il richiamo dell’UCI alla grande famiglia del ciclismo se il ciclismo stesso è stato trasformato in una lotta di tutti contro tutti? Di squadre contro le altre, per paura della retrocessione e per scovare budget maggiori (impossibile non notare il rifiuto di introdurre la divisione dei profitti di tutti gli attori sulla scena). Cosa volete che gliene importi a una squadra WorldTour se la professional di turno non trova i soldi per andare avanti? Di atleti contro gli atleti, con gli sconfitti che puntano il dito contro la forma fisica di chi ha vinto. Di agenti contro gli agenti, per piazzare il maggior numero di corridori. Dei media contro i media, per scrivere le notizie più ad effetto. Dell’UCI contro le federazioni nazionali: come definire altrimenti l’imposizione di calendari sempre più costosi? E da ultimo dell’UCI contro gli atleti. Prima pretende di ingabbiarne i gesti e poi decide di squalificare 30 lavoratrici dipendenti (le 30 atlete del Romandie) per punire le loro squadre.


E’ ancora ciclismo?
Caro David Lappartient (il presidente dell’UCI è in apertura con Ferrand Prevot), la sua gestione sta trasformando il ciclismo in qualcosa che non è mai stato. Migliore o peggiore? Non è un fatto di gusti, ma di cose che non funzionano. Se mai fosse esistita la grande famiglia del ciclismo e avesse avuto dei padri con i piedi nella storia e il cervello nel futuro, il suo posto dalla tavola sarebbe stato già tolto da un pezzo. Questa non è più una famiglia e forse non lo è mai stata. Questo non è più il ciclismo che ha fatto la storia e siamo certi che prima lo fosse davvero.