EDITORIALE / Nel far west del ciclismo italiano

07.07.2025
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Undici italiani (meno Ganna) al Tour de France. Il piemontese è caduto il primo giorno ed è tornato subito a casa senza aver fatto in tempo a entrare nel clima della corsa. Incontrato ieri a Corvara, Miguel Indurain si è detto incredulo della situazione del ciclismo italiano.

«Non so se all’Italia manchino corridori – ha detto – oppure il fatto di avere una squadra di spessore o forse entrambe le cose. Non so quale sia il fattore scatenante di questa crisi, ma è davvero doloroso non vedere l’Italia protagonista. Nei miei anni aveva tanta abbondanza di grandi corridori sia per le classiche sia per i Grandi Giri. E’ un momento difficile perché poi si lotta contro superpotenze che hanno budget enormi, come la Uae Emirates».

Vincenzo Nibali è stato l’ultimo grande italiano, capace di vincere Giri e classiche con regolarità
Vincenzo Nibali è stato l’ultimo grande italiano, capace di vincere Giri e classiche con regolarità

Il silenzio dopo Aru

Da Bugno e Chiappucci siamo passati a Gotti e poi Pantani. Quindi a Simoni, Cunego e Garzelli. Ci sono stati gli anni di Savoldelli e Di Luca e Basso. Abbiamo creduto di aver trovato la risposta con Riccò, ma non è andata come si sperava. Abbiamo ringraziato Nibali, che ha portato orgogliosamente per anni la bandiera del ciclismo italiano. E quando di colpo il suo erede Fabio Aru è crollato sotto un peso imprecisato e per lui troppo grande, ci siamo guardati intorno e abbiamo visto che non c’era più niente. Non c’erano nemmeno più le squadre. Gli americani si sono mangiati la Liquigas, l’hanno trasformata in Cannondale e poi l’hanno lasciata morire. La rossa Saeco è diventata Lampre e la Lampre è diventata la UAE degli Emirati Arabi.

Senza il controllo da parte di manager nostrani, come in un moderno far west i settori giovanili sono diventati terreno di caccia per gruppi di agenti e squadre straniere, certamente ben strutturate ma senza grande slancio nel proporre un percorso di crescita coerente con la formazione dei nostri atleti. Siamo abbastanza certi che tanti di loro, inseriti in un team italiano di livello, avrebbero seguito un percorso di crescita diverso e più redditizio.

Davvero qualcuno crede cha la vittoria di Conca al campionato italiano sia lo specchio del problema?
Davvero qualcuno crede cha la vittoria di Conca al campionato italiano sia lo specchio del problema?

Il parafulmine Conca

E’ innegabile che ci siano dei problemi e che ci fossero anche in passato, tuttavia le vittorie hanno permesso di ignorarli. Si sono tutti attaccati alla vittoria tricolore di Conca, facendone una sorta di parafulmine. In realtà il campionato italiano è stato altre volte teatro di clamorose sorprese, come quando lo vinse Filippo Simeoni, lasciandosi dietro la crema del ciclismo italiano. Nessuno la prese troppo bene, ma furono costretti a fare buon viso e si rimisero a pedalare. Eravamo pieni di corridori forti a livello internazionale, per cui smisero presto di farsene un problema.

La vittoria di Conca, come da lui giustamente fatto notare e come sottolineato da Visconti, è arrivata in un giorno caldissimo e al termine di una fase ancor più torrida della stagione in cui a tutti i corridori delle professional è stato chiesto di fare punti su punti. In ogni corsa, anche le più piccole. Ogni giorno. La loro superiorità numerica nel giorno del campionato italiano è stata solo nominale: squadre composte da tanti corridori sfiniti, come è normale che sia quando l’obiettivo smette di essere fare buon ciclismo. Salta all’occhio in questo senso il terzo posto di Valerio Conti, 32 anni, nel Giro del Medio Brenta vinto ieri da Turconi. Non ci sarebbe da ragionare anche sulla presenza delle squadre professionistiche nelle internazionali che un tempo furono dei dilettanti?

Il Tour e i suoi vertici fanno sistema con il movimento, ne fanno parte e lo alimentano
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Gli affari di Cairo

In tutto questo, la Federazione e la Lega (che ne è emanazione diretta) hanno smesso di parlare, rimbalzandosi responsabilità sempre troppo vaghe. Un atteggiamento che conduce in acque scure e non aiuta nel venirne a capo. E’ difficile dire se prevalga l’egoismo o se ci troviamo di fronte a dirigenti non all’altezza. Nella Francia del Tour che attira risorse come miele, è noto che gli stessi organizzatori abbiano più volte agevolato l’ingresso di nuovi sponsor per le squadre francesi. E’ utopia immaginare che Urbano Cairo, il presidente di RCS, possa svolgere un ruolo analogo? Probabilmente sì. O almeno la storia finora ha mostrato altre realtà. Il lavoro che viene svolto dai suoi uomini è quello di reperire capillarmente risorse sul territorio, senza (in apparenza) troppa attenzione per coloro cui le stesse vengono sottratte. L’obiettivo è fare utile: scopo legittimo, con il senso tuttavia di una mietitura che non tiene conto della necessità di arricchire il terreno prima che diventi arido.

Che cosa dovrebbero fare la Federazione e la Lega? Organizzare alla svelta un tavolo che detti nuove regole per il ciclismo italiano: dalla base ai vertici. Non significa consegnare a RCS ogni corsa che desideri, ma farlo in un quadro che gli imponga anche degli obblighi promozionali. Si sta addirittura valutando di costringere i super team a dividere parte delle loro risorse con le squadre più piccole: perché nessuno tocca le tasche degli organizzatori?

Le possibilità più concrete di vittoria per gli italiani al Tour le ha probabilmente Milan, qui vittorioso al Delfinato
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Gli italiani del Tour

Se non può essere il presidente Dagnoni a far sentire la sua voce, forse può farlo Roberto Pella, che ha un suo disegno e il suo passo, cui non sembra voler rinunciare? Il problema non è Conca, lui è stato semplicemente il più motivato nella corsa che assegnava la maglia tricolore. Il problema è il meccanismo che gli ha permesso di farlo e che sta svuotando il nostro ciclismo di ogni programmazione. Dalle squadre juniores, che vengono regolarmente depredate e poi chiudono, alle U23 che stanno lentamente sparendo, fino alle professional alle prese con il sistema dei punti. Era così anche prima, solo che ormai davanti non ci sono più campioni in grado di mettere tutto sotto il tappeto. Undici italiani (meno uno) al Tour sono un punto forse più basso di quanto è accaduto al campionato italiano.