L’arrivo di Fabio Felline alla MBH Bank Ballan, come raccontato da Gianluca Valoti, è stato reso possibile dal prematuro ritiro di Gabriele Casalini. Andando a guardare la sua scheda statistica, emerge come il suo abbandono dell’attività risalga allo scorso 13 giugno, ma la cosa che colpisce è che parliamo di un ragazzo di appena 20 anni. Che cosa lo ha portato a questa scelta così improvvisa?
Il bergamasco era al suo secondo anno con la MBH Bank Ballan. 23 giorni di gara nel 2024, con la perla della terza piazza al GP San Bernardino bissata poi all’estero, a Visegrad in Ungheria a luglio. Quest’anno 16 giorni di gara, apparentemente senza grandi risultati.


«Ma la mia parte l’ho sempre fatta. Non ero un campione, ma mi sono sempre dimostrato utile per il gruppo, per aiutare gli altri perché sentivo fortemente quel senso di appartenenza, quel condividere le gioie di uno che erano frutto del lavoro di tutti».
A che cosa si deve allora questa decisione così inattesa?
Era da un po’ che ci pensavo, ma la mia è una vera scelta di vita. Non riuscivo più a conciliare lavoro e sport. Già dallo scorso anno collaboro con aziende automobilistiche per noleggio e vendita di seconda mano delle auto, da poco ho aperto la mia piccola impresa con tanto di partita Iva. Lavoro soprattutto online ma mi appoggio a molti rivenditori del Bergamasco. E’ un’attività che però necessita di un’attenzione continua, del monitoraggio dei mezzi che acquisto e rivendo. Mi accorgevo che tutto ciò andava a detrimento dell’attività ciclistica e viceversa. Dovevo prendere una decisione.


Come ha reagito la squadra?
Ne abbiamo parlato con assoluta calma, ho spiegato ad Antonio (Bevilacqua, ndr) le mie difficoltà e le mie aspirazioni e abbiamo trovato una soluzione condivisa. Con loro mi sono sempre trovato benissimo, è una squadra ampiamente affidabile, dove si lavora a livello molto professionale, ma c’è spazio anche per l’aspetto umano. Il prossimo anno diventerà una professional e già stanno ragionando in tal senso. Io sapevo che non sarei passato professionista e a dir la verità neanche lo volevo. Ormai non riuscivo più a dare il massimo delle mie possibilità, questa era la scelta giusta.
Che cosa porti con te?
Tanta esperienza di vita, scaturita dalla mia attività sportiva che mi ha insegnato che cosa siano la perseveranza, la dedizione, l’impegnarsi in quello in cui si crede. Il ciclismo è uno sport duro, ma dal quale si impara molto anche in termini di gestione dei rapporti umani, soprattutto quando trovi tecnici come quelli che ho avuto io, che stanno davvero vicino ai corridori. Io sono convinto che questo serva tantissimo per andare più forte. Sono cresciuto molto, ma ora sono maturo per dedicarmi appieno a quella che voglio sia la mia attività e ai tanti progetti che ho in mente.


Rifaresti la stessa scelta di investire la tua prima gioventù nel ciclismo?
Sì, ma credo che non affronterei questi ultimi due anni, senza nulla togliere alla squadra. Credo che a conti fatti mi sarebbero serviti di più dedicandomi al mio ambiente lavorativo.
C’è qualcosa di negativo che ti è apparso agli occhi dell’ambiente del ciclismo, che ha un po’ favorito questa tua scelta?
Io ho notato una crescente esasperazione dell’attività, dell’approccio alla stagione agonistica. E’ tutto schematico, codificato, non ci si diverte più. Io nel gruppo ero un po’ il giocherellone, quello che cercava di mantenere alto lo spirito perché non si può pensare al ciclismo come qualcosa di così totalizzante. E’ un sistema che soffrivo.


Tu hai raggiunto il punto più alto con i due terzi posti dello scorso anno, ritieni quelli i momenti più alti della tua carriera?
Li ritengo momenti belli, sicuramente, ma se mi guardo indietro le gioie maggiori le ho provate dalle vittorie dei compagni di squadra. Ho tirato 5 volate vincenti a Matteo Fiorin, per me le sue conquiste hanno un valore maggiore di un mio piazzamento personale, mi hanno dato qualcosa in più. Rendendo questa parentesi della mia vita, che si è chiusa, degna di essere vissuta.