Tra i volti nuovi dello staff tecnico azzurro c’è anche quello di Manlio Iaccarino. A lui è stata affidata una missione tanto importante quanto delicata: dare al BMX freestyle italiano una dimensione internazionale. Un compito improbo, in una disciplina pressoché misconosciuta, ma che assegna medaglie olimpiche come tante altre. In questa, l’Italia è molto più indietro rispetto alla omologa disciplina del racing dove ora si cominciano a raccogliere soddisfazioni e l’eccellenza è dietro l’angolo.


Manlio non è spaventato all’idea, considerando che la fatica e il sacrificio hanno sempre fatto parte della sua cultura sportiva: «Io sono sempre stato immerso nel bmx, gareggiando dal 1984 fino ai primi anni Duemila. La passione è sempre rimasta: io sono partito con il racing ma progressivamente mi sono lasciato coinvolgere dal freestyle e praticavo entrambe. Il freestyle mi ha subito fatto vedere le sue potenzialità: per me è la base di qualsiasi altra prova ciclistica, perché ti dà capacità tecniche fondamentali».
Come sei arrivato alla guida della nazionale?
Io ho continuato a rimanere nel BMX anche quando l’interesse è andato un po’ in calando, nel frattempo ho preso i tre livelli federali di tecnico. Poi Francesco Gargaglia mi ha chiamato nel suo staff azzurro, per seguire la disciplina come collaboratore e così ho fatto anche con il suo successore Federico Ventura. Ora mi è stata affidata in toto questa grande responsabilità.


Come stai muovendoti?
Non c’è una grande base storica in Italia, quindi dobbiamo lavorare sulle fondamenta e questo va fatto attraverso un’opera di scouting. E’ una disciplina di nicchia ma questo non significa che non sia seguita, anzi: tanti ragazzini la fanno in autonomia, è una di quelle specialità che le nuovissime generazioni più amano e questo lo dicono tutte le analisi sui social, di quello che i ragazzini guardano su piattaforme come Tiktok e Instagram. Noi dobbiamo prendere questi ragazzini e farli crescere nell’ambito federale. Allargare la base è il primo passo, ma possiamo farlo lavorando sui più piccoli, quindi con un progetto a lungo termine.


Facciamo un parallelo: negli sport invernali la situazione era la stessa, tante medaglie olimpiche a disposizione e un settore inesistente. Si è cominciato a lavorarci sopra e ora a Milano-Cortina 2026 avremo carte da medaglia importanti nel freestyle con i fratelli Tabanelli come nello snowboard acrobatico con Matteoli. Può avvenire la stessa cosa anche nel BMX?
E’ la mia mission, per la quale ho accettato l’incarico. Sono motivato a colmare questo gap, innanzitutto con i Paesi guida europei come Francia, Germania, Gran Bretagna sapendo che questa è una disciplina veramente universale come si è visto a Parigi 2024. Trovare i campioni però è possibile solo se allarghiamo il nostro bacino d’utenza. In questo ho trovato ampio sostegno nella Federazione, il team manager Amadio è sulla mia stessa lunghezza d’onda. Siamo noi a doverci muovere, a cercare talenti anche in microrealtà, ma sono ottimista.
Nel frattempo però devi lavorare a livello elite con quello che hai…
Che non è comunque poco. Abbiamo 5 atleti nel nostro gruppo di vertice con il quale seguiamo l’attività internazionale: Elia Benetton (nella foto di apertura, ndr), Christian Falvo, Filippo Parisi, Gianluca Righetto, Manuel Torello. Di questi un paio sono oltre i 25 anni. Dietro ci sono ragazzi molto giovani che voglio coinvolgere progressivamente per far fare esperienza in gare categoria C1. Posso assicurare che il loro livello tecnico è elevato, ma siamo in presenza di una disciplina che ha raggiunto vette clamorose, come si è visto a Parigi.


Per colmare questo gap a quale fascia di ragazzi ti rivolgi?
Dobbiamo partire davvero dalle basi, dalle prime esperienze in bici. Io punto sui bambini da 8 a 10 anni, che possono vivere questa esperienza come un gioco affinando al contempo le loro qualità tecniche e acrobatiche. E’ da lì che bisogna iniziare, sfruttando l’immenso appeal che questa disciplina ha su di loro per la sua adrenalicità. Inoltre è una disciplina che, a dispetto di quel che si può pensare, è sicura perché, oltre a essere affrontata con le giuste attrezzature protettive, si svolge in spazi chiusi, quindi i genitori possono stare più tranquilli rispetto alla strada. Non c’è da aver paura di salti e acrobazie, perché ci si arriva per gradi e sta a noi tecnici fare in modo che il miglioramento sia progressivo, guidato e sicuro.


Sognare una presenza azzurra a Los Angeles 2028 è impossibile?
Impossibile non è una parola nel mio vocabolario. Abbiamo Elia Benetton che è un atleta forte e in grande crescita. Se continua a progredire tecnicamente non posso escludere nulla in questi quattro anni. Inoltre ha la fortuna di abitare vicino al nostro centro federale di Roncade (TV). Io credo che i miglioramenti che ha nelle sue gambe potranno portarlo lontano.