E con la Alberobello-Lecce il Giro d’Italia riparte dalla sua terra. La frazione di oggi è la prima vera tappa per velocisti e tra questi c’è il favorito, la maglia rosa, Mads Pedersen. E per un Pedersen che vince (e riparte in maglia rosa), c’è uno Jacopo Mosca che tira. Di solito almeno è così.
L’immenso gregario della Lidl-Trek in queste prime tappe ha dato l’ennesima prova delle sue qualità: è un corridore solido e concreto, che svolge perfettamente il suo lavoro. E proprio con lui abbiamo parlato da un punto di vista tecnico di cosa significhi tirare per così tanto tempo. Quello di Mosca non è un lavoro “flash” come quello dell’apripista, Mathias Vacek nel caso della Lidl-Trek. No, il suo è un tirare lungo, da lontano.


Jacopo, hai tirato tanto, dovrai tirare tanto. Partiamo da questo presupposto: quando parte una tappa sai già quanto dovrai tirare?
Noi partiamo sempre con il nostro piano, con la nostra tattica e se tutto va bene, so esattamente quello che devo fare. A volte può essere un po’ di più, un po’ di meno, ma dipende anche dalla situazione di gara o dalla giornata sì o no. Se riavvolgo le prime due tappe, nella prima dovevo arrivare dopo il chilometro Red Bull, diciamo all’ingresso in Tirana, ed è quello che ho fatto. Quando hai una squadra così forte, sai che tu fai il tuo e poi c’è chi prende il tuo posto. Nella tappa di Valona invece eravamo partiti con l’idea che sarei dovuto arrivare fino allo strappo duro al chilometro 82, ma sono riuscito a passarlo e ho tirato ancora per altri 15-20 chilometri.
E questo cosa comporta?
Che sono riuscito a fare qualcosa in più, magari salvando energie a un mio compagno per il finale. Però generalmente si parte con un’idea. Verso Valona, volevamo arrivare con me sotto la salita lunga e alla fine ce l’abbiamo fatta anche lì. E’ chiaro però che non sempre tutto va come si vorrebbe.
Perché?
Ogni tanto cambiano le situazioni, specie nelle prime tappe dove c’è tanto stress per le posizioni. Magari dopo 50-60 chilometri arrivano altre squadre a lottare, quindi sei costretto a spingere un po’ di più, se vuoi stare ancora lì, quando invece potresti conservare qualche energia ulteriore.
Dopo che hai finito di lavorare cosa fai? Ti stacchi e vai regolare? Cerchi un gruppetto? Tieni duro?
Dipende dai momenti. Tipo l’altro ieri, quando ho finito di lavorare mi sono subito spostato, sapendo che c’era già un gruppetto dietro. Poi quando mi sono staccato io, si sono staccati anche altri 15 corridori circa e abbiamo fatto un gruppetto nostro. Nella tappa di Tirana invece ho provato a tenere duro perché a ruota si stava molto meglio di quel che sembrava. Sono quasi riuscito a passare la prima salita, ma mi sono staccato a un chilometro e mezzo dalla cima. L’idea era di provare a superarla una volta e tornare davanti.


Avreste avuto un uomo in più per il finale e magari Vacek avrebbe lanciato più forte la volata…
In realtà non è tanto quello. Magari puoi salvare un uomo in più che può poi lavorare meglio o, per esempio, non usare per forza Ciccone. Anche se lui ha fatto una selezione che solo lui poteva fare, quindi l’avremmo usato comunque. Però soprattutto in pianura, anche solo 200 metri in più o in meno possono aiutare un compagno ad avvicinarsi al chilometro finale. Tenere di più non è mai fondamentale, ma può fare la differenza.
Parliamo del ritmo: come lo imposti? Guardi i watt? Te lo indica il capitano?
Siamo sempre diretti bene dalle ammiraglie, ma ci basiamo anche sul feeling nostro e su cosa fa la fuga. Se la fuga va a 40 all’ora, devi andare a 40 all’ora per mantenere il distacco o a 42-45 per chiudere. Se la fuga va forte, devi andare forte anche tu. Ma se va forte, si esaurisce anche prima.
Quindi comanda la fuga e il tempo che avete deciso di lasciargli?
Sì, esatto: comanda la fuga. Verso Valona per esempio avevamo detto che anche con quattro minuti potevamo stare tranquilli. Ma quando in fuga ci sono Tarling, Tonelli, De Bondt, Germani… è un problema. Era una fuga forte e la tappa era corta, il terzo giorno non puoi permetterti di lasciare troppo. E poi bisogna vedere se ci sono altre squadre a darti una mano: domenica eravamo noi e la Red Bull-Bora, quindi fattibile. Se fossi stato da solo, diventava dura tenere quei sei corridori a tre minuti.
Soprattutto per te!
Esatto, e con Gianni Moscon non è stato un tirare semplice ieri, ma ce l’abbiamo fatta. Posso dire che i dati a fine tappa erano alti.


Ce ne puoi dire qualcuno?
Tirando là davanti, ho fatto due ore e mezza a più di 340 watt normalizzati e 305 di media. Circa 5,2 watt per chilo. Niente di impensabile, ma sono bei numeri. Soprattutto perché mantenuti a lungo. E il percorso non era semplice.
Un aspetto affascinante del vostro lavoro è stato il ritmo chirurgico in salita: forte per fare selezione, ma giusto per tenere dentro Pedersen. Come si imposta quel ritmo? E’ Pedersen che comanda?
Sì, è lui che detta il ritmo e ti dice se aumentare o calare in base a come si sente. In quei casi corridori come Verona o Konrad, che ha fatto top 10 nei grandi Giri, ti fanno capire quanto sia alto il livello del team. O Ciccone che fa un’azione simile… E’ chiaro che è Mads che decide. Poi in questo momento sta così bene che probabilmente rimarrebbe con i primi 30 anche in salita.
Cos’altro conta in quei momenti?
La gestione dalla macchina. Loro osservano da dietro e ci dicono: «Okay, ragazzi, si stanno staccando tot corridori», oppure: «A ruota si sta benissimo, non state staccando nessuno». Sono informazioni importanti. E sapere di tirare per uno come Mads, che sta bene e finalizza, dà fiducia.
Quando parte la fuga e mancano 130 chilometri e sai che dovrai tirare per due ore, a cosa pensi?
Dipende. In una tappa come quella di Valona non avevo tempo di pensare, non era facile. Alla Sanremo, che è più lunga e più controllabile, cerco sempre di focalizzarmi sulla gara. Poi magari qualche pensiero ti viene, ma appena arriva il mal di gambe smetti di pensare. Però c’è sempre una canzone che ti gira in testa, cambia ogni volta. Magari è un ritornello sentito il giorno prima.


Quando tiri devi prendere aria e sappiamo quanto sia importante l’aerodinamica: hai una posizione preferita alla tua velocità di crociera?
Sì, l’aerodinamica oggi conta tantissimo: si vede da abbigliamento, caschi, bici… A volte si vedono cose un po’ troppo estreme. Io non sono estremo. Non mi metto a guardare il calzino, perché i nostri capi di abbigliamento sono già il top. So che il nostro body è veloce, i nostri calzini aero sono veloci. Non ho mai esagerato con le leve girate, per dire…
Chiaro…
Nella mia velocità di crociera tengo le mani alte, ma molto raccolto, con i gomiti ben piegati e la schiena bassa. E ovviamente in discesa mani sotto, con la bici pronta a metterla dove voglio.
Come hai saputo che aveva vinto Pedersen?
Ero con un gruppetto a 7-8 chilometri dall’arrivo e ho sentito l’urlo per radio. In realtà ero già andato dietro alla seconda ammiraglia a chiedere. Poi, quando ho sentito l’urlo per radio e la macchina suonare il clacson per festeggiare, ho capito che avevamo vinto. E’ bello quando hai un capitano deciso e determinato, perché alla fine sai che fai un lavoro che porta a qualcosa.