Il cammino prosegue e Marta Cavalli si sta avvicinando con passo regolare al ruolo di leader e alle corse che più le piacciono. Gli ordini di arrivo raccontano una parte. Il tredicesimo posto della Sanremo è stato la conferma delle buone sensazioni e anche il Fiandre, che dopo la Roubaix è la corsa che meno le si addice, per un po’ ha fornito dati interessanti.
Ora Marta è a casa. Ci rimarrà fino a domenica, poi si sposterà a Sittard, nel quartier generale del Team Picnic-PostNL, nell’avvicinamento alle corse delle Ardenne. Prima che parta siamo curiosi di avere i suoi feedback su questo avvio di stagione.
«Sta andando abbastanza bene – dice – meglio delle mie aspettative. Innanzitutto non mi aspettavo che mi inserissero addirittura nel Fiandre, una corsa veramente esigente. Abbiamo visto che negli ultimi anni ha sempre fatto tanta differenza, perché ha il chilometraggio importante e richiede tanto, inclusa una bella preparazione. La primavera italiana è andata bene, sono corse che sento particolarmente. Non ho raccolto il risultato, ma non l’ho neanche cercato…».
Come mai?
Fa parte del processo di inserimento in una nuova squadra, di reinserimento in un ambiente che è cambiato molto e che all’inizio stagione mi sembrava tanto estraneo. Invece adesso mi ci ritrovo, ho ripreso le misure, ho visto l’andamento generale e siamo nella fase in cui ambientarsi senza pretendere nulla. Per questo dico che forse è arrivato qualcosa in più e questo ci dà fiducia, quella che loro chiamano confidence, per le gare che più mi si addicono. Cioè quelle delle prossime settimane.
Che esperienza è stata il Fiandre?
Fino a un certo punto è andato bene, ma è stato duro tenere la concentrazione per quattro ore e mezza di corsa. Come alla Strade Bianche, il Fiandre è una corsa che chiede costantemente attenzione. Devi fare il settore, poi devi riposizionarti bene, fai lo sforzo, poi devi riposizionarti. Due, tre, quattro, cinque, sei volte e a un certo punto ho impattato contro questo mio limite attuale, che mi fa piacere aver incontrato.
Per prendere la misura?
Per capire dove ancora devo migliorare e dove dobbiamo lavorare come squadra e come individualità. Fisicamente non sto male, non posso dire di essere ai livelli migliori, però riesco a mantenere una buona continuità nella preparazione e questo prima o poi si tradurrà in risultati.
Qual è stata finora la difficoltà di inserirsi nella nuova squadra?
Un approccio differente con il ciclismo. Hanno un modo totalmente diverso di correre. Tengono molto a essere presenti come squadra, a posizionarmi bene, a farmi sentire coperta. C’è dietro una struttura forte creata per me e faccio ancora fatica ad abituarmi anche solo a chiedere. Non perché abbia delle pretese, ma perché il loro obiettivo è aiutarmi a essere nella giusta posizione al momento giusto. Piano piano sto prendendo l’abitudine a gestire la squadra, ad averla in mano, a dire senza essere arroganti o troppo pretenziosi quello che preferirei facessero. Mi dicono costantemente che sono lì per me e mi hanno fatto capire che, senza il loro capitano, non sarebbero niente. Che io abbia buone sensazioni o che non sia il periodo migliore, loro fanno ugualmente il loro lavoro.
Un nuovo modo di pensare?
Alla fine il bus ce l’hanno tutti. I gel e le barrette li hanno tutti e tutti hanno il top dei materiali. Invece la differenza la fai nei rapporti con le persone, con lo staff, con il direttore sportivo, la comunicazione, l’ammiraglia, il grado di responsabilità che ti danno: quelle sono le cose che poi si vedono in corsa. E sono le cose alle quali sto cercando di adattarmi.
Il passato è passato o serve come riferimento?
Non posso cancellarlo perché mi può essere utile. Mi dà esperienza e tranquillità, mentre dall’altro lato potrebbe mettermi pressione, ma quell’aspetto lo considero una storia chiusa. Sono una Marta differente, che ha padronanza della propria condizione fisica. Consapevole di non poter fare la voce grossa. Quindi, come si dice in dialetto da me: “schiscia”, che significa schiacciata, volando basso.
Quale preferisci tra Amstel, Freccia e Liegi?
La Liegi! Insieme al Fiandre, è da sempre tra le mie preferite, perché è tra le più esigenti. Se però dovessi indicare la più adatta a me, dovrei dire sicuramente la Freccia Vallone. L’arrivo secco in salita: tutto o niente. Il 90 per cento della corsa che si decide sul Muro d’Huy: è quella più adatta, però d’istinto e di pancia, dico la Liegi.
Da domenica si va in ritiro con le compagne?
Esatto, nel loro Keep Challenging Center. Abbiamo degli impegni con la squadra e poi faremo un paio di ricognizioni dei percorsi, un buon modo per entrare nell’atmosfera. Quello che ho imparato è godermi un po’ di più ciò che sta attorno alla corsa. E’ un bell’ambiente, con le ragazze mi trovo bene, si lavora bene. Lontani dalle gare si trascorre un bel tempo insieme, è una dimensione che mi piace.
Ultima cosa: hai cambiato squadra, ma la bici è rimasta Lapierre.
Non me l’aspettavo. Nel primo ritiro mi avevano dato l’altra bici (una Scott, ndr), dicendomi che sarebbe stata la mia bici da allenamento. Ho iniziato a usarla, invece pochi giorni prima del ritiro ci hanno chiamato e hanno annunciato il passaggio con Lapierre. Da una parte è stata una sorpresa, dall’altra lato sono contenta perché mi sono sempre trovata bene, sia in salita che ancora di più in discesa. Abbiamo rifatto la posizione, cambiato la sella e mi trovo nuovamente benissimo. Ovviamente è un modello differente, leggermente più aerodinamico, quindi più reattivo e questo aggiunge valore a un telaio che era già buono.
In cosa è cambiata la posizione?
E’ più aerodinamica. Siccome ho sempre fatto fatica in pianura, abbiamo cercato a livello di preparazione e anche di posizionamento, di migliorare il mio coefficiente aerodinamico. Per cui sono sempre molto avanzata, ma leggermente più lunga. Un assetto molto sbilanciato in avanti, che però mi permetta, in caso di necessità, di abbassarmi ancora per essere più aerodinamica.
Quindi Pasqua a Liegi?
Pasqua a Liegi, vero. Pasquetta invece a casa.