BENIDORM (Spagna) – Mentre Diego Ulissi lo scorso anno non gradì troppo il fatto di essere stato escluso dal Giro d’Italia per fare punti nel resto del calendario, ad Alessandro Covi la cosa andò parecchio a genio. La sfortuna del piemontese fu che ebbe appena il tempo di cominciare la stagione e venne raggiunto, nell’ordine, dal Covid, da un grosso problema ai tendini e a seguire da un trauma cranico per caduta. Quando ha ricominciato a correre, le sue occasioni erano praticamente finite e così si è dato da fare come gregario, mettendo in fila però il sesto posto al Memorial Pantani e il secondo al Matteotti.
Nella giornata dedicata ai media nel ritiro del UAE Team Emirates, in mezzo a tante stelle del firmamento ciclistico, andare a cercare Covi è un atto rivoluzionario. Quando gli abbiamo dato appuntamento prima che uscisse per l’allenamento, qualcuno dello staff lo ha persino preso in giro. Forse se ne è stupito anche lui, sottovalutando la forza dell’umanità e dell’umiltà. Dovrebbe esserci un Covi in ogni grande squadra, per questo gli abbiamo chiesto di fare due chiacchiere. E quando viene a sedersi con quel che resta di una criniera giallo platino, riconosciamo lo sguardo mite e i bagliori folli del ragazzino che incontrammo per la prima volta fra gli under 23. Solo che nel frattempo Covi ha imparato a tenere a bada i suoi slanci di simpatica follia.
Non c’è più “lo zio Diego” e la squadra cambia ancora.
Ulissi se ne è andato e la squadra è davvero cambiata tanto negli anni. E’ sempre più internazionale, è la numero uno al mondo, quindi sono onorato di essere qui. Italiani siamo rimasti in pochi, speriamo pochi ma buoni (ride, ndr). Il prossimo sarà il sesto anno, sono qui da tanto. L’ho vista crescere in ogni aspetto, l’effetto è impressionante e penso che crescerà ancora tantissimo. Siamo nel posto in cui meritiamo di essere, cioè in cima alle classifiche mondiali. Negli anni abbiamo lavorato per quello, era un obiettivo della squadra. Per questo è un onore esserne parte e correre con questa maglia.
Discorso da calciatore, ma ti si perdona. Vista tanta concorrenza, è difficile guadagnarsi il posto nelle gare che contano?
Ovviamente ci sono tantissimi corridori forti. Se ti guardi intorno, vedi tanti campioni, quindi devi meritarti ogni cosa. Bisogna andare forte, il segreto è quello.
L’anno scorso fu fatta la scelta di non correre i Grandi Giri per puntare alle corse di un giorno, la rifaresti?
L’anno scorso, come avete detto, sono stato particolarmente sfortunato. A partire dalla Tirreno ho avuto un susseguirsi di problemi che mi hanno fatto saltare 30 giorni di bici nei tre mesi centrali della stagione. Ho saltato proprio le gare in cui sarei andato per fare bene. Sono andato avanti correndo per due settimane e fermandomi nelle due successive. Quindi non sono riuscito a rendere come avrei voluto. Nel finale di stagione invece ho trovato un equilibrio. Non ho più avuto problemi sulla mia strada e sono riuscito a fare delle buone prestazioni. Sperando che tutto questo prosegua fino all’anno prossimo, vorrei davvero provare a fare qualche risultato. Mi piace l’idea di stagione che avevamo immaginato già l’anno scorso. A me piace correre. E anche se il Giro per noi italiani è la corsa più importante, per me vincere è fondamentale. Quindi spero di tornare ad alzare braccia al cielo. Soffro questa situazione, mi manca.
Anche perché andare al Giro con certi leader significa soprattutto tirare, no?
E difficile avere il proprio spazio. Poi magari l’occasione capita ugualmente, però andando in una gara con un livello minore nei giorni del Giro, c’è più possibilità di fare il proprio risultato, che porta punti alla squadra. Ovviamente aiutare per me non è mai stato un problema, l’ho sempre fatto volentieri. Però quello che mi dà motivazione allenandomi è sicuramente vedere dove posso arrivare al confronto con i migliori corridori del gruppo. Ho visto che la gamba per tornare a quei livelli c’è e voglio davvero sfruttare l’anno prossimo per vincere delle gare. Che sia il Giro d’Italia o un’altra, per me è importante alzare le braccia al cielo.
Sei qui da sei anni, che cosa è cambiato nel tuo lavoro?
Il modo di approcciarsi con l’alimentazione. Un po’ anche gli allenamenti, però alla fine la bici è sempre pedalare nello stesso modo, quindi la palestra e gli esercizi sono sempre quelli. Quello che cambia sono dei piccoli particolari. Quel che noto è che prima si lavorava di più, si faceva più quantità. Ora c’è più qualità, lavori specifici che durano più a lungo durante un allenamento più corto. Una volta facevi sei ore piano, adesso se ne fanno quattro, ma a ritmo più sostenuto.
Come si trova il Covi brillante e persino dissacrante di un tempo in questi schemi così precisi?
Mi sto adattando, mi stanno piegando (ride, ndr). Alla fine è una conseguenza del ciclismo che c’è adesso. Ti guardi in giro, sono tutti super professionali e lo sono diventato anch’io. Se vuoi stare a questi livelli, devi fare tutto al 100 per cento.
Non hai ancora un calendario gare, ma potendo scegliere dove andresti?
Ho visto più o meno il calendario, ma ancora non ne abbiamo parlato. Per cominciare direi Laigueglia, che mi piace tantissimo e ci sono affezionato. Poi la Tre Valli a fine stagione, che reputo la gara di casa. Quest’anno siamo stati sfortunati con il meteo, ma speriamo di tornarci l’anno prossimo e vincerla. Nel mezzo mi piacerebbe fare bene al campionato italiano. Non so esattamente dove sarà, però è sempre una gara che ti dà la motivazione per fare bene.
Due soli italiani nella WorldTour (tu e Baroncini), tre nella Gen Z (Giaimi, Sambinello e Stella). Come sono i rapporti con i più giovani?
L’anno scorso ho avuto modo di conoscere Luca Giaimi, che era l’unico italiano. Adesso ce ne sono altri due e almeno li ho conosciuti. Con Luca è stato un reciproco cercarsi, un po’ mi ha cercato lui e un po’ l’ho cercato io. Ha una casa vicino ai miei familiari a Varese, quindi ogni tanto ci siamo trovati anche in allenamento per poi creare un legame di amicizia. Un po’ come Ulissi e me, ho fatto e sto facendo del mio meglio per trasmettergli qualcosa. Speriamo che farà una buona stagione.
Ti mancherà Ulissi?
Diego mi mancherà a livello di amicizia, questo è certo. Come maestro di ciclismo, quando è andato via mi ha detto che quello che aveva da insegnarmi, me l’ha trasmesso tutto. Ho preso tanto da lui, ma ognuno ha la sua personalità, per cui sto facendo anche del mio per trovare la mia strada. Ormai ho 26 anni e un pacchetto di esperienze grazie al quale posso trasmettere qualcosa anche io. Speriamo che il sistema funzioni anche con questi giovani.